La civiltà africana è un mondo ignoto che offre all'esploratore splendide sorprese

La civiltà africana è un mondo ignoto che offre all'esploratore splendide sorprese ABBIAMO CERCATO DI CONOSCERLO PRIMA CHE SCOMPAIA La civiltà africana è un mondo ignoto che offre all'esploratore splendide sorprese Con macchina da presa e registratore abbiamo percorso migliaia di chilometri alla scoperta non del paese, ma degli abitanti - Un ricco patrimonio di tradizioni, cultura, riti, sta perdendosi nel grande movimento di occidentalizzazione - Il passato dell'Africa è molto più interessante e complesso di quanto i «bianchi» non abbiano pensato fino a tempi recenti - Studiandolo, si trovano insospettati legami con il nostro mondo: gli indigeni del Tanzania cantano l'Arca di Noè, quelli del Congo lavorano al ritmo di una canzone sulla Torre di Babele (Nostro servizio particolare) Tanzania, gennaio. Eravamo — poche settimane fa — sulle rive dell'Oceano Indiano, in un villaggio di pescatori < bantu* e con la macchina da ripresa filmavo un gruppo di bambini più neri della loro ombra sulla sabbia bianca, mentre con il registratore veniva incisa la cantilena che — giocando — essi ripetevano in coro. Avevano messo a galleggiare, sull'acaua calma del mare, un asse, sul Quale disponevano ordinatamente una serie di statuette d'animali in legno. Il curioso, l'imprevedibile di Quella scena consisteva nel fatto che la cantilena di Quei ragazzi — e il loro stesso gioco — narravano una leggenda simile, se non identica, a quella dell'arca di Noè. Dicevano le loro parole: « Un giorno sul villaggio cadde - pioggia e pioggia tanta pioggia che sommerse ogni cosa. «Un uomo buono - e i suoi figli che erano tre - sulle onde di quella pioggia - fecero galleggiare la grande zattera - ed essi e ogni animale furono salvi: - l'uomo, il grande elefante - e anche la minuscola, sperduta formica. - Galleggiò la grande zattera sola - per giorni e giorni - l'uomo buono, 1 suoi figli e quegli animali - furono l soli ad essere salvi. « Fino che il sole spuntò ancora tra le palme». I/ascoltare le parole di quel canto ci procurava una profonda emozione; e non solo per la sua semplice bellezza, ma soprattutto perché era un € documento* preciso che riuscivamo a cogliere con i nostri mezzi di registrazione, un documento prezioso per il lavoro che mi ero ripromesso di svolgere in Africa per conto della televisione italiana. Il compito di questo mio ultimo viaggio è consistito, infatti, nel dirigere le riprese di una serie di film sulla storia dell'Africa e della sua conoscenza, dai tempi più antichi ad oggi; e un canto di «bantu» che narrava in termini propri, autentici, una delle pagine più famose della Bibbia, era tale efficace prova della tesi che mi ero ripromesso di svolgere nella mia serie televisiva, da farmi entusiasmare. In che cosa consiste questa tesit E perché mai ritornavo ancora in Africa per un lavoro documentaristico « alla scoperta dell'Africa*! Cosa c'è ancora da scoprire in un continente del quale ci sembra di saper tutto! Sembrerebbe, oggi, che la parola « esplorazione » si debba lasciarla a chi sta accingendosi a volare verso la Luna, alla conquista dello spazio. Eppure, in certi casi (e coniugando il verbo « esplorare » con la dovuta attenzione) molti aspetti del mondo che ci circonda sono ancora da scoprire, soprattutto riguardo all'Africa. <La scoperta dell'Africa*, della sua cultura, della sua spiritualità, della sua realtà storica, possiamo dire stia cominciando solamente ora. Dal tempo delle prime esplorazioni, s'è parlato soprattutto dell'Africa, e ben poco degli africani. Nel passato come in tempi molto recenti, una delle colpe di chi ha esplorato o visitato l'Africa per farla conoscere, è stata la distrazione a causa della natura. I branchi di animali selvaggi e il baobab e le cascate Victoria e il rinoceronte, la mosca tse-tsè, la ferocia del coccodrillo, l'insidia delle rapide, la tortuosità dei fiumi, le gemme e i fiori della terra, le maestose foci del fiume solenne, le verdi foreste lussureggianti, hanno spesso fatto scomparire (agli occhi del viaggiatore) l'uomo africano. Per questo « la scoperta dell'Africa * è sempre stata parziale, incompleta: e lo è tuttora. Solo da pochi anni è cominciato a svilupparsi un preciso, generale interesse per le popolazioni del continente, viste nell'insieme della loro storia e della loro civiltà. Ed è alla luce di questo interesse « umano* che abbiamo compiuto il nostro lavoro in Africa, ritenendolo non inutile e non certo una « ripetizione * di altri lavori già compiuti. Abbiamo rivisitato l'Africa cercando di entrare il più possibile nella sua storia segreta, intima: quella tanto profondamente diversa dalla nostra, e quella, invece, che ci è più vicina, uguale, in certi casi quasi simt'ie. Proprio in casi come quello della leggenda dell'arca di Noè, ci siamo accorti che soprattutto per documenti che ci giungono dai tempi più antichi vi sono coincidenze fra miti e leggende africane e i nostri miti e le nostre leggende. E questo, come ho detto, dimostra che alcune tra le più note pagine del patrimonio culturale si possono ritrovare qua e là in Africa, con lievi mutameniiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiia fi, identiche a quelle europee; quasi ad affermare che - al di là del colore — l'uomo in quanto tale si rifà a radici comuni. Un'altra testimonianza in questo senso, ben simile alla prima (benché la sede ove l'abbiamo colta si trovi a S000 chilometri di distanza dalla precedente) l'abbiamo trovata presso i < Batekè », nel medio Congo; si tratta di un altro canto tradizionale negro-africano strettamente connesso con un altro famoso racconto della nostra Bibbia, che tramanda una leggenda simile a quella della torre dì Babele. Lo abbiamo ascoltato in un villaggio dove venivano costruite nuove capanne; per l'occasione un vecchio ripeteva l'antico canto contro i pericoli delle discordie e delle rivalità: « Volevano giungere al cielo - con una torre- di legno - volevano giungere al cielo - per vedere Dio e - sentirsi potenti quanto lui - «Ma quel lavoro non ebbe mai fine - e il legno della torre - marcì lentamente e cadde a pezzi - e le termiti lo divorarono ». / picooJi alacri « Batekè * costruivano le loro nuove capanne intrecciando uno sull'altro i pali di potò-potò, una intelaiatura fitta, geometrica, soltda, che saliva sino all'altezza del tetto e veniva poi- coperta da un impasto di fango e paglia. Il lavoro procedeva veloce e ci volle meno di un giorno a completarlo; il « canto della torre * venne ripetuto ancora una volta prima di sera, e ci sembrò facesse parte di una sorta di tradizionale abitudine, quasi avessero, quelle parole, una loro precisa forma di bonaugurio. Ma ci sembrò anche che, dietro l'abitudine di ripetere quei versi, non ci fosse null'altro. E in quel caso, come in altri analoghi, ci parve chiaro che l'africano di oggi ricorda i canti tradizionali del suo gruppo ma, spesso, egli stesso non sa più riviverli. Nel nostro lungo itinerario degli scorsi mesi con l'aiuto di una numerosa e valida troupe di tecnici, e in altri precedenti viaggi assieme a mia moglie, abbiamo voluto capire il più possibile cosa dicono, di cosa parlano, che cosa pensano la maggior parte degli africani, soprattutto riguardo alle loro tradizioni passate, alla loro storia, alle loro originarie culture. E, alla fine, abbiamo dovuto convenire su una prima drammatica constatazione: che l'africano sta perdendo ogni contatto con le sue radici più antiche. E' sorprendente accorgersi che non solo noi europei ignoriamo una gran parte del la storia e delle culture pas sate dell'Africa, e ci accon tentiamo di nozioni vaghe e di luoghi comuni: ma che nelle stesse condizioni — '.t trovano anche gran parte delle popolazioni africane. E se storici, etnografi, sociologi, antropologi — con l'aiuto e la collaborazione di fotografi, di tecnici del suono, di scrittori e di documentaristi — partono « alla scoperta dell'Africa * in questa direzione, compiono un lavoro evidentemente preziosissimo, e non solo per chi vive al di fuori del continente, ma per gli africani stessi. Ci ha detto Léopold Sedar Sengor, il poeta presidente del Senegal: « Bisogna far presto: viaggiate, scoprite l'Africa, coglietene i suol aspetti più veri, importanti, antichi, perché il continente sta livellandosi su moduli e schemi che gli sono estranei. E ben presto, del suo passato, l'africano non ricorderà più nulla e ogni ricerca sarà impossìbile ». E di questo passato africano, e di quanto abbiamo potuto sapere e raccogliere, vi narreremo in questa nostra serie di servizi, nei prossimi giorni. Folco Quilici uiiiiiiitiiiitiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiitiiitiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiftiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiLaura Quilici nel Sahara mentre ascolta un'antica leggenda berbera. La giovane signora accompagna sempre nelle sue spedizioni il marito del quale è preziosa collaboratrice come esperta fotografa (F. Folco Quilici) Folco Quilici in Tanzania con un guerriero « musai » armato di zagaglia della quale si serve per cacciare le antilopi nelle savane (Fotografia di Laura Quilici)

Persone citate: F. Folco Quilici, Folco Quilici, Laura Quilici, Noè, Quilici