Il problema «nazionale» di Roma va risolto con piani costruttivi di Igor Man

Il problema «nazionale» di Roma va risolto con piani costruttivi Il paese non può disinteressarsi della capitale Il problema «nazionale» di Roma va risolto con piani costruttivi Non servirebbe a nulla una enorme « elemosina » per pagare i debiti del Comune - La legge speciale, attesa da poco meno di un secolo, deve portare una nuova vitalità economica alla Capitale e chiarire i suoi rapporti con lo Stato e con gli enti «extra territoriali» - Non può continuare la situazione presente: su due milioni e mezzo di abitanti, solo 800 mila hanno un lavoro più o meno sicuro ; e, di questi, metà sono pubblici impiegati (Nostro servizio particolare} Roma, gennaio. Il dramma di Roma: elefantiasi demografica, rachitismo industriale. Ed è un cnlcfidramma che «si replica» da \cnovantacinque anni: quando la capitale venne trasferita da Firenze sul Campidoglio, Roma era soltanto pdamliri paesone gravitante nel- ll'orbita vaticana; le più grandi città europee da tempo erano uscite, allora, dal limite angusto delle vecchie mura grazie all'intraprendenza di una borghesia illuminata che aveva saputo assorbire la rivoluzione industriale con slancio e lungimiranza. Sulla diffìcile e caotica crescita di Roma pesa questo vizio d'origine che si traduce, oggi, in una popolazione di due milioni e mezzo di abitanti di cui solo ottocentomila hanno un lavoro stabile. Come se non bastasse la metà circa di questi ottocentomila sono dipendenti dello Stato o di enti locali: in una città priva di risorse industriali, e, di conseguenza, « condizionata » dalle attività di governo e dai traffici del sottogoverno, quella degli «impiegati» è fatalmente una piaga profonda. « Un uso inveterato — scriveva cent'anni fa Edmond About — vuole che ogni personaggio importante, cardinale, prelato o principe, si dia cura di sistemare i propri clienti e amici in qualche posto del governo. La molteplicità degli impieghi e la modicità degli cmorari procedono da ciò, e sono due veri flagelli». Ventiduemila sono le persone che dipendono dal Comune di Roma, ma non sono pochi gli avventizi cronici, i così detti «quadrimestrali», ad esempio, ai quali viene rinnovato il contratto ogni quattro mesi; e mai che ne sia stato licenziato uno, uno solo da vent'anni a questa parte. Esistono persino i « giornalieri » : furono assunti, poniamo, dieci anni fa «per qualche giorno» e da allora continuano a percepire una diaria quotidiana... Tutta questa gente guadagna compensi irrisori, lavora di malavoglia ed è costretta ad arrangiarsi svolgendo cento altre attività spesso al confine con l'illecito. Come stupirsi se il gettito fiscale di Roma è fra i più bassi d'Italia in relazione alla sua cospicua popolazione? I tributi incamerati dal Comune nell'anno 1963 furono in tutto 54 miliardi 397 milioni; nel '64 sfiorarono i 62 miliardi. Solo duecentocinquantamila persone pagano l'imposta di famiglia, molte delle più prospere attività commerciali che si svolgono in Roma sono tassate all'origine (a Milano, a Torino, a Genova). Sotto la spinta della giunta di centro-sinistra e, in particolare, del vice sindaco Grisolia (socialista) è in atto una severa e imparziale revisione della « platea contributiva », ma i frutti di questa difficile operazione (che, oltretutto, implica altre spese e personale adeguato) si vedranno fra qualche tempo. Oggi come oggi, l'insieme delle entrate comunali basta appena a coprire il 97 per cento circa delle spese fisse, e cioè gli stipendi e i salari dei dipendenti comunali e gli interessi per i mutui già contratti; per tutto il resto non c'è una lira, nel vero senso della parola. « Tutto il resto » : servizi pubblici, comunicazioni, vettovagliamento, scuole, eccetera. Ciò spiega in buona parte il primato detenuto da Roma in fatto di scioperi e, di conseguenza, il metro qualunquista con cui la cittadinanza misura le « prestazioni » del Comune in rapporto alle proprie esigenze. Tutti protestano, stizzosamente seppure senza astio : « Solo a Roma si vedono certe cose », è un modo di dire entrato ormai nell'uso corrente, ma vien fatto di domandarsi quanti di coloro che protestano abbiano le carte in regola per farlo, quanti si rendano effettivamente conto dei problemi di Roma, atteso che li conoscano e sappiano perché sussistono. Preoccupata da questa scarsa conoscenza dei problemi propri di Roma, l'ammini strazione capitolina ha de eRidtugnslglstvnpnsnstnabddtpdts«sppnrttarcudncscdgeèmmcbnpapdslraccl1qdestnntfècscdgaupesMB ciso non solo « radicali innovazioni nella struttura dell'azienda comunale » (il decentramento, cioè, degli uffici-base), ma altresì «con crete iniziative di relazioni pubbliche » affinché il citta dino «.sappia, giudichi e avanzi proposte e suggerimenti nell'interesse della col¬ lectività ». Sulla rivista Capiiolium, edita dal Comune, Armando Ravaglioli, « romanista » tra i più provveduti pur essendo anch'egli, al pari di altri « difensori » di Roma, un inurbato, ha scritto che gli amministratori avvertono con sempre maggior disagio il senso della loro solitudine, di quel distacco dagli amministrati « che li isola nell'assunzione di responsabilità pesanti senza l'effettiva partecipazione di una vasta e rappresentativa opinione pubblica ». Ma la colpa, riconosce il Ravaglioli, non è tutta degli amministrati dal momento che finora il Comune si è loro presentato « col volto del debitore insolvente, in quanto non sempre in rególa con la attuazione delle opere pubbliche e dei servizi richiesti dalla comunità, con quello dell'esattore fiscale, in quanto impone gabelle e imposte, e infine con quello del cerbero che intima contravvenzioni ad ogni pie sospinto ». Ora è stato costituito un « Comitato per le manifestazioni romane », per « riprendere con argomenti appropriati e con mezzi idonei un dialogo che corre il rischio di isterilirsi su battute vecchie e stereotipate». In parole povere, gli amministratori capitolini respingono il luogo comune che vorrebbe Roma essere una città pigra, la « grande parassita della nazione » ; ma si rendono conto che per smentire questo stesso luogo comune, accreditato, indubbiamente, da una serie piuttosto lunga di fallimentari gestioni e di programmi velleitari, è tempo, gran tempo, di dimostrare, «al paese e al mondo », che Roma è una comunità sensibile al problema del suo pieno aggiornamento, che comincia a ripiegarsi su se stessa, « con attenzione e con umiltà », per affrontare i problemi del suo riordinamento, nel suo aspetto esteriore e nella organizzazione dell'intera macchina cittadina. E' vero, ammettono gli amministratori capitolini, che Roma continua a invocare la Legge speciale (sollecitata la prima volta nel 1871!), ma chiariscono che questa legge non deve tradursi in una « gigantesca elemosina » bensì esprimersi nel quadro di una politica di riqualificazione economica dei grandi centri nazionali, nel più largo contesto della programmazione. H sindaco Petrucci non fa che ripetere che Roma è un problema nazionale e, come tale, va studiato e risolto nell'ambito statale e col concorso dello Stato, [ sollevando ad esempio Roma e le altre grandi città, congegni propulsori del paese, dalla gestione dei trasporti urbani, ragione fondamentale di paurosi deficit. (Quello dell'Atac, l'azienda romana dei trasporti è nell'ordine dei 35 miliardi annui). Occorre, poi, dare personalità giuridica alla capitale, definire sul piano legislativo i rapporti tra Stato e Comune: i ministeri ignorano il Comune, così si spiegano il bar costruito in piena piazza della Stazione dal ministero delle Telecomunicazioni, o, peggio ancora, la sopraelevazione in piazza di Porta Pia dell'immobile del ministero dei Lavori Pubblici. Persino il Corpo diplomatico «snobba» il Comune, confondendo la immunità diplomatica con la extraterritorialità: nell'area della residenza sovietica si è messo mano alla costruzione di ben trenta palazzine, né gli ecclesiastici vanno tanto pel sottile se hanno costruito, abusivamente, un edificio al Gianicolo. Infine gli amministratori capitolini chiedono allo Stato, con la legge speciale, « investimenti produttivi » volti alla industrializzazione dell'Agro Romano nel quadro del nuovo piano regolatore. A coronamento di una battaglia politica durata dieci anni il 16 novembre sRfivmimdsfldsaavsl scorso il Presidente della Repubblica ha, con la sua firma, reso esecutivo il nuovo piano regolatore di Roma. Non sarà perfetto, ma prevede l'espansione della città collegandola direttamente al piano intercomunale, fissa i nuovi centri industriali, dà la possibilità, mediante i vincoli, di formare adeguati demani, indica i nuovi quartieri, il sistema viario. « Aperto e flessibile » com'è, esso chiude una fase avvilente della storia comunale di Roma aprendo nuove prospettive alla capitale, decisa a ritrovare se stessa e a riconquistarsi la stima degli italiani. Igor Man

Persone citate: Edmond About, Grisolia, Petrucci, Ravaglioli