Gli indi, popolo di fantasmi nei luoghi dell'antica potenza di Guido Piovene

Gli indi, popolo di fantasmi nei luoghi dell'antica potenza fVfl PERÙ DEVASTATO DAL DOMINIO COLONIALE Gli indi, popolo di fantasmi nei luoghi dell'antica potenza (Dal nostro inviato speciale) Cu/.co, gennaio Le classi alte di Lima, gli abitanti delle belle ville circondate da mura, non potrebbero vivere, senza essersi immunizzati con un sistema di giudizi tranquillizzanti. Le cose che ho ascoltato qui si dicono dappertutto, ma qui in modo più categorico, più sicuro, più generale, c quasi obbligatorio in una minoranza ancora potente ma relativamente esigua. Gli indi stanno in capanne repellenti, composte di quattro pali e cinque stuoia (quattro, se manca il tetto)? Sono loro che lo preferiscono, diversamente soffrirebbero. Si regala un vestito a un indio? Lo cambia subito al mercato con bevande alcooliche. Un industriale ha regalato un letto per ciascuno ai quattro migliori operai; nessuno ci ha dormito. (Lo credo. Certe abitudini non possono essere individuali. Ridicolo pensare che uno dorma in un letto dove la regola sociale è coricarsi sugli stracci, tra gli animali e le immondizie). Si narrano storie amene. Per esempio, una donna non cambia mai sottana. Quando la prima sottana della sua vita va a pezzi, non la toglie, ma ne sovrappone un'alrra. Poi una terza. Coìì può averne dieci o dodici sovrapposte, ma la prima rimane sempre. Nelle montagne gli uomini fanno l'amore con le femmine del lama, che sono lascive, e si danno come una donna, eccetera. Il moltiplicarsi dei fatti di violenza impressiona i giornali autorevoli, che ne accusano la magistratura, e chiedono maggiori misure repressive. Ripenso a queste cose aCuzco, nel cuore dell'antico impero degl'indi. Per numero costituiscono la grande maggioranza dei peruviani. Otto milioni e mezzo, compresi i meticci, su una popolazione che oggi si aggira sui dodici. Di quegli otto milioni e mezzo, un milione circa è affluito sulla costa, specialmente a Lima, nei tuguri che ho detto; gli altri stanno ancora sui monti delle loro origini. Hanno ; polmoni abituati all'aria delle gran di altezze, la costa coi suoi microbi li distrugge. Quelle che ho dato sono cifre approssimative, basate sui registri delle parrocchie. Questi registri non arri vano dappertutto. Come possono le autorità richiamare sotto le armi individui non registrati? In molti casi si ricorre all'antico metodo delle retate, specialmente sulle montagne; un giovane che non ha il foglio di congedo viene preso e portato via. Di passaggio dirò che l'esercito peruviano è efficiente e molti ambiscono di entrarvi. Impressionante è una statistica che mi è stata fornita. Lascio stare l'analfabetismo, che per me è sempre difficile valutare. Bisogna infatti stabilire che cosa intendiamo per analfabeta. Basta dire che la maggioranza è ancora analfabeta con un largo scarto. Ma il 6o per cento degli abitanti del paese è afflitto da malattie polmonari. Pochissimi i bambini non ammalati, non rachitici, anche se hanno un aspetto attraente. Ho letto poi una cifra a cui quasi non riesco a credere: vi sarebbe il cinquantadue per cento di nati morti. Che l'indio sia ineducabile alla civiltà, naturalmente è una bugia, come per qualunque altra razza. Le persone prese a servizio nelle famiglie ricche, o nelle residenze dei diplomatici, si abituano presto, e come, a dormire nei letti, a mangiare a tavola e bene e a vivere con decenza. Mi è parso poi che gli indi abbiano due notevoli talenti naturali: sono buoni dialettici nel dire le loro ragioni e, se diventano operai, buoni operai, molto precisi e con speciale talento per la meccanica. A Chichita. famoso luogo di villeggiatura sui monti dietro Lima, un meccanico indio ha riparato bene un guasto della macchina su cui viaggiavo, smontando e rimontando il motore. Lo rimontava lentamente, tutto aggrondato e concentrato nello sforzo di ricordare l'ordine da seguire nel rimettere a posto i pezzi. Unico inconveniente, se un pezzo piccolo cadeva, era difficile trovarlo sullo strame di sudiciume che ricopriva il pavimento. Altri indi, intorno, fabbricavano con perizia cancella¬ te di ferro. Ma la civiltà nel lavoro non comporta un'eguale civiltà nella vita. Se poi si esce dagli episodi, dai casi d'individui che s'inciviiscono separandosi dal proprio ambiente, il discorso diventa tragico. Mi sembra che un legislatore potrebbe essere portato alla disperazione. Sarebbe inesatto qualsiasi confronto coi negri africani, molto più reattivi e politici, e quando vengono a contatto con la civiltà moderna pronti ad assimilarla. Molti paesi dell'America Meridionale, civili e pari all'Europa nelle classi alte, presentano nel loro insieme casi più tormentosi, più difficili da sbrogliare e più intrattabili dell'Africa. Tolti alcuni soprassalti sterili di ribellione e di violenza, gli indi sono una materia umana passiva, inerte, decaduta, in cui è difficile trovare il punto su cui fare leva Li hanno resi così una colonizzazione peggiore di tutte le altre, poi secoli di soprusi. A questo si aggiunge l'orgoglio segregatore di un passato potente c libero, lontano ma non tanto che non ne resti negli animi la leggenda. Adesso, a Cuzco e nei dintorni, fra i tremila e i quattromila metri, assisto alla vita degli indi rimasti nelle loro terre. Sono per lo più agricoltori, nel senso che si cibano con i prodotti della terra. E' vero che lavorano molto poco. Può darsi che a questo concorra l'altitudine, poco adatta alle grandi fatiche; e anche l'orgoglio atavico, una filosofia non attivista e non venale, la scelta del poco lavoro come mezzo d'isolamento. Ma la ragione principale è la paura del sopruso che rende il lavorare inutile, una specie di resistenza passiva alla violenza. Troppo spesso il contadino indio, d'indole remissiva e debole, si è sentito dire da una autorità civile, magari da un cattivo prete: « Che cosa ne fai di due vacche? Una ti basta; io prendo l'altra ». Perciò, si è abituato a non allevare animali, né a coltivare terra, più di quanto gli basta per vivere in modo stentato. Questo riguarda soprattutto i piccoli proprietari. Per i lavora tori agricoli che v'-ono in fondi altrui, la legge, che è piena di buone intenzioni,- ha stabilito adesso un minimo di paga. Ala ho constatato io stesso che molti proprietari non osservano questa legge. Danno paghe irrisorie (anche meno di 100 lire al giorno), o addirittura niente: soltanto il diritto di pascolo di alcuni capi di bestiame su cui il colono vive. In cambio, deve coltivare l'intero fondo a esclusivo beneficio d'altri. Si tratta così di una vera servitù della gleba. Ma questo non è ancora il peggio. Avvezzi a mangiare pochissimo, e a non cercare di più, gli indi si sostentano in maniera diversa. Il primo espediente è succhiare, tenendola tutto il giorno nell'angolo della bocca, una pallottola di foglie compresse di coca, per lo più rinforzata con altre sostanze. Queste pallottole di foglia si vendono liberamente, ed uno straccio appeso come una bandierina ne segnala gli spacci. Naturalmente non si tratta di cocaina, destinata ad altri mercati, ma delle foglie della pianta da cui si trae. E' un energetico, ed in più toglie la voglia di mangiare; ma, benché un viaggiatore del Seicento, il Carlctri, ne decantasse i pregi, i suoi effetti alla lunga risultano deleteri. Infatti i bambini degli indi sono vivaci, vispi; ma cambiano dopo i dieci anni. Da allora cominciano poco a poco ad assomigliare ai grandi, diventando silenziosi e tristi, con gli occhi dei drogati, allucinati e fissi. Purtroppo, nonostante la propaganda contraria, le statistiche dicono che l'uso della droga è in crescita. Anche l'alcool sostituisce il cibo. La bevanda più abituale è la chicia (mi sembra che si scriva così), una specie di birra di granturco, che gli indi producono da sé-, a quanto pare, in molti casi, masticando il granturco in bocca, perché la saliva umana migliora la qualità dell'impasto. Per questo, benché mi dicessero che la fermentazione trasforma il prodotto, non ho osato assaggiarla. Non è più forte della birra, ma gli indi ne bevono inehe dodici litri al giorno. Delle malattie, si è già detto. Perché credono che il bagnarsi sia nocivo, perché l'acqua della montagna è fredda, o per altri motivi, non si lavano assolutamente mai: l'unica acqua che li tocca è la pioggia. I più muoiono giovani, e li sfianca, mi dico no, anche un forte erotismo, co me si vede dal gran numero dei bambini, unito ad uno scarso vigore sessuale. La poligamia è diffusa, non nel senso dell'harem, ma in quello di cambiare coniu ge facilmente; non so quanto diffuso sia ancora l'uso della convivenza per prova prima del matrimonio, o l'altro, che secondo alcuni va scomparendo ma riaffiora, di lasciare in prova la sposa a un padrino anziano più esperto nel valutarne i meriti. Questi corpi malati e deboli sono fortissimi in due cose, porta re pesi e camminare. Il grandissimo camminare è causa di quel pittoresco che pia ce tanto ai viaggiatori. Gli indi dispongono di un triste tempo libero in abbondanza; gli abiti variopinti delle donne, i loro cappelli, che variano secondo luoghi, gli strumenti musicali e i balli, gli danno un'apparenza gaia. Lo impiegano nello spostarsi. Vanno ai mercati, dove ognuno porta la propria merce, e la cambia con altra; ho già fatto una collezione di mercati, in città e in campagna, senza averne il proposito. La dome nica. vanno a Messa. Scendono allora a frotte da montagne sco scese, rigano gli altopiani, tra le mandrie dei lama. . Al chiarore che pure alida va a poco a poco crescendo, si distingueva, nella strada in fon do alla valle, gente che passava, altra che usciva dalle case, e s'avviava, tutti dalla stessa par te... »; questo ricordo manzoniano mi tornava in mente vedendo le file degli indi in cammino, ma tinto d'un colore vivido Giacché bastava osservare quei corpi in moto per scorgervi gli effetti della coca, dell'alcool, della denutrizione. Ma oltre ai luoghi fissi, come la chiesa ed i mercati, gli indi hanno mete variabili. Corrono a piedi dove sanno che, anche a grande di stanza, oltre monti e vallate, c'è uno sposalizio, un battesimo un funerale; in gruppi che s'ingrossano strada facendo, guidati dall'alcalde con uno scettro, con tamburi e trombette; quando la festa è un funerale, portano au che uno stendardo sul quale è disegnato un teschio. Cinquanta chilometri al giorno a piedi non sembrano troppi. Alle ragioni consuete per cui i popoli primitivi fanno festa quando uno muore, gli indi ne aggiungono un'altra: ritengono che la morte sia un evento fe lice, perché il sepolto va a stare meglio di loro. Lo seppellì scono, per solito, in cimiterini di poche tombe che risaltano negli spazi piani desertici. Que sti gruppi di indi che vanno a una lontana festa si incontrano continuamente, su ogni sentiero, o accovacciati a riposare e a bere, perché tutto finisce sempre in una sbronza colossale; e mi resta viva l'immagine di una donna d'aspetto decrepito trascinata, tenendola su per le ascelle dai compagni. Esiste anche un altro genere di feste, che mi sono state descritte, come una corrida paesana metà spagnola e metà india. Mi pare che sia stata rappresentata in un film. Per aumentare i tormenti del toro gli legano sul dorso un condor che lo ferisce con il becco. I toro è fatto a pezzi, ma il con dor viene liberato dopo una cerimonia, in cui lo si ubbriaca coi, un'acquavite. Questo popolo così spesso tra gicamente in festa, che vagabonda carico di poveri cibi e di chicia in cerca di sposalizi e di funerali, su sfondi di natura splendida disseminata di fortezze in rovina, mi sembra uno dei più deboli e più infelici della Terra. Ha scoppi di violenza continui ma episodici, e una filosofia non bellicosa ma pacifica; è chiuso, muto, disdegnoso; un grande sciame di fantasmi a colori che vive e si aggira nei luoghi dell'antica potenza Quelli, soprattutto meticci, che vivendo in città si spingono fino ai gradi bassi della classe media, non- hanno una vita più facile, e soltanto il tormento di essere più istruiti. Il dominio coloniale ha devastato questo popolo, la sciandogli in eredità poco o nul la. soltanto qualche superstizio ne di più. qualche nota di color locale e il sentimento del nulla Guido Piovene

Luoghi citati: Africa, America Meridionale, Chichita, Europa, Lima, Perù