Ultima disperata arringa della difesa «Renzo Ferrari: innocente o pazzo d'amore» di Gigi Ghirotti

Ultima disperata arringa della difesa «Renzo Ferrari: innocente o pazzo d'amore» Drammatica udienza al processo del bitter a Genova Ultima disperata arringa della difesa «Renzo Ferrari: innocente o pazzo d'amore» L'appassionato e lucido intervento dell'avv. Ciurlo - Egli ha messo in guardia i giudici contro il pericolo di un errore giudiziario - Prospettando l'ipotesi della colpevolezza, ha configurato il veterinario come "un demente erotico vittima delle male arti dell'adescata Renata Lualdi" - Duro attacco alla vedova Allevi - L'imputato abbraccia il suo difensore • Stasera la sentenza (Dal nostro inviato speciale) Genova, 20 dicembre. L'avvocato Luca Ciurlo, principe dell'eloquenza penale, ha pronunciato stamane l'ultima arringa in difesa di Renzo Ferrari. Una arringa da casi disperati: è infatti la seconda volta che la voce dell'accusatore si leva a chiedere l'ergastolo per il veterinario di Barengo. L'imputato si protesta innocente, ma le prove (o gli indizi) lo stringono da tutte le parti. Luca Ciurlo lo ha difeso sui due fronti, sia come innocente non creduto, sia come colpevole presunto, e ha concluso esortando i giudici a fondare il loro giudizio non su aride formule, ma sulla comprensione dell'uomo, alla luce dell'intelletto e secondo le ispirazioni del.cuore. « Da un lato ci sarebbe quest'uomo che va a Milano per spedire il bitter e astutamente, diabolicameu te, si crea una serie d'incon tri, una coincidenza di ora ri, una perfetta concordan za di deposizioni, un alibi, insomma, da mettere nel sacco qualsiasi investigato re. Dall'altro, c'è un cretino integrale che va al comune di Barengo a scrivere il suo messaggio, e prende in disparte il testimonio oculare e lo avverte: " Bada, hanno ucciso l'Allevi, ma non sono stato io. Dammi la carta, che me la porto via " ». Insomma, l'accusa ha presentato il Ferrari come il genio del male, l'assassino che ha tentato il delitto perfetto e il difensore gli ha contrapposto uno sciagurato che semina la sua strada di errori macrosco pici, tanto gravi e tanto puerili da metter chiunque in allarme. Che sia un matto? In Francia, la polizia si fa sempre assistere nelle indagini sui delitti dal perito psichiatra. In Italia non siamo a tanto, ma qualsiasi uomo di scrupolo intenda occuparsi di Renzo Ferrari non può sottrarsi all'oboli go di esplorare il segreto della sua personalità; certo, anche il difensore ammette che gli indizi sono numerosi, le coincidenze im pressionanti. Ma con energia si appella ai precedenti storici. Luca Ciurlo solleva al cospetto della Corte una pila di grossi volumi : « Sapete che cosa c'è scritto in questi libri? C'è la storia di centinaia di errori giudizio ri ». Errori commessi in ogni tempo, da giudici in buona fede, assistiti da tut te le garanzie legali e scientifiche che il caso richiedeva, e spesso con il confor to della confessione esplici ta del reo presunto : dal Fornaretto di Venezia a Corbisiero, dal processo a Gesù ai processi alle streghe, la serie degli errori giudiziari è una catena tragica e ammonitrice. Piero Calamandrei diceva che il cinquanta per cento dei reclusi sono incolpevoli e, per il cinquanta per cento, i veri responsabili sono fuori. L'avvocato insiste: nessuno è infallibile. Lo stesso Pio IX, che definì il dogma dell'infallibilità del Papa, negò la grazia ad un condannato al capestro perché s'ostinava a non confessare; ma poi si scoprì, ad esecuzione avvenuta, il vero responsabile, vivo, vegeto e in libertà. Il difensore punta gli occhi fiammeggianti sui giudici, uno per uno, assorti, impietriti nei loro seggi: e « che mi potete dire, adesso, della possibilità di errore giudi ziario, in un processo come questo, in cui manca ogni prova? ». La toga di Luca Ciurlo ruota adesso sopra un'altra pila di volumi, quindici, nei quali aono analizzati i concetti di imputabilità; e di colpevolezza. Non è imputabile il pazzo, non lo è il bambino: la Corte d'Assise d'Imperia ha riconosciuto nel Ferrari « un piccolo deficit mentale». Luca Ciurlo va oltre: al suo veterinario egli rinnova pubblicamente l'attestato di scemo, e peggio. « L'assassino che ci de scrive il pubblico accusato re è un gigante del crimine; ma questo è piccolo stu pido, un ometto, un cervello roso e sfasato... ». Se il colpevole è lui, ben s'intende, perché c'è sempre da chiarire il movente del delitto, tanto più importante da stabilire in un processo che muove da indizi, e non da prove. Orbene, se il movente è quello che l'accusa pretende, e cioè la gelosia, il Ferrari rappresenterebbe un caso pietoso di demenza erotica: non ha fatto altro che toglier di mezzo un marito che non gli dava alcun fastidio, consegnando la donna desiderata al rivale Mattei e se stesso alle carceri. E qui si rovescia sul capo di Renata Lualdi un nuovo temporale. Il Ferrari è 10 scapolo: arremba. Ma lei è la coniugata, la moglie infedele che gli apre la porta di casa; se vuole, e quando vuole, può troncare quella relazione; ma non lo fa, perché non lo vuol fare. E' lei, che si rigira quel veterinario a piacer suo, e non viceversa. Quelle del veterinario («Io di quella donna faccio quel che voglio ») sono vanterie da caffè paesano. In realtà anche il Mattei, l'amante giovane che soppiantò il Ferrari, soggiacque alle male arti dell'adescatrice: una volta che la Lualdi aveva voglia di farsi una gitarella chiese al Mattei d'accompagnarla, e questi la contentò, e intanto il suo bambino se ne moriva all'ospedale. I poteri malefici della Lualdi sono descritti dal difensore con accenti di indignazione: agitando gli occhiali con la destra, ruotando la toga, piegandosi in due sulla balaustra, misurando con passi furenti lo spazio tra il suo banco e quello degli avversari di parte civile, Luca Ciurlo invoca lo sdegno della Corte sull'atteggiamento della Lualdi nei confronti della vittima: « Quale donna al mondo, annunciata di marito morente, avrebbe impiegato più tempo di costei per giungere al suo capezzale?». II difensore grida che non c'è donna che possa stare alla pari di questa nelle arti perverse della seduzione. Un giorno arrivò persino a suggerire lei, al Ferrari, il metodo giusto per continuare la tresca : « Vedi ? Il Mattei è molto più abile di te. Lui, ha saputo conquistare l'amicizia di mio marito. Tu, invece... ». Accanto a questa donna 11 Ferrari « uno dei più tranquilli uomini del Piemonte», si trasforma in un randagio irrequieto, in un povero pellegrino d'amore: è lei, non lui, che parla di fuga in Venezuela, quando il marito la rampogna. Lui è una povera foglia morta, lei una boscaglia; anzi, una foresta stregata, dentro la quale il veterinario smarrisce la pace, la ragione, i buoni principi, tutto se stesso. Ma come si scioglie il sortilegio da cui Renzo Ferrari fu folgorato, alla fredda analisi della scienza giuridica? Il Codice non concede attenuanti per le vittime di passioni demenziali come questa. « Noi parliamo di stregoneria e di fatalità, — dice Ciurlo —; il delitto passionale, inconcepibile e inescusabile, è tuttavia nella realtà della vita, e non senza motivo è punito dai giudici con minore durezza che i delitti comuni. Il fatto è che le passioni ledono le facoltà dell'intendere e del volere. Se quella del Ferrari non è pazzia clinica, è però uno stato emotivo irruente, un "raptus" travolgente. Il giudice non può dire: pazzo non è, quindi lo condanniamo all'ergastolo. « Se giudicare fosse così semplice, non ci sarebbe nemmeno bisogno di giudici: basterebbe un sergente furiere — dice il difensore, — capace d'aprire il libro dei delitti e dei castighi e di distribuire le condanne secondo il formulatorio. La nobiltà, la responsabilità, del giudice nascono proprio dall'obbligo, che egli ha, e che il Codice sancisce, di commisurare la pena al delitto, dopo aver valutato la personalità del reo. La Corte d'Imperia ha compiuto questa valutazione, e infatti ha concesso al Ferrari le attenuanti generiche, considerando il complesso dei fatti, le incertezze sul movente, le sconvolte capacità mentali e morali in cui avrebbe agito quest'uomo ». Anche la Corte d'Assise d'Appello di Genova curvandosi sul mistero di questa vicenda dovrà cogliere l'accento di dolore che si leva da ogni sua pagina e la sua verità più segreta : « Io difendo due creature, un Ferrari che vi grida, non ascoltato, la sua innocenza, e un Ferrari che vi indica e maledice la vera assassina ». Nel concludere la sua arringa tormentata e scintillante, Ciurlo ha vibrato l'ultimo colpo di fioretto, il più tremendo, su Renata Lualdi. II patrono della vedova, avvocato Morganti, si è subito levato a chiedere /a replica, e intende replicare anche il procuratore generale. Raffaele Mancini. Con preoccupazione l'accusa ha rivisto ondeggiare l'ombra della maliarda davanti alla gabbia del candidato all'ergastolo, sospinta dai difensori, con veemenza, a far da scudo alla colpa del veterinario. Il processo ha dovuto essere aggiornato a domani per le ultime perorazioni. Poi la camera di consiglio. La sentenza, probabilmente, si avrà in serata. Al termine della seduta, Renzo Ferrari ha chiamato presso di sé l'avv. Ciurlo e lo ha abbracciato con slancio commosso. Gigi Ghirotti