Uno sconfortante panorama della pittura e scultura italiane di Marziano Bernardi

Uno sconfortante panorama della pittura e scultura italiane SI E' APERTA A ROMA LA TONA QUADRIENNALE Uno sconfortante panorama della pittura e scultura italiane (Dal nostro inviato speciale) Roma, 22 novembre. Quanti italiani oggi si dedicano con vario esito alle arti che una volta si dicevano — c nella maggior parte dei casi non sono — « belle »? Quanti pittori e scultori e grafici, dal Brennero al Capo Passero, intendono e pretendono mostrare in pubbliche esposizioni ai connazionali i prodotti del loro lavoro e di questo materialmente vivere? Innumerevoli, come del resto in ogni paese civile: e in continuo, impressionante, inarginabilc aumento. Ed il perché è presto spiegato. Non abbiamo alcun timore di passare per retrogradi, reazionari, accademici o scolastici dichiarando che da gran tempo il mestiere dell'artista è diventato facile, troppo facile. Non certo clic il saper disegnare una mano in giusta prospettiva, dipingere un nudo anatomicamente esatto, comporre un gruppo di figure secondo una specifica intenzione rappresentativa (si provi a spostare un solo personaggio nella Cena di Leonardo o nel Déjeuner di Manct), trasporre su una tela l'equivalenza naturale, di luce e d'atmosfera, di un paesaggio, significasse raggiungere l'opera d'arte, la poesia. Ma era una grammatica c una sintassi che all'arte si richiedeva come un suo insostituibile presupposto per poter dire, esprimere « altro » infinitamente più importarne. Ma tutto ciò risulta superfluo — sia un bene o sia un male, sia perdita od acquisto, non è ora da discutere — all'arte attuale. Si può eseguire un quadro con sfregature di colore, grumi di materia cromatica, ghirigori, tagli e buchi. * * E' un legittimo agire? L'arte lo accetta? Lasciamo ad altri la risposta, che ci è indifferente perché tutta questa roba, la quale riempie annualmente migliaia di mostre presentate da ingegnosi discorsi che non parlano di quel che è esposto e di quello che ha artisticamente raggiunto l'espositore, bensì di « situazioni », di « presenze », di « momenti », di « memorie », di « proposte », di « ipotesi », eccetera, non ci interessa più come fatto d'arte; un buco in un cartone, una lastra di ferro squarciata sarà sempre soltanto un buco e uno squarcio, se non ci si scrive sotto, cioè sul catalogo, che è la lacerazione della vita compiuta dal neocapitalismo o l'ideogramma del terrore nucleare. Vogliamo soltanto dire che ni grumo, alla sfregatura, al ghirigoro, al buco, al bullone, al cencio spiegazzato, alle assicelle di cassa d'imballaggio rozzamente inchiodate ad un supporto e intitolate Calvario, si arriva con un po' d'istinto, con un po' di gusto, senza troppa fatica; aggiungendo che su un simile terreno il limite fra genialità e imbecillità si è fatto così labile da mettere in costante allarme la critica esitante sul dilemma: « E' un capolavoro od è una scemenza? ». Di qui la crescente fungaia degli artisti come nei boschi dopo la pioggia, di cui non puoi nemmeno più dire se questo sia fungo mangereccio e quest'altro velenoso, tanto s'assomigliano; e la inflazione dell'esibizionismo artistico. La nona Quadriennale Nazionale d'Arte, inauguratasi stamani a Roma con l'intervento del ministro della Pubblica Istruzione, è per una buona metà lo specchio di questa situazione. Prima dell'apertura sono scoppiate veementi polemiche circa gli inviti. Perché tu e non io? Perché Tizio e non Caio? Il fatto c che il più delle volte, sempre per l'accennata situazione, i « valori » un po' più un po' meno, si equivalgono, e il giusto si confonde con l'ingiusto; e la risposta che Bonaventura Tecchi e Fortunato Bellonzi, rispettivamente presidente e segretario generale della Quadriennale, potrebbero dare insieme con le commissioni per gli inviti (se abbiamo ben contato, inviti a 43? artisti, oltre la facoltà di esporre ai componenti le due giurie) e per le acccttazioni (225 artisti ammessi), secondo noi sarebbe una sola: « Cari amici dall'Alpi al Liliben. il palazzo di via Nazionale non può ampliarsi fino a piazza Venezia. Lo potesse, gli inviti sa¬ rebbero mille, duemila, tremila, e le acccttazioni in proporzione ». Così forse la bilancia della Giustizia si porrebbe in pari. * * Al termine della « vernice », sotto il fuoco dei fari della tv, ci hanno domandato se riteniamo ancora utili a una discriminazione di valori queste mostre faraoniche, malate di elefantiasi nel loro corpo mastodontico. Stremati da dicci ore di visita a tre chilometri (dicono) di pitture messe in fila sulle pareti, persino degli scaloni, e a tonnellate di sculture in un labirinto di sale, abbiamo risposto che — a parte il costo di dozzine di milioni i quali tanto più proficuamente potrebbero essere devoluti ai musei, ai monumenti pericolanti, alle pubbliche biblioteche, agli istituti di cultura — esse ci paiono criticamente superate, quando non si prestino, come alla Biennale di Venezia, a confronti di forze e tendenze internazionali con relativi accertamenti e aggiornamenti di cultura. Indispensabili nel tempo ormai lontano che rare erano per gli artisti le occasioni d: esporre e farsi conoscere, la loro funzione pratica è del tutto scaduta oggi che le mostre d'ogni genere, personali, collettive, regionali, nazionali, si moltiplicano ovunque, e il pubblico vi fa le sue scelte conoscendo a Torino, a Milano, a Venezia pittori e scultori di Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e viceversa, e i premi pullulano e gii acquisti spesseggiano. A che cosa si riducono dunque queste esposizioni-dinosauri, dove una selezione di qualità è impossibile per le ragioni anzidette, c perché la botte (l'arte italiana contemporanea) non può dare che il suo vino? A un gigantesco super-market in cui l'oggetto pregevole si confonde con la paccottiglia, la ricerca sofferta con il colpo di mano dell'arrivista, la sincerità della convinzione con la furbizia dello sfruttatore di « proteste » ideologiche Chi segue da anni le mostre personali, c ne legge le propagandistiche « presentazioni », e nota sconfortato la inevitabile giustificazione — quando non è circostanziata lode — d'incommensurabili sciocchezze da parte della critica più qualificata e autorevole, sa che con la Quadriennale non si poteva giungere ad altro risultato d'insieme. Tuttavia all'uomo della strada, se non si lascia spaventare sulla scalinata d'ingresso dai mostri in terracotta, dalla ferramenta fracassata, dal pietrame scalpellato, dai tubi ammaccati che gli ordinatori gli hanno ammannite) coi nomi di Scguri, Garelli, Rambclli. Calò, Cassimi, Ghennandi e altri, ammonendolo dantescamente Ogni viltà convien che qui sia morta, all'uomo della strada — diciamo — questo panorama servirà d'orientamento nel caravanserraglio dell'arte attuale. Il discernimento, l'apprezzamento delle singole opere gli sarà vietato dal senso di stordimento che tosto lo coglierà. Ma girando, anzi correndo di sala in sala se vuol giungere all'ultima prima di sera (d'altronde unico modo ragionevole di visitare le grandi mostre d'oggigiorno), potrà farsi un'idea sommaria, e utile, dell'abisso che divide gli estremi riflessi dell'Art Nouveau qui portati da Camillo Innocenti (1871-1961) dalle frenetiche sperimentazioni della Pop-Art e dell'Arte Programmata o di Gruppo. Perche la linea della fatale frattura — da una parte la realtà e la ragione, dall'altra l'irreale e l'irrazionale, cioè l'umano e il disumano — è chiaramente indicata dalla Quadriennale Non tentiamo un'analisi che implicherebbe la citazione di centinaia di nomi. Basti avvertire ti lettore tornito d'un minimo di conoscenza artistica del significato che assumono presenze quali quelle di Morandi, Casorati. Solfici. Semeghini, Ciardo, Brancaccio, Vellani Marchi, Carrà, 1 omea. De Chirico, Salietti. Bartoli. Mafai, Cantatore. Francalancia, Trombadori, Campigli. Omicctoli, Lilloni, Sironi, Janni Gerardi, Biasion, Ccracchini Carpi, Dalla Zorza. Springolo, Margotti. Guttuso (qui non pittore ma scultore). Messina, Greco Fazzini, Crocetti. Negri, Oscar Gallo. Guerrisi. Drei, (Manzù, invitato, non partecipa alla mostra, e nemmeno Marini). E' il mondo di ieri? Più giusto dire il mondo che non si è proposto come programma la fuga dalla ragione. Al di là della barricata si disfrena non la fantasia, ma la somma degli sforzi per trovare, per imporre linguaggi inconsueti a qualunque costo, con qualsiasi rischio. Si va dal solito lindo campionario di carte da parato offerto da Dorazio coi suoi numerosi seguaci, Gastone Biggi ed altri, alle strisce colorate di Scialoia, e di Accatino, che rammentano le prove di tinta degli imbianchini sull'arricciato prima di dare il colore a una cucina di campagna, o alle superfici gessose di Rampinclli con leggeri rilievi di biacca, o al cordame imbiancato di Savelli. Poteva forse mancare, nella scia della Biennale 1964, la PopArt? Ecco dunque gli obesi fantocci di gesso grandi al vero, « attrazione » da baraccone carnevalesco, cui lo scultore Cimara affida la sua « protesta »: Canasta assistenziale, Potere d'acquisto, I soddisfatti; protesta antiborghese tanto puerile da far venire in mente il manzoniano « povero untorello ». Perché ciò che colpisce ancora una volta in questa mostra è il modo fanciullesco di concepire ed esprimere i « messaggi » ideologici (magari ponendo la cara imma¬ gine paterna di Papa Giovanni accanto a una distorta baldracca nuda) e il fondo torbido dei sentimenti e degli istinti che vorrebbero liberarsi nella creazione artistica: da Vacchi a Cuniberti; e altrettanto infantile è l'opposizione « politica », tipo l'antiamericanismo di Ricci o di Aimone, e l'impegno di gareggiare con lo scientismo della nostra epoca. Tutti chi più chi meno « impegnati » i nostri bravi artisti, a dir cose fuori dell'area della genuina pittura e scultura; forse meno impegnati in tal senso, tolto Aimone, i piemontesi o piemontesizzati che ci piace ricordare in questo panorama nazionale: Casorati, Mcnzio, Levi, Paulucci. Bcrcctti, Bionda. Dafne Casorati col figlio Francesco, Ezio Gribaudo, Mastroianni, Chcrchi, Chcssa, Tabusso, Davico, Tcrzoln, Galante, Fico, Franco, Gariazzo, Monti, Galvano, Gandini, Garelli. Carino. Chissotti. Giorgina Lattcs, Quaglino, Ramclla, Mario Lattcs, Levi Montatemi, Calandri, Martina, Pitzianti, Pozzi, Sciavolino, Mino Rosso, Sartorio. Scroppo, Soffiammo. Ma anche nella cerchia piemontese, quanti che valgono i citati, e quanti che più valgono di parecchi citati, son rimasti fuori della Quadriennale? Non ci sarebbe dunque che da riprendere il discorso fatto in principio. Marziano Bernardi Canasta assistenziale di Mario Cimara. L'opera è un esempio di « pop-art », ed è esposta alla IX Quadriennale di arte moderna. Le figure sono grandi al vero