Giace sotto il vuoto deserto d'Arabia il lago di petrolio più ricco del mondo

Giace sotto il vuoto deserto d'Arabia il lago di petrolio più ricco del mondo ALLUCINANTI CITTA' INDUSTRIALI NEL SILENZIO DELLA TERRA MORTA Giace sotto il vuoto deserto d'Arabia il lago di petrolio più ricco del mondo L'Arabia Saudita è il quarto produttore della terra; il governo incassa in «royalties» 400 miliardi di lire all'anno, e la compagnia produttrice guadagna molto di più - Ma le riserve ancora intatte, scoperte in un deserto peggiore del Sahara, sono più abbondanti di quelle americane - Il petrolio fu trovato nel 1924 da un maggiore inglese che cercava l'acqua ; per nove anni la lotta a coltello fra le compagnie impedì di sfruttarlo, e la concessione fu rivenduta nel 1930 per trentun milioni di lire - Il Paese, fino a ieri primitivo e desolato, potrà diventare una grande potenza industriale: si è scoperto anche del minerale di ferro (Dal nostro inviato speciale) Daliran, gennaio. Il lungo viaggio da Gedda a Dahran, dalle coste del Mar Rosso al Golfo Persico attraverso la desertica penisola arabica, sarebbe giustificabile anche per vedere soltanto questo aeroporto, diventato il simbolo dell'Arabia Saudita. Con geniale concezione, l'architetto ha fuso 10 stile gotico-arabo con le essenziali geometrie dell'architettura moderna, l'Arabia del cammello sorregge l'Arabia del petrolio e dei quadrigetti con felice contaminazione. Ma fuori dell'aeroporto c'è Darhan, una città, anzi, un complesso dì città, dove lo stupore è regola costante. Raccontare che cos'è Darhan implica un discorso geografico: spiegare che cos'era questo luogo fino al 1.933, quando dall'arido sottosuolo sgorgò il primo flotto di petrolio. Dahran era il nulla, 11 vuoto assoluto, il silenzio totale. Le sole voci umane che talvolta incrinavano la sua pace deserta erano le tristi melopee intonate dai pescatori di perle che talvolta scendevano fino a queste de¬ solate spiagge del Golfo Persico In quel vuoto, gli americani dell'Aramco (Arabian American Oil Co.) hanno costruito un campione di città futura, un'urbanistica funzionale e disumana imposta dalle condizioni ambientali, ma incapace di favorire il calore dei rapporti umani che scaturiscono dalle lente stratificazioni sociali. Dahran è nata adulta, interamente pianificata, perfetta, funzionale e inabitabile per lo squallore gelido, l'astrattezza siderale con cui è stata concepita. Ma di ciò, e dell'esistenza cui sono dannati gli uomini del petrolio, americani ed arabi, con sparuti gruppi di italiani, dirò un'altra volta; il petrolio, e gli effetti che produce in tutta l'Arabia, devono avere la preminenza. Dahran è un nome che dice poco, più che un'indicazione geografica potrebbe essere una sigla sociale perché indica soltanto il quartier generale dell'Aramco, mentre comprende un complesso di villaggi e piccole città che si diramano su distanze varianti fra i trenta ed i settanta chilometri. Ras Tanura, Al Kobar, Dammam so- | no nomi convenzionali per indicare una raffineria tra le più grandi del mondo, un complesso petrolchimico, un porto per l'imbarco del petrolio, e rimangono nella sfera d'influenza di Dahran, anzi, ne fanno parte integrante nonostante la distanza e le cospicue dimensioni di città che potrebbero essere autonome. Ma non c'è da meravigliarsi del dispotismo di Dahran, che, oltre a dominare i centri più uicinf, condiziona anche la vita di tutta l'Arabia Saudita, essendo, per ora, la sola fonte di ricchezza del paese. Su ogni palazzo, scuola, ospedale, cantiere, fabbrica, all'inizio di ogni strada, una targa con su scritto: « Costruito col petrolio di Dahran » non sfigurerebbe. Nell'autunno del 1921,, il maggiore inglese Frank Holmes eseguiva rilievi e prospezioni nel Golfo Persico per conto dello sceicco di Barhein che aveva accettato il protettorato britannico. Cercava falde d'acqua sulla costa dello Hasa, e cadde sul petrolio. Da re Ibn Saud, il maggiore Holmes ottenne un'opzione sul giacimenti; l'offrì a società petrolifere inglesi che la rifiutarono. Holmes la cedette quasi per nulla ad una società americana, la Gulf Oil Co., che la mise, nel cassetto. Del petrolio arabo non si parlò più fino al 1930, quando alcuni prospettori americani sbarcarono sulle coste del desertico Hasa; dopo lunghi rilievi e studi, scoprirono che il giacimento petrolifero che dal Caucaso si stende fino al Golfo Persico attraversando l'Iran e Virali si dirama sotto il fondo marino fin nel cuore della penisola arabica. Per la Gulf Oil Co. il petrolio arabo rappresentava un grosso affare, ma dinanzi all'ostilità-delle compagnie petrolifere inglesi, olandesi e francesi dovette abbandonare le trivellazioni e vendere per 50 mila dollari la sua opzione alla Texas Oil ed alla Standard Oil che, unitesi, formarono la Arabian American Oil, cioè l'Aramco. Oggi, da quei pozzi venduti per poco più di 31 milioni di lire, sgorga una ricchezza che si può calcolare soltanto attraverso gli introiti del governo saudiano tra royalties, tasse e noli, una somma che supera i 1,00 miliardi di lire l'anno; i redditi dell'Aramco sono certo assai superiori. Quattrocento miliardi potrebbero sembrare una cifra modesta, ma bisogna tener conto che l'Arabia Saudita è abitata, forse, da cinque milioni di persone che, in teoria, hanno un reddito medio fra i più alti del mondo. Inoltre, se si calcola che circa due milioni di beduini sono tuttora esclusi dal ciclo economico del paese, cioè non producono e non consumano, quei quattrocento miliardi finiscono per riversare i loro benefici su una popolazione di forse tre milioni. E gli effetti si vedono perché, impiegati con oculatezza dal governo di re Feisal, i quattrini del petrolio producono lavoro, con salari e stipendi non inferiori a quelli europei per operai e impiegati. Gli arabi si sono abituati presto alla nuova realtà economica; ma il repentino passaggio dalla patriarcale civiltà del cammello alla civiltà tecnologica ha provocato squilibri evidenti, che solo il tempo e l'educazione potranno correggere. Però i giacimenti di petrolio non sono inesauribili, ed anche se l'Arabia poggiasse davvero, come sembra, su un immenso oceano di petrolio, l'energia nucleare potrebbe rendere antieconomica l'estrazione. I responsabili del Ministero del petrolio con cui ho parlato a Riyad, pensano di avere ancora mezzo secolo almeno dinanzi a loro; in questi cinquant'anni l'Arabia, che ora vive e prospera soltanto sul petrolio, dovrà costruirsi un'economia differenziata, industrializzandosi e sviluppando l'agricoltura. Già ora si spendono cifre imponenti nelle ricerche idriche per ^trasformare il deserto in giardini. Una società italiana, la Italconsult, compie tali ricerche in vaste zone dell'Arabia, da Riyad all'altopiano dell'Egiaz ai confini con lo Yemen, studiando le possibilità agricole nei luoghi dove esistono giacimenti sotterranei di acqua. Contemporaneamente, numerosi gruppi di geoIoghi di varie nazionalità studiano le possibilità minerarie dell'Arabia, ed hanno scoperto favolosi giacimenti di ferro allo stato quasi puro, di argento, oro, cobalto e uranio. L'Arabia non vuole lasciarsi sorprendere da una eventuale caduta di interesse per il petrolio, e svolge un'attività febbrile in ogni settore per rendere più armonica e completa la propria economia. Però, in attesa del futuro, il petrolio rimane il pilastro essenziale della vita araba, ed è comprensibile che se ne parli continuamente, in ogni occasione, soprattutto per dire che non esiste soltanto il petrolio di Dahran. Infatti, già la Getty Oil inglese, poi l'Arabian Oil giapponese, quindi una compagnia francese, ed infine l'italiana Eni, che sta perfezionando un accordo con l'Arabia per le ricerche petrolifere, hanno un po' incrinato l'assoluta signoria dell'americana Aramco. Ma soltanto incrinato, perché l'Aramco, oltre a possedere già Dahran, ha scoperto nel frattempo colossali giacimenti nel Rub Al Khali, una terrificante distesa desertica che da Dahran si estende fino all'Oman e all'Adramut. Rub Al Khali significa «iZ vuoto », e lì il deserto è più deserto che in ogni parte del mondo, un deserto più assoluto del Sahara, uno sterminato oceano di sterile sabbia sotto cui si annida, pare, uno sconfinato oceano di petrolio. La pianificazione economica dell'Arabia progettata da re Feisal non ha, quindi, ostacoli finanziari; i diecimila chilometri di strade in dieci anni, le acciaierie a Gedda e Riyad, i porti, le scuole, gli ospedali affondano le radici nei lontani deserti d'Arabia, si nutrono di petrolio. Nel 1935, quando i pochi derricks sembravano fragili costruzioni, giocattoli simbolici nell'arida vastità delle sabbie, la produzione di petrolio fu di ni, mila tonnellate; oggi supera i cento milioni di tonnellate e piazza l'Arabia Saudita al quarto posto della produzione mondiate dopo Stati Uniti, Russia e Venezuela, avendo quest'anno battuto anche il Kuweit. Ma si sa che i suoi giacimenti sono i più vasti e importanti del mondo. Francesco Rosso ECIPRO COWTI-BORW) L'Arabia Saudita è estesa 1 milione e 900 mila kmq (oltre sei volte l'Italia) e conta poco più di 6 milioni di abitanti. Il terreno è arido, in gran parte desertico, e non offre altre risorse che la pastorizia; l'agricoltura è limitata ad una fascia costiera. La vera ricchezza è il petrolio: si calcola che le riserve di oro nero equivalgano al 20% del totale mondiale

Persone citate: Francesco Rosso, Frank Holmes, Hasa, Ibn Saud