Un aspro dramma di Osborne in «prima» italiana a Trieste

Un aspro dramma di Osborne in «prima» italiana a Trieste Importante spettacolo al Teatro Stabile della Venezia Giulia Un aspro dramma di Osborne in «prima» italiana a Trieste «Motivo di scandalo e riflessione» è una violenta satira contro tutte le istituzioni britanniche, compresa la monarchia - Il capofila dei «giovani arrabbiati» si è ispirato alla vicenda di un maestro socialista dell'Ottocento, condannato per vilipendio della religione (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 20 gennaio. Minacciato nella sua stessa esistenza da una crisi politico-amministrativa, lo Stabile di Trieste è tuttavia riuscito a sopravvivere. Assunta la denominazione di Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, ha riordinato le sue strutture, ha scritturato nuovi registi e attori, ha varato un cartellone. E in attesa che gli ricostruiscano un edificio troppo frettolosamente demolito — i lavori dovrebbero cominciare nell'autunno —, è tornato nella sede, da quattro anni considerata con qualche ottimismo provvisoria, dell'Auditorium: il nome lo dice, è una sala da concerti ingegnosamente adattata per la prosa. Tante vicissitudini non potevano non causare qualche scompiglio; ma Sergio D'Osmo, direttore artistico, ha limitato i danni di una ritardata preparazione. Nonostante che gli abbonati siano diminuiti, ha potuto dare inizio alla stagione il mese scorso con il Ruzante e, questa sera, degnamente presentare lo spettacolo più importante e più significativo del programma : « Motivo di scandalo e riflessione» di Osborne, in prima rappresentazione per l'Italia. Il trentasettenne John Osborne, capofila dei « giovani arrabbiati » inglesi, non è uno sconosciuto in Italia, ma soltanto la prima, e la più famosa, delle sue commedie è arrivata sui nostri palcoscenici: «Ricorda con rabbia», rappresentata con esito clamoroso e contrastato nel 1956 a Londra. Ricorre quindi il decimo anno di un movimento teatrale che, come ricordano i pannelli esposti nell'atrio dell'Auditorium, ha dato autori come Osborne e Pinter, Simpson e Arden, la Jellicoe e la Lessing, e Wesker di cui lo Stabile torinese sta allestendo « Radici ». Personalità diversissime, s'intende, ma concordi nella battaglia contro il teatro tradizionale e nella protesta, talvolta davvero rabbiosa, contro una società che, nonostante il « Welfare State », li ha profondamente delusi. Anche in «Motivo di scandalo e riflessione», che è del '61, vi è un intento provocatorio che idealmente apparenta questo originale televisivo, interpretato sui teleschermi da Richard Burton e poi adattato per il palcoscenico, alle « commedie per l'Inghilterra » nelle quali Osborne rovescia sarcasmi e veleni sul cosiddetto «establishment» che, con l'aristocrazia, la borghesia conservatrice, e magari con i partiti e i sindacati, comprende in Gran Bretagna istituzioni come la monarchia e la Chiesa riformata. Ma, tornando indietro nel tempo di oltre un secolo, Osborne ha potuto sfogare qui la sottile malinconia e la dolente ironia che, mal celate sotto la violenza del linguaggio e degli atteggiamenti, costituiscono una delle doti migliori di questo irrequieto commediografo. Senza l'ingenuo richiamo brechtiano che aduggerà un anno dopo il suo «Lutero», Osborne si è calato in quell'Ottocento che, a pensarci bene, gli è piuttosto congeniale e ha sceneggiato un avvenimento realmente accaduto nel 1842. In una sera di maggio di quell'anno un giovane maestro sociali sta di nome George Jakob Holyoake, tenendo una con ferenza a Cheltenham, parlò di Dio e della Chiesa d'In ghilterra in termini che suscitarono lo sdegno ipocri ta dei benpensanti e dei giornali della contea, l'in tervento della polizia, una denuncia e, nonostante l'appassionata autodifesa di Holyoake, la condanna a sei mesi di carcere per vilipendio della religione. Questi episodi sono riprodotti, punto per punto, nella commedia che, nella seconda parte, mostra anche i patimenti subiti da Holyoake in prigione e la solitudine in cui viene a trovarsi uscendone: mortagli di stenti la figlioletta, diventata a lui ostile la mo¬ glie, abbandonato dagli ami-ci, egli è ormai un dimenticato. Amara conclusione, eppure intonata all'affettuosa immagine del socialismo «cartista» che l'autore sembra abbia voluto restituire nelle sue .'enature romantiche e utopistiche corroborandole con alcune sferzanti considerazioni sui nostri tempi, affidate alla voce di uno « storico ». Di questo non vi era tuttavia traccia nella rappresentazione di stasera. Forse irretito dalla ascetica scenografia di Luciano Damiani, il giovane regista Raffaele Maiello (come il Damiani, viene dal « Piccolo » milanese e dalla scuola di Strehler) ha sospeso lo spettacolo fuori Sei tempo attribuendogli un carattere di « Via Crucis » laica che il testo non sopporta. E, rifiutando ogni descrizione realistica, lo ha avvolto in un astratto candore — contro i bianchi velari i costumi e gli scarni elementi scenici fanno macchie grigie e ferro — e gli ha impresso un ritmo lento e ieratico che è facile, ma non ingiusto, definire « galileiano ». Davvero, i nostri gio vani teatranti non riescono a liberarsi dall'ossessione dello spettacolo di Strehler. Ma dello scenografo e del regista restano degne di ammirazione, se non di lo- de, il rigore e la coerenza che, naturalmente, si ritro vano nella interpretazione. Egisto Marcucci, ancorché privato delle sfumature ironiche, ha dato umanità e calore al timido e balbettante protagonista (Osborne, giustamente, non ne ha fatto un eroe tutto d'un pezzo) primeggiando in una folta schiera di più scialbe figurine — e qui. è anche un difetto del testo — interpretate con accorato ritegno da Nicoletta Rizzi (la moglie) e con precisione e diligenza da Roberto Paoletti, Werner Di Donato, Giorgio Valletta, Lino Savorani, il Lo Vecchio, il D'Amato, il Biason e molti altri ancora. Cordiale il successo, molti applausi per il regista e gli attori. a. bl.