Esiste un «vuoto storico» in Argentina che frena lo slancio del grande paese di Guido Piovene

Esiste un «vuoto storico» in Argentina che frena lo slancio del grande paese Nella letteratura si rispecchia la faticosa ricerca di una strada Esiste un «vuoto storico» in Argentina che frena lo slancio del grande paese Non c'è un'arte nazionale, popolare; gli scrittori più importanti, anche di grande valore, appaiono staccati dalla realtà del loro paese - Non è un caso: l'Argentina è uno spazio immenso, dove il passato è scivolato via senza lasciare una solida impronta - Anche la società contemporanea appare fluida, in fase di transizione - Le grandi famiglie sono una «élite» culturale e mondana, non politica; la Chiesa ha influsso, non potere; l'esercito ha la forza, non può governare da solo ; l'autorità dei politici è limitata - Nasce intanto un'Argentina forte e moderna, che manca ancora d'un volto preciso (Dal nostro inviato speciale) Buenos Aires, dicembre. Molti, ami quasi tutti, i giovani intellettuali che incontro insistono nel chiedermi: «.Lei non crede che il primo dovere di uno scrittore argentino di oggi sia di argentinizzarsi? » Mi accorgo che le mie risposte non li contentano. Non sono quelle che vorrebbero, sono risposte reticenti. La verità ò che non so che cosa rispondere. In quella direzione noti riesco a vedere che posizioni categoriche ma velleitarie. Le ragioni di questo malessere del vuoto di cui patiscono quei giovani intellettuali mi sono state esposte da Ernesto Sabato, le cui opinioni ho ritrovato con pili ordine in uno scritto. Sabato (un cui romanzo, Sopra eroi e tombe, è stato tradotto da poco in edizione Feltrinelli) è il più noto scrittore argentino controcorrente. Discende da emigrati italiani, non proviene dalle classi alte, rifiuta il comunismo, non accetta il I neoperomsmo; ma pensa che il neoperonismo, nel quale ribollono un disagio reale, la crisi del passaggio ai tempi moderni, il giudizio di insufficienza sull'attuale direzione politica, non possa essere soppresso con un semplice atto di elisione mentale, come un fenomeno d'imbecillità delle folle indegno di essere discusso dalle persone colte. Il suo ò un tentativo dì spiegazione storico- sociologica della letteratura argentina presente. Nell'Argentina, dice Sabato, non sono mai esistite potenti società indigene prespagnole. E la nobiltà spagnola conquistatrice si d insediata, sulle antiche civiltà indigene, nel Messico e nel Perù. Scendevano qui i cadetti, accaparratori di terra, in questo astratto, in questo vuoto. Senza passato, esclusa la dimensione del tempo, avevano davanti soltanto una dimensione, lo spazio. La pampa senza termine, spaziale e intemporale, diventava un fatto interiore, una metafora del nulla e dell'assoluto, e vi nasceva un personaggio, il gaucho meditativo, filosofeggiante. Subito poi si accavallarono le rapide sostituzioni di valori e di gerarchie, che tenevano desto un senso costante di perdita, di nostalgia e di transizione perpetua: il gaucho sopraffatto ed espulso dall'emigrante che occupa la terra e vi si fissa in modo stabile, la civiltà creola patriarcale aggredita da un attivismo che le è estraneo (e specialmente, aggiungo, per opera degli italiani), l'equilibrio spezzato prima di essere raggiunto. Finalmente la crisi generale del dopoguerra. Una trasformazione continua di ciò che era informe, ed un cambiare prima d'essere; il non sentirsi esattamente né americani né europei; mentre cresce, dal niente, più rapida di qualsiasi altra città del mondo, un'immensa metropoli priva di monumenti, tutta in pianura, a cui nulla pone confine. L'arte argentina, dice Sabato, non poteva essere che metafisica, ricavata tutta di dentro, un'arte insomma un po' da ciechi, per cui le realtà principali sono la tristezza e il pensiero. Perfino la filosofia del tango, quello vero e non commerciale, era triste. Come potrebbe, dice e scrive Sabato, sorgere qui un'arte con basi sociologiche? Oppure l'arte dovrebbe buttarsi alle cavalcate dei gauchos, alla riesumazione di civiltà e di linguaggi aborigeni, alla caccia agli struzzi, e insomma ad un colore storico e locale fittizio, per far piacere agli esotisti stranieri, e a quelli che vorrebbero « argentinizzarsi » cercando quello che non c'èt Anche Sabato infatti, per quanto sia in polemica con le correnti artistiche dominanti, è psicologo e saggistico. Molte di queste riflessioni corrispondono alle mie sensazioni più immediate. Non Vedo qui il minimo fondamento a un'arte nazionale e popolare di qualsiasi genere. Sento poi che qualsiasi folclore sarebbe falso ed arbitrario. Se qualcuno ha tentato di raccontarmi storie o leggende di vita autoctona (sulla foresta, sulla pampa, sull'estremo sud) mi sono subito annoiato. Altrove forse è differente, ma in Argentina non andavano, a meno che non fossero invenzioni, sogni. Qui vi è lo spazio, non il tempo, almeno come tempo storico. Tutto questo mi aiuta a capire l'orgasmo dei giovani che ho incontrato. La loro sofferenza non è d'essere questo o quello, ma una sensazione di mancanza d'essere. Anche il potere in Argentina è fluido, transitorio; indefinibili le forze che lo detengono. Su questo argomento mi hanno aiutato alcune letture. La Chiesa certamente ha un peso, ma non tanto perché influisca sulle decisioni politiche, quanto nel mettere pastoie, sollevando il sentimento pubblico, a chi le opera contro. La sua azione, concomitante con altre, portò un contributo alla caduta di Perón. Forse anche per questo non hn mai colto il minimo accento anticlericale tra gli intellettuali delle classi alte. Ma non è un centro di potere politico vero e proprio. Come non lo sono più le famiglie tradizionali e legate alla terra. Lo erano in un passato abbastanza prossimo, quando le decisioni si prendevano in una cerchia ristretta. Nel 1936, per esempio, il sessantasei per cento dei membri dell'Esecutivo apparteneva alle famiglie tradizionali, e i loro nomi erano iscritti così alla t Società rurale» come al Jockey Club ("proprio di fronte all'albergo in cui alloggio, il Calle Tucuman, un grande buco tra le mura annerite segna ancora la sede del Jockey Club fatto bruciare da Perón con la biblioteca e numerosi Goya). Il numero degli appartenenti a famiglie tradizionali entrati nell'Esecutivo era già minimo negli anni successivi alla guerra. Nel 1936 vi comparivano pochissimi nomi di figli d'emigranti, ma già nel 1951, erano la maggioranza. (Prendo questi dati dal libro Los que mandan di José Luis de Imaz, edito dall'Università di Buenos Aires). Sembrò per un momento ette il peronismo formasse una nuova classe politica al posto delle famiglie tradizionali. Il potere tentò di associare a se stesso, in misura maggiore che prima e dopo, industriali simpatizzanti e tecnici; i suoi agganci con l'elemento popolare e operaio rimasero invece, anche sotto Perón, marginali e alquanto fittizi. Ma presto il peronismo soffocò alcuni suoi germi vitali nella tirannia, nell'arbitrio, nelle ruberie senza limite, portò al crollo della moneta e finì nel marasma. Pose fine alla vita dolce della vecchia Argentina ma sostituendovi il caos. Nemmeno la categoria industriale ha oggi una vera compattezza e una parte predominante nella direzione politica; l'ideale di molti industriali arricchiti è stato poi quello snobistico di confondersi con le famiglie tradizionali assumendone i modi dì vivere e lo stile. L'esercito gode d'una, situazione privilegiata, e infatti è il facile, quasi obbligatorio bersaglio delle ironie del pubblico, per il numero dei generali, i loro emolumenti, il profluvio di decorazioni, l'aspetto lauto degli alloggi, caserme comprese. Non posso e non voglio sapere se e quando l'esercito ci darà quel colpo di Stato, che alcuni vedono imminente, mirante soprattutto a congelare la ripresa del peronismo di fronte alla quale il governo, per alcuni, si dimostra debole. Anche l'esercito però è diviso in varie correnti, poco omogeneo, imprevedibile. Può rimettere ordine, non iniziare un corso politico nuovo, imperniato su idee precise. In quanto alla classe politica, ai politici di partito professionali, sono una forza fra le tante, senza il peso che hanno in Europa né un grande prestigio pubblico; benché, a tanto mi dicono, il momento attuale, evidentemente precario, sia favorevole piuttosto ai piccoli politici giunti dalla provincia, provenienti da luoghi diversi e distanti tra loro, formati nelle amministrazioni locali. Al potere sarebbe dunque una nebulosa, una pluralità, un pulviscolo di Individui di provenienza, cultura, educazione, mentalità eterogenee, con scarsi contatti tra loro. Così si spiegherebbe la politica pigra e temporeggiatrice, in ritardo nelle iniziative per sfruttare le immense ricchezze naturali, tutto quello per cui alcuni economisti degli Stati Uniti hanno scritto: «L'Argentina è seduta su una miniera d'oro, ma seduta ». E' quell'impressione diffusa, che la gente abbia in tasca una lettera da mandare ma non conosca l'indirizzo del destinatario. Intanto il peronismo, non meno del fascismo, ha lasciato strascichi di rancori, idiosincrasie insanabili tra una persona e l'altra. Certo qualche cosa avverrà per rimettere in moto un paese troppo ricco, troppo potente, troppo carico di energie per fermarsi; ma qui non faccio profezie, e mi limito a dire che cosa ho visto in Argentina nell'occhiata che ho potuto darvi Di fronte ad una certa inerzia politica, sta poi un pae se veramente moderno, in cui la vita prende gli stessi aspetti pratici che da noi; e con una cultura popolare molto diffusa. Non ho mai veduto un paese nel quale operai e contadini si esprimano in discorsi tanto completi, con tanto ordine e bel la forma. In una società piuttosto fluida, frammentaria, senza gruppi compatti, sono poi ancora le famiglie tradizionali, o più precisamente, le famiglie tradizionali della provincia di Buenos Aires, quelle che hanno conservato una maggiore coesione. Non hanno più da un pezzo la direzione politica, ma continuano a costituire una élite, una « élite nominale » come fu definita, che comprende individui di idee diverse ma accomunati, come in tutte le aristocrazie, da una somiglianza di educazione e di stile. Alcuni sono ricchi, altri non lo sono più; altri hanno grandi estensioni di terra, ed altri sono proprietari di terra soltanto idealmente, come lo si è di un blasone. Questa élite dai confini incerti, che può ancora contare in politica quando si forma un vuoto di potere, come per esempio contò nella lotta contro Perón in declino, ha tradizioni liberali. Con la perdita del predominio, si è come decantata, è diventata, con alcuni, memoria di se stessa che trova espressione nell'arte. Quasi tutti i più noti scrittori argentini di oggi, Jorge Luis Borges, che ha fama mondiale, Victoria Ocampo, Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares, Silvina Bullrìch, Mujica Lainez, un romanzo del quale suggerito dalla « valle dei mostri » di Bomarzo presso Roma è uscito in traduzione da Rizzoli, vengono ancora da quel ceppo. Sono le stesse persone che ho conosciuto: direi che qui sopravvive, interiorizzato, il carattere gaucho. L'influenza di questo ambiente si irradia sui due giornali più colti, La Prensa e La Nación; nel secondo ha uno spicco particolare il supplemento letterario, cosmopolita e aristocratico, aperto ad ogni articolo anche di argomento difficile e, per quanto è possibile, senza limiti di lunghezza. Metafisica, riflessione, fantasia, sogno, con qualche cosa di bizzarro e di fantasmatico, oppure intimista, con qualche venatura spiritualistica, sono alcune parole che ci possono suggerire quella letteratura e quella cultura nel loro insieme. Per alcuni lati, mi hanno fatto pensare a un clima letterario che non ho fatto in tempo di conoscere bene, ma che dominava in Europa tra le due guerre, al tempo dei Valéry, dei Gide, e anche dei Chesterton, degli Ortega y Gasset, rimasto prodigiosamente incolume. Ma è anche una cosa diversa: in una antologia esemplare, composta da alcuni di quegli scrittori, vedo anche ricorrere antichi scrittori cinesi, quelli che mettevano in dubbio la realtà come appare, i confini tra la realtà ed ■ il sogno. Non so che cosa avverrà nel futuro, ma questa mi pare ancora oggi la letteratura argentina predominante, anche perché l'altra resta troppo al di sotto; e, fin dal primo momento nel quale ho messo piede sulla pampa argentina, ho sentito che corrispondeva ad una realtà del paese, comunicata dalle cose; un paese dove si è portati a guardare tutto ciò che si vede nelle immagini proiettate in uno specchio interno. I motivi sociali e storici, che occorreva descrivere per quanto in maniera sommaria, non bastano a spiegare un'arte straordinaria come quella di Borges, che incontreremo presto. Il fatto è che da quando sto in Argentina, mi ronza in testa una poesia di tre righe, opera appunto di un antico poeta cinese, ohe ho letto in quella antologia. Il poeta sogna di essere una farfalla. Al risveglio non sa se ha sognato di essere una farfalla, oppure se una farfalla sogna adesso di essere lui. Guido Piovene