Perdono giudiziale alla diciassettenne che gettò il suo bimbo dal nono piano

Perdono giudiziale alla diciassettenne che gettò il suo bimbo dal nono piano Il processo al Tribunale del minorenni di Torino Perdono giudiziale alla diciassettenne che gettò il suo bimbo dal nono piano La ragazza, di Novara, segretaria dell'avvocato che ieri l'ha difesa, è stata subito scarcerata - Nessuno, neppure i familiari, s'erano accorti che stava per divenire madre - Colta dalle doglie di notte, aveva gettato il figlio dalla finestra - Un perito l'aveva giudicata «non nel pieno delle facoltà mentali, al momento del fatto» La giovane impiegata nova-i rese che, nella notte tra il 7 e' l'S dicembre scorso, uccise il proprio bambino appena nato gettandolo da una finestra del nono piano, ha ottenuto il perdono giudiziale ed è stata scarcerata. Ieri pomeriggio verso le 17 ha lasciato le «Nuove > di Torino, dove erano andati a prenderla la madre e due fratelli, ed è subito partita in macchina per Novara. Il processo si è svolto ieri davanti al Tribunale dei minori di Torino (pres. Salemi, p. m. Bracco, cane. Maritati) competente per tutta la regione. L'imputata, Rita Di Maio, penultima di sei figli d'una famiglia di origine meridionale, non ha ancora 18 anni: li compirà tra un paio di mesi. Il dibattimento si è svolto a porte chiuse, come sempre avviene per i minori, e quindi non è possibile conoscere i particolari dell'udienza, le risposta dell'imputata, gli aspetti drammatici degli interrogatori dei testimoni. La mite sentenza ha profonde giustificazioni. I giudici hanno dimostrato la massima comprensione per Rita Di Maio non soltanto per la sua giovane età, ma anche perché il suo caso, del tutto eccezionale, trova logica spiegazione soltanto nella perizia d'ufficio redatta dal dytt. Rovera, che ha ritenuto la ragazza non del tutto capace di « intendere e di volere » nel momento in cui commise il tragico gesto. Secondo il dott. Rovera, Rita era ed è sana di mente. Ma in quella spaventosa notte, combattuta tra l'istinto di conservazione e quello della maternità e dilaniata da atroci dolori fisici, essa perse il controllo e la parziale responsabilità delle sue azioni. Fu un « corto circuito », per usare l'efficace espressione del dott. Rovera, che sconvolse momentaneamente le facoltà mentali della giovane. All'inizio del processo, per quanto si è potuto apprendere, Rita ha rievocato la sua infelice esperienza. Era una ragazza certamente immatura, con una mentalità ancora infantile e impreparata ad affrontare i problemi della vita. Incontrò un giovane, uno studente universitario di Casale Monferrato, e se ne innamorò. Fare che i due abbiano avuto pochissime occasioni per vedersi. Lei stessa, contro ogni logica, non credeva di essere incinta. Anche per questa ragione le fu facile recitare fino all'ultimo la parte della ragazza di famiglia, tranquilla e spensierata. Se ebbe dei disturbi seppe dissimularli con stupefacente disinvoltura, anche perché nessuno dei fratelli, dei conoscenti e tanto meno la madre s'era accorto di nulla. Inoltre, per la sua particolare conformazione, la gravidanza non era visibile. Negli ultimi tempi appariva più rotondetta, ma non aveva certo l'aspetto di una partoriente. « Pensi — ci ha detto un testimone — che la scorsa estate, al mare, indossava tranquillamente il "due pezzi". Ed era incinta di cinque mesi *. Il 7 dicembre andò, come sempre, a lavorare presso l'ufficio legale dell'avv. Cassietti, che ieri l'ha difesa. Usci alle 18 e andò a casa, in corso Milano 19, allegra e vivace. Cenò, guardò la televisione e poi andò a letto. Divideva una camera con una sorella ventenne. Alle 23, colta dai dolori del parto, si rifugiò in bagno e, da sola, senza un lamento, diede alla luce un bambino. Poi spalancò la finestra e lo gettò dal nono piano. Il cadavere fu trovato un'ora dopo da una pattuglia di carabinieri. Nel frattempo, preoccupata da una persistente emorragia, Rita aveva svegliato i parenti. Ma non aveva rivelato nulla, tanto che il maggiore dei fratelli rimase a lungo in forse prima di chiamare il medico di famiglia. « il li sembrava — ha detto il giovane — che non fosse il caso di disturbare il dottore a quell'ora. Il malore di Rita, apparentemente, non destava alcuna preoccupazione ». Persino il medico, in un primo tempo, fu tratto in inganno soprattutto dal contegno della ragazza. Rita mantenne lo stesso atteggiamento anche dopo, quando alla porta di casa Di Maio suonarono i carabinieri e il sostituto procuratore della Repubblica dott. Alessi ormai in possesso di chiari indizi. «Set stata tu?», chiesero angosciosamente i familiari. E Rita rispose: <Non capisco: di cosa state parlando? ». Poco dopo domandò ad una sorella: « Perché piangi/ Cosa è successo 1 ». Ieri la ragazza ha spiegato che quell'atteggiamento non faceva parte di una pietosa commedia. « In realtà — ha detto — non ricordavo nulla. Nella mia mente c'era il vuoto ». Tre ore dopo, però, confessò tutto al magistrato. E precisò di aver avuto la sensazione che il bambino fos¬ se nato morto. La perizia del prof. Rossi stabili invece che il neonato visse per una decina- di minuti. Il P. M. dott. Bracco, in base appunto alle attenuanti già ricordate, ha chiesto 2 anni di reclusione, con il beneficio della condizionale. L'avv. Cassietti, in via principale, ha sostenuto la tesi del delitto col¬ poso, in quanto la ragazza riteneva, sia pure sbagliando, che il bimbo fosse nato morto. In via subordinata ha proposto il perdono giudiziale e i giudici hanno scelto quest'ultima soluzione. Rita, alla lettura della sentenza, è scoppiata in pianto, tra le braccia della mamma, che le sedeva al fianco. Si è poi saputo che l'altro responsabile della tragedia, il padre del bambino, non è rimasto nell'ombra. Si è presentato ai familiari di Rita, ha voluto parlare con un fratello ed ha manifestato sentimenti di dolore e di pentimento. « Voglio bene a Rita — avrebbe detto il giovane studente — e intendo sposarla ». g. a. La diciassettenne novarese Rita Di Maio esce dal Tribunale dei minori di Torino

Luoghi citati: Casale Monferrato, Novara, Torino