Ghiringhelli ha conosciuto tutti i «grandi» ma nei suoi ricordi domina Toscanini di Enzo Biagi

Ghiringhelli ha conosciuto tutti i «grandi» ma nei suoi ricordi domina Toscanini DA VENT'ANNI DIRIGE LA SCALA RISORTA DALLE ROVINE Ghiringhelli ha conosciuto tutti i «grandi» ma nei suoi ricordi domina Toscanini Ha incontrato De Gaulle, la regina Elisabetta, il cardinal Montini; Kruscev due volte lo ha invitato a pranzo al Cremlino - Un bel successo, per il figlio di contadini poveri che incominciò a lavorare come fattorino postale - Forse non si sarebbe mai occupato di teatro lirico, se nel 1943 i medici non l'avessero dato come spacciato - La sua più grande emozione, la visse il giorno in cui accompagnò Toscanini nella Scala ricostruita: il maestro provò l'acustica della sala e scoppiò in pianto - La «scoperta» di Cantelli: «Ma quello sono io da giovane!» Milano, gennaio. La sera rlelVll maggio saranno passati vent'anni. Toscanini arrivò in teatro poco prima dello spettacolo. Era solo. Entra nel suo camerino, si guardò un attimo nello specchio. Il volto era pallido, teso. Si affacciò il Sovrintendente. «Senta, — disse Toscanini, — senta come batte >. Gli prese una mano e se la portò sul cuore. «Colpa di questa maledetta, di questa benedetta Scala ». Poi si avvia al podio. Le trecentosessantaclnque turi del lampadario di Boemia si spensero lentamente. L'orologio, sul boccascena, segnava le nove in punto. Toscanini guardò lo spartito: « Rossini: La gazza ladra, sinfonia». Alzò la bacchetta: il dopoguerra.'era finito La sera dell'11 maggio offriranno a Ghiringhelli un premio. Non so: forse una medaglia, una targa, un diploma. «Per il contributo eccezionale dato all'arte lirica», dice la motivazione. Il dottor Antonio Ghiringhelli, penso, lo accoglierà con commozione. Nella sua stanza c'è uno stipo colmo di scatolette di pelle, che contengono insegne cavalleresche, nastrini colorati, simboli d'oro. Ma Ghiringhelli crede nei rapporti umani, nella gente, nei sentimenti: forse anche nelle decorazioni. Cosi vuole la sua storia, la sua vita. Dico questo senza malizia: ho passato una lunga sera a chiacchierare coti lui, al tavolo di un vecchio ristorante, che ricorda la Milano della stia faticosa giovinezza, i successi di Guido da Verona, il socialismo del sindaco Caldara, il Corriere di Albertini, poi nel suo studio dai mobili bianchi, in fondo I al corridoio che vide passare tante volte la figura severa di Giuseppe Verdi, nella sua casa di uomo solo, vicino al Parco, e nella camera da letto ci sono cinque finestre, mai vista una capterà da letto con cinque finestre. «Nel 1943 mi ammalai — spiega Ghiringhelli. — Mi visitarono alcuni clinici fa- mosi, furono tutti d'accordo: caso grave, niente da fare. Chiesi la verità, volevo sapere quanto tempo mi rimaneva. Quattro mesi, dissero. Sistemai le mie cose per il congedo, poi andai in campagna. Il dolore dura poco. Ci si abitua, sa, all'idea della morte. E si scopre anche il vero senso della vita: mi piaceva seguire a lungo il sole. E' una gioia che mi è rimasta. Da quella, finestra, anche stando sdraiato, lo vedo nascere, e laggiù tramonta. Sono ancora qui, mi ha salvato un bravo medico, che si era rifugiato nel paese ». Da allora Antonio Ghiringhelli, industriale, ricco, esperto conoscitore dei fatti economici, si è distaccato dalle sue fabbriche e dagli interessi che affannano: «•L'emozione più grande me la dà il mare — dice. — Un giorno me ne andrò, posso stare delle ore sulla spiaggia deserta, la luce cambia di continuo, tutto sembra diverso ». Nel suo racconto disordinato, fatto anche di silenzi e d'improvvisi pensieri, prendono rilievo alcuni personaggi, che hanno avuto un peso nel suo destino. « Mia madre, — dice, — era una donna semplice, io leggevo sotto la lampada a petrolio, ad alta voce, lei rammendava. Ricordo che La vita di Gesti di Renan la turbava, era molto religiosa. Sono figlio di un contadino, a undici anni uno zio napoletano, che era primo ufficiale all'ufficio telegrafico di Varese, mi trovò un posto da fattorino. Così d'estate andavo a guadagnare i soldi per la scuola. Ho sempre in mente il principe Trabia, mi dava due lire di mancia quando gli portavo un telegramma, era un vero signore. Mi iscrissi al partito socialista nel 1919, ero già ragioniere, e tre anni dopo, una domenica, incontrai in Galleria Filippo Turati. I fascisti avevano vinto. Io gli andai incontro, emozionato. "Finché ci saranno studenti universitari che mi salutano cosi — disse — c'è ancora da sperare " ». Filippo Turati, Clement Attlee, Nikita Kruscev. Sono passati nel suo ufficio alla Scala, o li ha incontrati in giro per il mondo, Elisabetta d'Inghilterra e la Begum, De Gaulle e il cardinale Montini, Galina Ulanova e Margot Fonteyn: alcune scatole di fotografie, in disordine, ritraggono quest'uomo dai capelli candidi, dalla faccia bianca, dagli occhi piccoli e vivi, dal gestire pacato, accanto ai « grandi » di questo tempo. S'inchina ai sovrani. bacia le prime donne, stringe la mano al presidente della Repubblica o alla signora Furtzeva. Le memorie s'inseguono' « Attlee mi raccontò: "Ho fatto una rivoluzione senza spargere una goccio di sangue ". Kruscev era molto umano, una delle persone più simpatiche che io abbia mai conosciuto. Quando andammo a Mosca, m'invitò a pranzo due volte. Servirono dei funghi. " Li assaggi — mi disse Kruscev — so?io molto buoni, hanno un profumo più intenso di quelli che si raccolgono da voi, spuntano nel¬ la terra umida delle nostre foreste, tra gli abeti e le betulle. Non abbia paura che siano avvelenati", e ne prese uno dal mio piatto, e lo mangiò allegramente. C'era anche Mikoyan, si capiva che erano amici, ma si sentiva che il capo era Nikita. Io osservai: "Lei ha detto che il signor Mikoyan è un abilissimo uomo d'affari ". E Kruscev rispose: " Non so se l'ho detto, ma glielo confermo adesso " ». Sul pianoforte, nel luminoso soggiorno,- c'è una fotografia di Arturo Toscanini con questa dedica: < Ad Antonio Ghiringhelli con affettuosa amicizia e gratitudine per tutto il bene che ha prodigato alla nostra Scala », e una lettera di Giuseppe Verdi. Toscanini, forse, è il personaggio che più ha lasciato un segno nella sua esistenza. « La sua ombra — dice — è sempre presente nel teatro. Ci sono cose che lui ha voluto, che continuano come lui voleva. Toscanini ha abituato i milanesi a essere puntuali, e i cantanti a sentirsi una parte della rappresentazione, ha insegnato il rigore, la disciplina. Io non ero nato per questo mestiere che, all'inizio, ho accettato come un dovere, e senza entusiasmo, è stato un caso, c'è voluta la guerra. « Entrai come commissario, nel 1945, le bombe avevano distrutto la sala, centocinquanta allestimenti scenici, settantamila costumi, trentamila paia di calzature. Invece delle porte c'erano quattro assi inchiodate. Io telefonai al maestro a Riverdale, a New York, e gli dissi: "Fra un anno inaugureremo la stagione dei concerti, noi l'aspettiamo ". Lavoravamo nei camerini, qualche stufetta per il riscaldamento, mangiavamo un panino, non c'era da fermarsi un istante. Lui arrivò, io volevo fargli vedere anche la platea in ordine, ma lui disse: "Per me la Scala è come una amante, non m'importa che sia agghindata". Andammo noi due soli, e quando lui apparve alla ribalta, il lampadario, che era in prova, si accese per la prima volta, allora lui corse sotto la cupola, dove si sente l'eco, batté le mani, il suono cadde dall'alto, e lui gridò: "C'è ancora-, c'è ancora". Poi si mise a piangere. «Non voleva nulla, dava anzi di tasca sua. Accettò perfino, scontroso e timido com'era, un invito a cena da dei bravi signori che offrivano mezzo milione per la ricostruzione, ma volevano avere in casa il maestro. " Purché siano in pochi ", disse. Ma Io fecero trovare di fronte a cinquanta ospiti, e lui allora si sedette su una panchetta nell'ingresso, non accettò un brodo, né un bicchiere d'acqua minerale, non disse una parola ». Ghiringhelli racconta, sottovoce, fuori è notte e c'è la nebbia, vive nella grande casa con due. anziani domestici, marito e moglie, ma mi sembra un uomo sereno, forse felice. « Un giorno Toscanini, che non aveva mai denaro con sé. tirò fuori dal taschino del corpetto cento dollari. " Mi faccia, una cortesia — disse. — Porti dei fiori su una tomba, la tomba di una donna che mi fu cara ". Entrò un pomeriggio in un palco, il palco numero 14, mentre un giovane direttore stava provando. Si vedeva solo di spalle. Si fermò un momento, sorpreso: poi esclamò: "Ma quello sono io, io da giovane". Era Guido Cantelli. «La vecchiaia, l'ansia della vecchiaia lo ossessionava. " Siete vecchi — urlava agli orchestrali quando non lo seguivano — non sentite che queste note vanno suonate con letizia, deve essere come fare l'amore? ". Per lui la vita era movimento, lavoro, soprattutto lavoro, e la vecchiaia ozio, lentezza fatica. Prima di ritornare in America mi confidò la sua pena: " Sto male — disse — e voglio morire lontano, voglio essere ricordato alla Scala ancora vivo, ancora giovane, non mi piacerebbe cadere sul podio, ecco, preferirei sparire in un bosco"». Poi il discorso scivola sui tenori e sui soprani, sulle ballerine c'ite sono passati sul palcoscenico del « primo teatro del mondo » come diceva Verdi. « Ho visto la Maria otto giorni fa, — racconta, — sta bene, e la Renata mi ha mandato gli auguri per Natale ». Callas, Tebaldi, Di Stefano, Del Monaco, Coreili, e ancora Gigli, Schipa, Lauri Volpi, sfoglia le fotografie, e mi pare che un poco si rattristi: «Non ricordo le polemiche, — dice, — i litigi si dissolvono come nascono. Siamo uomini, ma tutto passa ». Mi mostra il ritratto di un prete, in divisa di cappellano militare: «Mio cugino, don Carlo Gnocchi. Bisogna credere \n qualcosa, scopri¬ re il bello della vita. Il mare, la musica, un fiore. Corriamo troppo in fretta ». Tutti i giorni, tutte le sere, Antonio Ghiringhelli va al suo teatro, perché quando il sipario si chiude un altro giorno comincia. Enzo Biagi

Luoghi citati: America, Boemia, Inghilterra, Milano, Mosca, New York, Varese, Verona