Lo scrittore James Baldwin a Torino parla del dramma dell'uomo di colore di Giorgio Calcagno

Lo scrittore James Baldwin a Torino parla del dramma dell'uomo di colore E' uno dei più importanti esponenti della nuova letteratura americana Lo scrittore James Baldwin a Torino parla del dramma dell'uomo di colore «Bianchi e negri devono capire che o si salveranno tutti insieme o insieme periranno» - Un problema politico, economico e psicologico ■ « Se il vostro mondo fosse veramente cristiano, voi non vedreste in me un negro » - Oggi la conferenza al Carignano Un uomo magro, dal volto lungo, i capelli nerissimi, gli occhi singolarmente mobili nel viso di colore bruno, stava facendo colazione ieri alle tre nella saletta di un ristorante torinese. Era James Baldwin, il maggiore scrittore negro d'America, giunto un'ora prima da New York per la sua tournée in Italia. Oggi pomeriggio alle 18, al Carignano, inaugurerà il nuovo ciclo dei « Venerdì letterari » dell' Aci con una conferenza in francese sulla « Responsabilità dello scrittore negro negli Stati Uniti ». La ripeterà domani a Genova, lunedì a Milano, martedì a Roma e giovedì a Napoli. Baldwin è praticamente conosciuto nel nostro paese da poco più di due anni, ma i suoi libri hanno già avuto una diffusione imprevedibile: soprattutto il romanzo Un altro mondo, e la raccolta di saggi La prossima volta il fuoco. Al centro di tutta la sua opera è il problema razziale, il contrasto fra il biaiwo e il negro, che egli avverte in uno stato di continua tensione. Questo stesso carattere ha rivelato nel breve colloquio personale, e nella successiva conferenza stampa alla sede dell'Aci, davanti ad un folto gruppo di giornalisti. Baldwin confessa di non avere alle sue spalle delle letture filosofiche, conosce per sentito dire gli esponenti del moderno pensiero americano, e si interessa assai marginalmente alle discussioni sulla dottrina marxista, che egli in ogni caso rif iene lontanissima dal suo mondo. Ma ha una straordinaria capacità di avvertire i problemi della condizione umana. Quello che più lo interessa è «il senso tragico della vita », che ha cercato di portare alla luce nei suoi romanzi. Non è un concetto comodo, in una società del benessere, e molti dei suoi concittadini si rifiutano di sentirselo spiegare. Forse l'aveva avvertito Faulkner, che Baldwin però non accetta come uno dei suoi ispiratori. « Considero Faulkner il più grande scrittore americano del Novecento, e credo di avere capito le sue idee. Ma non posso prendere nulla di lui. Faulkner, come bianco, era costretto a negare delle verità che io, come negro, sono costretto a sapere ». / suoi modelli non sono nella letteratura americana, ma in quella europea: Dickens e Dostojewski. «Mi hanno insegnato che la vita umana è molto più improbabile di quanto si pensi. Le loro storie sono tutte assurde, fantastiche, incredibili. Ma hanno questa differenza rispetto alle altre: che sono vere ». Questo stesso tipo di storie Baldwin cerca di raccontare nei suoi romanzi: più violenti, perché escono da una situazione di conflitto ' più aspro, anche se spesso segreto. a i n o o i e . e a l m o i Gli osserviamo che in Italia]hsono state fatte delle riserve sulla carica di erotismo di certe sue pagine, apparentemente in contrasto con un'opera che vuole essere spirituale e sociale. «Perché?, ci risponde. Forse che anche l'erotismo non è spirituale e sociale? ». Gli facciamo presente il rischio che i suoi libri siano letti solo per queste pagine, e non per il più profondo contenuto che portano: «E' un rischio che corre il lettore, non 10 », risponde. Uomo schivo di contatti intellettuali, Baldwin non fa parte di una società letteraria, come quella europea, sembra quasi stupirsi della psicosi di «gruppo» die esiste fra gli scrittori del nostro paese. Lavora nella sua camera di New York, o nel suo eremo di Istanbul, dove spesso si ritira, e cerca di proiettare nelle sue pagine la vita alla quale ha preso parte. I suoi amici non sono gli scrittori o gli artisti americani. « Io vengo dalla strada e i miei amici sono quelli che vengono dalla strada». Lo dice con un accento sostenuto, quasi di orgoglio. Nonostante la parola piana, 11 largo sorriso, nei suoi occhi si legge una specie di agitazione febbrile ogni volta che parla della sua gente. Gli chiediamo se si trovava ad Harlem, il quartiere negro di New York, quando scoppiarono i disordini dello scorso anno. « Ero appena partito da due giorni; ma avevo visto già prima altre due di queste esplosioni, credo di sapere che cosa è avvenuto. Non è solo una rivolta provocata dai negri. Bisognerebbe essere nato ad Harlem nel 1924 come sono nato io, e da allora avere visto le condizioni di quella gente farsi sempre peggiori. Se uno tiene conto di questo, e se pensa che l'uomo vive una volta sola, allora si spiega la ribellione di questa umanità vlerfsvnlol'Wcvdpi qsigiampgpSvdcpvma2nmcche vuole vivere, che non vuo- ! le sopportare tutto quello che j hanno passato le generazioni venute prima di lei ». Qualcuno ricorda a Baldwin le leggi per la ,integrazione razziale ideate da Kennedy e fatte votqre da Johnson. Lo scrittore ammette la buona volontà di questi uomini, rimane perplesso sull'efficacia della loro opera. «Il problema dell'integrazione non è tanto a Washington quanto nelle banche, nelle industrie. Con l'avvento dell'automazione i posti di lavoro diminuiscono, e i primi a rimetterci sono sempre i negri. Si tratta di vedere quanto l'America ufficiale è disposta a pagare per risolvere il problema. Altrimenti i ne- gri, nonostante la parità di diritti, saranno sempre cittadini di seconda categoria». Ma la discriminazione più pesante, per Baldwin, è ancora un'altra; quella psicologica. « Solo negli ultimi venti anni i negri negli Stati Uniti hanno cessato di vergognarsi di essere negri ». L'America nella quale egli spera è un paese in cui non si.ponga più come problema il colore della pelle: «Bianchi e negri devono capire che o si salveranno tutti insieme, o tutti insieme periranno ». Lo scrittore cerca dì spiegarsi con un esempio concreto, diretto: «Io da giovane ero un pastore protestante; e anche se ho lasciato la professione religiosa, ancora oggi mi sento un prete. Vede? Se noi ora fossimo veramente cristiani, lei non penserebbe di avere davanti un negro ». Giorgio Calcagno Lo scrittore americano-James Baldwin ieri durante la conferenza stampa (Moisio)