Sposa un italiano la figlia di Forti

Sposa un italiano la figlia di Forti Sposa un italiano la figlia di Forti Anne Ford, figlia minore dell'industriale americano Henry Ford II, ieri a New York accanto al fidanzato Giancarlo Uzielli. Si sposeranno il 28 dicembre (Tel. A. P.) pubblica popolare. La guardia di confine sovietica era invece annoiata, indifferente, e anche un poco sospettosa. Aveva appena finito di smontare la « Volkswagen » di due studenti americani. Si riscaldò davanti ad alcune biro, e a un settimanale die aveva in copertina Jane Fonda, gambe lunghissime e scarsi indumenti. Un ponte, e perfino il paesaggio cambia: la terra senza confine dell'Unione, da una parte, e dall'altra i campi divisi dalle siepi, dagli steccati; i contadini di Gomulka sono davvero padroni. E' la quarta volta che passeggio tra i vecchi palazzi di Stare Miasto, ma è la prima che il mio itinerario segue la strada di Mosca. Ho attraversato in automobile la Russia Bianca, milleduecento chilometri tra foreste e campagna, un solo rettilineo, con brevi salite e brevi discese. Già, « le montagne russe ». L'autunno avvampa le foglie dei faggi, le betulle si stanno spogliando, negli stagni imputridiscono le ninfee, e ogni tanto, tra i boschi, spuntano i monumenti di gesso, fatti in serie, che esaltano il meccanico, il soldato,-lo scolaro, non hanno dimenticato neppure il giocatore di calcio. I cartelli indicatori ricordano nomi tragici e suggestivi, una freccia segna la via per Borodino, è qui che Kutuzov affrontò la « Grande Armée * che premeva sulla Capitale, vengono in mente le stampe di Epinal, incendi, cavalli squartati, bufere di neve, e le frasi dei manuali di storia: « Fate pure venire avanti Napoleone, la fame e il freddo lo batteranno ». Ecco, sto attraversando il Dnieper, ho letto da qualche parte che i nostri genieri, in urfa ~ notte di settembre del lO.'il, costruirono un ponte di barche, perché passassero, carichi di alpini, i camion dell'Armir. «Italianski», dicevano allora le contadine, e barattavano un pollo con un fiasco vuoto; «italianski», dice adesso la custode del distributore di benzina, (attenti, le stazioni che commerciano quella da 96 ottani sono rare), e sorride. Sorride, ma come si usa da queste parti, è il viaggiatore che deve manovrare la pompa, e servirsi da solo, nessuno controlla l'acqua del radiatore, o pulisce il parabrezza. Lungo il tragitto si incontrano molti villaggi e tre città: Smolensk, Minsk e Brest Litovsk. Le cupole di rame delle chiese di Smolensk sono verdi, rese opache da secoli di piogge e di temporali. Hitler distrusse la cattedrale di San Nicola dove era entrato, cento anni prima, l'imperatore dei francesi: V'i Empereur » camminava smarrito, tra i lamenti dei feriti, e il pianto dei bambini affamati. « Nello stesso giorno, nella stessa ora, cominciarono tutti e due gli attacchi dell'invasore, era una semplice e chiara mattina d'estate », mi disse il mite signore, un medico, che incontrai al ristorante. Ho pernottato a Minsk; qui i soldati del Fuehrer sterminarono gli ebrei. Minsk è nuova, moderna, bella; l'hanno ricostruita con una architettura che non ha i barocchismi, l'opulenza, i fronzoli staliniani. C'è un albergo ben tenuto, la direttrice del ristorante parla tedesco, è cortese, tutti si sono dati da fare per sistemarmi perché, nonostante la prenotazione dell'i Infurisi », la mia stanza era già occupata. Per le vie si vedono le piccole automobili condotte dai mutilati, costruite solo per loro, ancora una testimonianza della guerra. Sui muri non ci sono manifesti pubblicitari, ma gli affisi hanno finalità civiche, scopi educativi: insegnano i pericoli del traffico, rammentano che non bisogna lasciare il gas acceso, o che è pericoloso infilare le dita nelle prese dell'energia elettrica. Ho visto che in un cinematografo proiettavano Umberto D. di De Sica; ho sentito che qualcuno si ricordava ancora dei soldati in grigiovérde che furono a Minsk tanti anni fa. e dicono che non erano cattivi. Il fragore di una banda, di una piccola banda di militari, sette o otto suonatori, e quello del tamburo era vestito in borghese, richiamò la mia attenzione. Passava un funerale. La bara stava su un camion, era scoperta, il morto aveva tra le mani un garofano rosso, sul cuscino c'erano alcune medaglie, i passanti guardavano il corteo senza curiosità, e IIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllU E' morta a Roma Angelica Balabanoff ultima testimone del socialismo eroico Era nata presso Kiev, in Russia, 96 anni fa - Amica di Trotzky, aveva avversato Zinovieff e Stalin - Segretaria della prima e seconda Internazionale, nel '24 si era rifiutata d'iscriversi al partito sovietico dicendo che preferiva lottare con i socialisti italiani - Nel '48, dopo aver aspramente criticato Nenni, aveva aderito al psdi - Telegramma di Saragat da San Marino (Nostro servizio particolare) Roma, 25 novembre. Angelica Balabanoff è morta stamane alle 9,40 dopo quindici giorni di straordinaria resistenza all'infermità che l'aveva colpita. Contava più di 96 anni, ma pochi lo sapevano. La sua data di nascita era circondata dal mistero: si credeva fosse il 1876 o 1875 e il luogo Milano. Solo adesso si è accertato che era tutta a Scernicov, presso Kiev, nel 1869, da agiata famiglia. Al momento del trapasso, sopravvenuto improvviso malgrado fosse atteso come evento ineluttabile, erano vicini ad Angelica Balabanoff le signore Giovanna e Lina Aliquò, madre e figlia, che l'hanno assistita per diciotto anni, i due medici curanti, due infermiere, un dirigente nazionale del psdi. Il presidente Saragat, che era legato alla Balabanoff da vecchi vincoli d'amicizia, ha dettato da San Marino questo telegramma diretto all'on. Tanassi, segretario del psdi: « Profondamente addolorato per la scomparsa della cara Angelica Balabanoff ne ricordo in questo momento con quanti le furono vicini le grandi virtù di combattente per la difesa della libertà e l'affermazione della giustizia sociale ». Gli ideali di Angelica Balabanoff sono racchiusi, meglio che in ogni altro documento, nel suo testamento. Dice: «Prego distruggere tutte le lettere ed altre carte. Il funerale dovrà essere civile. Niente corone di fiori, solo garofani rossi gettati individualmente da chi mi ha voluto bene, condividendo le mie aspirazioni ad una società socialista, al trionfo della libertà e verità umane. I libri vanno distribuiti fra amici e compagni secondo le lingue in cui sono pubblicati o a qualche biblioteca del psdi. Vorrei che ne fosse creata una a Roma denominata " Antonio Labriola ". Se alla Banca di Napoli — continuano le ultime volontà della Balabanoff — dovesse rimanere qualche cosa prego distribuirla a bisognosi ». 1. f. La vita avventurosa di una donna di coraggio Ad oltre 96 anni, Angelica Balabanoff era rimasta la testimone più Importante della storia del socialismo italiano dall'inizio di questo secolo, oltre che uno dei principali protagonisti della Seconda e della Terza Internazionale e della stessa" rivoluzione bolscevica. Protesse Mussolini, fu confidente di Lenin e di Trotzky acerrima nemica di Zinovieff e di Stalin, prima segretaria della Terza Internazionale e sostenitrice di Saragat alla fondazione del partito socialdemocratico. In questi ultimi anni la chiamavano in Italia affettuosamente la « nonna del socialismo », ma era stata una donna terribile per l'impeto coraggioso e la spietata sincerità. Di Mussolini diceva che era t mille e mille volte Giuda, diecimila volte Caino: tradì il suo popolo, assassinò i fratelli ». Glielo indicarono a Lo sanna, nel 1902, in occasione di una conferenza, e le aveva fatto pietà Si era messa ad insegnargli il tedesco e il lin guaggio marxista per aiutarlo a tradurre un opuscolo di Kautsky, lo aveva seguito e ! talvolta appoggiato, conside¬ randolo una vittima della società, e troppo debole per resistere all'ingiustizia del mondo con le sole sue forze. Si accorse poi che era un vile « che le lusinghe dei corruttori e il denaro ricevuto rendevano megalomane ». Era una grande ammiratrice di Trotzky: «nella misura nella quale noi marxisti possiamo attribuire merito ai singoli uomini, si è autorizzati ad affermare che Trotzky è stato il salvatore della repubblica dei lavoratori russi». Rimproverava invece a Lenin, che pure giudicava scrupolosamente one¬ sto e privatamente disinteressato, di ricorrere a mezzi del tutto disonesti e corruttori: «E così fu che il detto dei gesuiti, il fine giustifica i mezzi, divenne il motto di coloro che erano chiamati a sradicare ogni resi duo di gesuitismo ». Disapprovava che Lenin si valesse della collaborazione di Zinovieff: « Molte cose che non avrebbe fatto personalmente, le faceva fare a Zinovieff. Sapeva che non si sarebbe opposto a nessuno dei suoi suggerimenti, sia per mancanza di coraggio sia perché privo di centri tni&itori nel campo morale. Non ho mai Angelica Balabanoff. Aveva novantasei anni (Tel.) incontrato un solo — dico un solo — individuo che avesse per Zinovieff la minima stima. Era ributtante». Fu Zinovieff, del resto, che prima la eliminò dalle funzioni di segretaria della Terza Internazionale, e arrivò infine ad accusarla di collaborare ad un giornale « social-fascista » come VAvanti!. Si era nel 1924, il pei era già nato, ma la Balabanoff non intendeva aderirvi. Scrisse una lettera perentoria al comitato centrale del pcus: «Sono in completo disaccordo con voi e in perfetto accordo coi miei compagni del psi che difendono l'integrità e il carattere rivoluzionario del movimento. Ma anche se dissentissi dai miei compagni italiani in qualche cosa, sarei sempre con loro contro di voi, perché essi sono i vinti e voi i vincitori». Uscita dall'Internazionale comunista, esule dalla Russia come dall'Italia, visse a Vienna, poi a Parigi, poi a New York, sempre ostinatamente mettendo in guardia i socialisti contro le lusinghe comuniste « per iZ raggiungimento di quella tale unità ch'essi, operai socialisti, prendevano sul serio e che da parte degli altri era solo un tranello per diradare le nostre file ». Nello stesso spirito, al congresso socialista del 1947 che portò alla scissio ne, prese partito per Saragat attaccando Nenni con una vio lenza che nessun altro congres sista allora si permise. Fu subissata da fischi, la maggioranza del congresso si alzò in piedi a schiamazzare vituperare, insolentire: e lei teneva testa come donna abi tuata alla lotta, coraggiosa e indomabile. Vittorio Gorresio quando l'autocarro si fermò, i parenti e gli amici del defunto si spartirono i fiori delle corone. Qualcuno chiuse la cassa, e il camion se ne andò lasciando dietro di sé un aspro odore di nafta bruciata. Il camion potrebbe essere un simbolo della vita russa; porta chi muore e chi va al lavoro,'ho incontrato camion carichi di colcosiani e di studenti, camion che portavano in giro gli operai delle fabbriche, o scaricavano il grano sull'autostrada, per asciugarlo. Chilometri di asfalto tappezzati, coperti di grano e, nella notte, donne che riempivano sacchi, che cercavano di difendere il raccolto dalla furia del vento, dal pericolo della pioggia. Brest. Litovsk era avvolta dalla nebbia, spariva nel grigio; è un nome e una data, « Pace di Brest Litovsk, 1918 »; passai davanti alla cupa stazione, qui firmarono i documenti della resa i rappresentanti degli imperi vittoriosi e la Russia sconfitta. A Brest Litovsk nasceva un'altra Europa, si preparavano nuovi drammi. Ho davanti agli occhi i villaggi incontrati nella lunga corsa, le « isbe » di legno, i campi neri, gli stormi di gazze e di corvi che si levano in volo dalle stoppie, nell'aria, che odora di cetrioli e di cavoli sotto sale, c'è un presentimento dell'inverno. Sono i villaggi dei quadri di Serov o di Levitali, la Russia di ieri, che ha sulle case di abete le antenne della televisione, e in piazza i pali dell'elettricità e gli altoparlanti, per diffondere i discorsi dei capi di Mosca, o del presidente del «kolkoz». E' la vita di ieri, gli stretti carri che avanzano sulle piste battute, che gli acquazzoni riducono a pantani, carichi di fieno e di barbabietole, o col vitello da portare al mercato, quasi sempre un cane li segue, i cavalli hanno le criniere bionde, gli uomini vanno a cacciare il gallo cedrone e i colombacci e i cervi nelle macchie, o a pescare le tinche nelle paludi, e si trovano poi allo siiaccio, per mangiare il « borse », per chiacchierare, per riscaldarsi con la «vodka», per comperare i dolci di marzapane da portare ai ragazzi. Mi sono fermato all'osteria di Izdeshkovo, al tavolo vicino mangiava il maestro, un giovanotto assorto, con gli occhiali, e un libro gli spuntava dalla tasca della giacca sdrucita. Mangiava compostamente, e i conducenti di trattori, e i braccianti lo guardavano con rispetto. Un vecchio dalla barba bianca, assomigliava a Tolstoi, portava anche una tunica- stretta ai fianchi da un cinturone, vide che ero straniero, e attaccò discorso, parlava il compito francese di un altro tempo, si capiva che sapeva tante cose, citò, a proposito del destino degli uomini, anche Pascal: « Se Cleopatra avesse avuto un altro naso — disse — il mondo sarebbe stato diverso ». Era un conversatore gentile, amava la sua gente e la sua terra. «Le piace la Russia, signore? Me lo dica sincera¬ mente », chiese. E io sinceramente dissi di sì. Dissi che mi piaceva proprio la gente buona e la terra infinita, e tutti quel villaggi, come Izdeshkovo, coi loro « mugiki », e il pane di segale sulla tavola, le anziane donne vestite di nero, come le vecchie dei paesi italiani, le ragazze tozze e forti, che scoprono adesso il trucco per i grandi occhi verdi, i mucchi di torba o di frumento, le mandrie e le abetaie senza fine, il profumo volpi e gli orsi, e anche i retorici manifesti della propaganda, bandiere vermiglie, stemmi dorati, le bocche spalancate e gli sguardi un po' folli dei rivoluzionari. Il vecchio ascoltava felice, mi offrì da sgranocchiare dei semi di girasole: «Le faranno compagnia durante il viaggio, disse. Li ho trovati, adesso, nella tasca dell'impermeabile. Li ho messi in urna busta, non voglio gettarli via. Ensso Biagi Giornalista americano espulso dalla Russia Perché il suo quotidiano pubblica il diario della spia sovietica Penkovsky Mosca. 25 novembre. Il corrispondente del c Washington Post» da Mosca, Stephen Rosenfeld, è stato invitato a lasciare l'Unione Sovietica, assieme alla famiglia, la moglie e due bambini, entro una settimana. Rosenfeld ha detto che il 13 novembre era stato avvertito dalle autorità sovietiche che se il suo giornale avesse continuato a pubblicare i «Diari di Penkovsky », il governo sovietico avrebbe preso le « misure del caso ». Rosenfeld avvertì la redazione centrale del giornale di questa messa in guardia sovietica ma il « Washington Post » pubblicò anche le ultime due delle 14 puntate dei diari della spia sovietica fucilata a Mosca nel 1963. In un commento pubblicato nei giorni successivi il giornale affermava che un quotidiano americano non può ricevere ordini dai governi, sia il proprio, sia di altri paesi, i su ciò che deve o non deve dei funghi e delle felci, le 'pubblicare. (Ansa) James G. Frazer Il ramo d'oro Della magia e della religione tre volumi in astuccio a colori L. 2900