L'affannosa fuga di Claire e Bebawi da Roma dopo l'uccisione di Farouk

L'affannosa fuga di Claire e Bebawi da Roma dopo l'uccisione di Farouk da Roma dopo l'uccisione di Farouk Ricostruita nelle testimonianze dei dipendenti dell'albergo «La Residenza» - Un facchino conferma di avere visto l'imputato uscire da un ascensore dell'hotel 13 minuti prima del delitto Un altro teste svizzero ha fatto sapere alla Corte di non potere tornare in Italia per deporre (Nostro servizio particolare) Roma, 8 novembre. Claire Ghobrial e suo marito Youssef Bebawi non riuscirono a nascondere uno strano orgasmo e una gran fretta di lasciare Roma durante il brevissimo tempo in cui, nel pomeriggio di sabato 18 gennaio 1964, si trattennero nell'albergo «La Residenza», in via Emilia 22, a pochi passi da vìa Veneto, dove aveva l'ufficio Farouk Mohamed Courbagi, vetrioleggiato e ucciso verso le 18,30 di quel giorno, proprio mentre i coniugi egiziani erano usciti dall'hotel. I due imputati di concorso in omicidio doppiamente aggravato, che si accusano reciprocamente del delitto, sono da ventidue mesi su questo punto in posizioni diametralmente opposte. Dice la Ghobrial: < Andammo insieme da Farouk. Mio marito gli sparò durante una disputa, mentre 10 mi ero chiusa nel bagno tremante di paura. Feci appena in tempo a vedere Courbagi afflosciarsi sotto la finestra del suo studio ». Sostiene Bebawi: <Non misi mai piede nell'ufficio di Farouk. Fu lei ad andare sola dall'amante e ad abbatterlo a colpi di pistola, mentre io l'aspettai fuori dell'albergò, credendo che fosse andata dalla sarta. Appena arrivò, mi confessò di avere sparato >. Per mettere a fuoco lo stato d'animo e il comportamento della coppia in quel fatale pomeriggio, sono stati interrogati oggi, diciottesima udienza del secondo processo per 11 delitto di via Veneto, il segretario, un portiere, la guardarobiera, il barista e il facchino dell'albergo. Tutti hanno raccontato press'a poco le stesse cose e messo l'accento sull'ansia che mostrarono ì coniugi egiziani verso la fine di quel pomeriggio. II segretario Gianfranco Micangeli ha raccontato che Bebawi e sua moglie arrivarono con un tassì a «La Residenza» verso le 15,30; se ne andarono per cercare all'albergo Parioli una stanza migliore di quella loro assegnata; tornarono poco dopo a via Emilia; fecero mettere un materasso doppio sul letto di una delie due stanze singole disponibili; dopo pochi minuti uscirono. Prima presero il tè e la signora fece dalla cabina prossima al salotto una telefonata di due o tre minuti. Il segretario Micangeli rivide la coppia verso le 18,45. Bebawi gli disse: « Non abbiamo trovato a Roma certi ornici. Vogliamo iiassare il "weekend " a Napoli. Torneremo lunedì: conservateci una stanza matrimoniale ». Fu suggerito all'egiziano di prendere il treno delle 19,20. Il facchino Armando Tardiola portò a basso le due valige degli stranieri. Micangeli consigliò a Bebawi di recarsi a Sorrento. L'altro rispose che desiderava vedere Napoli. Bebawi indossava un cappotto grigio, portava una borsa scura, in testa aveva una specie di colbacco. Era insolitamente loquace. La signora andò a cercare un tassì. Contemporaneamente il portiere ne chiamò un altro per telefono. Successe che arrivarono due vetture. I coniugi, già saliti sulla prima, pagarono anche la seconda. Entrambi sembravano molto preoccupati. Il portiere Giuseppe Lucantonio chiamò il tassì per telefono; mise le valigie sulla macchina; ebbe cento lire di mancia. La guardarobiera Angela Fabrizi provvide a preparare la stanza numero 23 per gli egiziani e a servire il tè nel salotto dell'albergo. Il barista Giuseppe Di Ruggiero, per incarico del portiere, andò a chiamare il segretario Micangeli, quando i Bebawi mostrarono il desiderio di partire subito per Napoli. Il facchino signor Tardiola portò il materasso per sistemare la stanza dei coniugi e più tardi i bagagli nel tassi. « Verso le 1S,IS, — ha detto — quando stavo per lasciare il lavoro, vidi il signor Bebawi uscire solo dall'ascensore ». Mentre l'interrogatorio de: testi italiani procede con rapidità, quelli residenti al¬ l'estero si rifiutano sempre In maggior numero di tornare in Italia per deporre nel secondo processo, dopo essere stati esa minati in quello annullato per l'incapacità di tre giudici. Oggi l'americano Joel Tay lor, che ha un ufficio commerciale a Losanna, ha fatto sapere al presidente dell'Assise di non poter lasciare la propria residenza. Si aspetta frattanto che gli Stati, nei quali risiedono la maggior parte dei testimoni dell'Accusa, facciano sapere per via diplomatica se i sistemi da essi previsti per l'esame dei testi attraverso la « rogatoria » siano o no in contrasto con la norma della nostra costituzione, che assicura a tutti gli imputati il diritto alla difesa in ogni fase del giudìzio. Dalle risposte, che si attendono di giorno in giorno, dipenderà forse la sorte del secondo processo per il delitto di via Veneto e un'eventuale intervento della Corte Costituzionale. Arnaldo Geraldini