Il mio dono

Il mio dono Il mio dono Alia cugina Miranda è morta. Non adesso, qualche tempo fa; l'ho letto su di un vecchio giornale buttato via da una mia vicina di pensionato. E' morta, dice il necrologio, « coi conforti della fede dopo lunga malattia sopportata cristianamente». Questo vuol dire che a un certo punto ha dovuto cedere il governo della casa alla nuora, essere relegata in una stanza con l'infermiera c di là sentire il cicaleccio delle nipoti che nel salotto a terreno parlano di moda o di balli. Noi due erano anni che non ci vedevamo più, ma ragazzine avevamo vissuto insieme come sorelle, allevate dalla nonna. Non c'era differenza fra noi, eravamo tutte c due abbastanza carine c simpatiche, avevamo gli stessi voti a scuola, le stesse amiche, sembravamo votate allo stesso destino E invece nò. Lei aveva fortuna c io no. Perche? Aveva una voce più bella della mia? O era più civetta? Sta di fatto che aveva più amiche di me e non me le faceva conoscere, e tanto meno ì giovanotti che cominciavano a ronzarle intorno. Si sposò giovanissima, quando io avevo trovato un modestissimo impiego in una fabbrichetta di posate. Era un posto alquanto scomodo, un po' fuori di città, e mi dovevo fare un bel po' di strada a piedi dopo il tram e portarmi dietro la colazione nella pietanzicra. Miranda dunque si sposò; il marito non pareva un essere eccezionale, ma forse per influsso di lei ebbe una fortuna sfacciata, diventò padrone della ditta dove lavorava c fece quattrini a palate. Cosi a poco a poco lei ebbe una bella palazzina, pellicce e gioielli finche volle c i suoi figli fior di governanti. Intanto io continuavo la mia vita grama, peggio che mai, ora che la nonna era morta e povera com'era non mi aveva lasciato nulla tranne il vecchio frusto mobilio. Mi trascinavo al lavoro stanca e malaticcia, sempre più triste, perche non solo non avevo mai trovato un fidanzato, ma nemmeno un semplice amico col quale andare a passeggio la domenica, un conoscente con cui scambiare quattro chiacchiere innocenti. Amiche non ne avevo, eran scomparse tutte, chi si era sposata, chi era andata fuori città, chi era stufa di vedermi sempre muta c accigliata. La ditta presso cui lavoravo cambiò proprietari, i nuovi, vedendomi sempre di malumore c afflitta da reumatismi, furono ben felici di sbarazzarsi di me con una pensioncina e una modesta liquidazione. Mi bastava, vivevo di così poco. Ma non crediate che Miranda mi abbandonasse, nemmen per sogno. Prima di tutto mi propose di andar a stare con lei. In qualità... di che? Di parente povera, naturalmente, ma lei diceva che avrei sorvegliato il servizio e mi sarci resa molto utile. Rifiutai sdegnosamente, lei non si offese. Si offerse di farmi impiantare in casa il termosifone, ma io ero affezionata alla mia vecchia stufa, rifiutai. Non smetteva di propormi questo o quello e io rifiutavo. Non ve¬ niva mai da me, si sa, ;l "la mi tclefocontinuo. E dolci e c parte del suo spoglio. tanti impegni, nava di frutta Non gli abiti da sera, che non mi sarebbero serviti, ma roba di lana, roba buona, fine, utilissima, lo non mettevo niente, regalavo o vendevo. C'era una donnetta, una mia vicina di casa, che s'incaricava di vender tutta quella roba c il guadagno lo davo mezzo a lei e mezzo in beneficenza Non pretendevo ringraziamenti da nessuno, ero anch'io una beneficata e una beneficata che odiava la sua benefattrice. Perche? Perché a lei tutto c a me niente? La domanda era diventata qualcosa che mi aveva avvelenato tutto. La sua roba mi faceva orrore. Solo una volta cedetti e presi una coperta (avevo tanto freddo! ), una coperta morbida, leggera, un vero balsamo per le mie povere gambe malate. E allora il mio astio cambiò forma: perche non potevo donare qualcosa anch'io, ricambiare i suoi doni con uno mio, perche? Ma un giorno... Sì, era il tempo delle feste, il solito domestico, un vecchio austero, dallo sguardo freddo entrò e posò il suo carico sulla tavola: abiti, golf, vestaglie, tutto in ottimo stato. Frugai nelle tasche dove talvolta Miranda dimenticava qualche suo stupendo fazzoletto. aveva Ma non c'eran fazzoletti, c'era invece una lettera. Era una lettera d'amore. Non c'eran equi voci, era una lettera grave, compromettente, pericolosa. Non credevo ai miei occhi. Impossibile che Miranda, non contenta di avere un marito perfetto, figli e nipotini adorabili, tutti gli agi che dà la ricchezza, avesse anche voluto una relazione amorosa. Poi, persuasa della cosa, esultai. Mi pareva di avere dentro le mie mani rùvide la cara cuginetta tanto morbida, dclicatina, con le sue smorfiette e le sue ipocrisie. Ne potevo fare quello che volevo. Ricattarla, denunziarla al marito, farle paura, tenerle quella spada di Damocle sulla testa, dominarla! Finalmente era giunta l'ora della mia rivincita. Mi esaltai, mi inebriai in quel tumulto di pensieri di vendetta. Per qualche giorno. Poi, a un certo momento, presi la lettera, la gettai nella stufa e la guardai bruciare. E subito, come per miracolo, mi cadde dal cuore un gran peso: l'odio che avevo nutrito per tanto tempo per Miranda, l'astio per un destino che ritenevo ingiusto. Dico la verità, da quel momento mi sentii liberata e felice. Avevo ripagato con un dono prezioso tutto quanto lei mi aveva regalato. Allora Miranda non lo seppe, ne io glielo dissi. Ma adesso che è morta lo sa. Carola Prosperi

Persone citate: Carola Prosperi

Luoghi citati: Miranda