La morte dello scultore Alberto Giacometti di Marziano Bernardi

La morte dello scultore Alberto Giacometti INTERESSANTE FOCE DELL'ARTE E DEL MONDO D'OGGI Nato in Svizzera 64 anni fa, educato a Parigi fra il surrealismo e Sartre, ha raggiunto in questo dopoguerra una fama mondiale - Deve la celebrità soprattutto alle sue sculture filiformi, rigidi « colossi in miniatura » : riflettono inquietudine e tristezza, come un gioco desolato La morte dello scultore Alberto Giacometti (Dal nostro corrispondente) Berna, 12 gennaio. (1. f.) Il noto scultore elvetico Alberto Giacometti si è spento la notte scorsa in una clinica di Coirà, nei Grigioni. Giacometti era nato nel 1901 nel paesino di Stampa in Val Bregaglia, nella parte di lingua italiana del Cantone dei Grigioni. Abitava stabilmente a Parigi dove godeva di una\ meritata fama, ma ogni anno non mancava di trascorrere un periodo di vacanza nel suo paese natale. Ieri, improvvisamente, Alberto Giacometti accusava un forte malessere e veniva trasportato a Coirà; .ma poco dopo il ricovero in clinica decedeva per infarto. La morte relativamente precoce di Alberto Giacometti contristerà molti collezionisti sparsi in tutto il mondo e innumerevoli amatori d'arte moderna, che ammiravano le sue sculture filiformi come una grande originalità della plastica contemporanea, dimenticando le analoghe statuine che si possono vedere al Louvre o nel Museo di Villa Giulia a Roma, e quella ancor più tipica, ancor più « giacomettiana », del Museo di Volterra, modellate assai più di venti secoli fa dagli scultori etruschi. Questo si dice per quanto potrebbe riguardare la « invenzione » di una forma (e si sa che uno dei maggiori stimoli degli artisti d'oggi è la ricerca continua della « invenzione », è l'ansia di riuscire diversi da ieri e da Ieri l'altro, tino alla pop-art od alla op-art, ecc.), restando pacifico che si può crea re un capolavoro sulla falsariga di Fidia o di Prassitele. La domanda è, piuttosto, se le fa¬ mose sculture filiformi di Giacometti, celebrate in Europa come in America, acquistate a gara dai più importanti musei, e che gli valsero nel 1962 il gran premio della Biennale di Venezia, siano dei capolavori; e qui i pareri possono essere divisi, pur riconoscendo all'artista svizzero una eminente personalità che lo caratterizzava inconfondibilmente. Capolavori, ad esempio, per la soprintendente alla Galleria d'arte moderna di Roma, Palma Bucarelli. che sul Giacometti pubblicò presso l'Editalia nel '62 un grosso libro che recensimmo su queste colonne. * Come nessun altro ha posto il suo problema in termini estremi, di "essere" e "nulla"; e l'Ila risolto al modo di Sartre, il suo grande amico e il suo più sottile esegeta, col riconoscere la presenza dell'essere nel grembo del nulla, con la scoperta di una sorda e irritata dialettica che fa dell'essere non più un'immutabile verità onta logica, ma un sudato e lacrimato riscatto di ogni ora, di ogni istante della vita. Dialettica, ma anche dramma e, quel all'è più strano, anche gioco perchè c'è un aspetto amaramente lusorio nell'arte di que sto scultore che ha dato al mondo, se proprio voglia ancora giocare alla guerra, un'armata di soldatini di piombo, benché distorti e squagliati nel gesto di marciare, come il soldatino di piombo della favola di Andersen ». Si può dubitare assai dell'affinità teoretica fra la scultura giacomettiana e la filosofia esistenzialista del pensatore e romanziere francese; ma una certa dose di « gioco » — un gioco triste, faticoso, e in fondo deludente — c'è nell'insistenza di quest'artista bivalente, scultore • pittore, su quei due inevitabili motivi formali, la testa del fratello Diego e la testa di una sempre medesima donna, motivi indagati, frugati, scavati in un viluppo di linee a ghirigori, in un fosco colore di lavagna, in una materia plastica a grumi e a colaticci di candela, molliccia e povera, come impastata nel fango per mostrarsi vieppiù deperibile. Se Giacometti infatti aveva una sua filosofia (e lui certo lo andava predicando in interminabili discorsi e discussioni), questa era una desolata filosofia. Non sempre gli omuncoli con la testa a spillo, le braccia serrate al tronco, le gambe unite, non sempre questa crisalide umana che talvolta si apriva a scatti burattineschi restando radicata al Anto suolo da mostruosi piedi, era stata il suo tema prediletto, da luì svolto specie dopo 11 1945. Nato a Stampa in Val'Bregaglia, fra Chiavenna e Passo Maloja, il 10 ottobre 1901, dal padre pittore era stato mandato a studiare a Ginevra, poi, dopo un soggiorno di 9 mesi in Italia, a Parigi nell'Accademia della Grande Chaumière. Prese allora a lavorare qualche tempo con Archipenko, della cui scultura più o meno cubisteggiante è traccia nelle prime opere del giovane, tosto raggiunto dal fratello Diego, anche lui scultore, col quale inizia una produzione d'oggetti decorativi «d'un gusto manieristico e capriccioso ». Quindi è la solita trafila di esperienze e simpatie, imposte dall'ambiente e dal confluire e scontrarsi delle varie poetiche nel crogiuolo parigino: interesse per il Cubismo e l'arte negra, quinquennale contatto coi Surrealisti, ritorni di fiamma per Dada; e naturalmente la sua scultura segue quatte tappe. Il biografo annota: « Dal 1935 al 19Ii0 restringe la ricerca, sempre più tesa alla eliminazione del volume, allo studio di teste da pochi modelli: il fratello Diego, una donna. Minima, in questo pe riodo, l'attività nel campo del disegno e della pittura ». Ed è ora la volta di quelli che un certo pubblico irriverente ha chiamato i « candelotti » di Giacometti, il solito pubblico che « non capisce niente » (for sé, però, anche perché non sempre c'è qualcosa di straordinariamente profondo da capire). E' probabile, ad ogni modo che senza le sue figure filiformi, ora libere nello spazio ora chiuse in limiti segnati da simboliche « gabbie prospettiche », Giacometti non avrebbe raggiunto tanta straordinaria fama, iniziatasi nei '48 con la grande mostra personale nella galleria di Pierre Matisse a New York. La Bucarelli le ha definite la «strana, inquietante progenie di colossi in miniatura, di cui Giacometti ha popolato il mondo ». Certo egli nella grafica come nella pittura e nella scultura ha acutamente espresso, con monotona insistenza, un aspetto dell'ambiguità che caratterizza sia la vita che l'arte moderna. E' stata una voce del mondo d'oggi, non strapotente, anzi piuttosto flebile e tuttavia interessante. Ora i suoi prezzi vanno alle stelle. Può essere che fra venti secoli que sti «colossi in miniatura» siano nelle vetrine dei musei guardati con curiosità, come adesso si guardano le figurette degli scultori etruschi: che non è escluso fossero anch'esse uno stilizzato, espressionistico «gioco» anticlassico. Marziano Bernardi