Ballata della massaia

Ballata della massaia Ballata della massaia C'era una volta una massaia. Era una donna del medio ceto, moglie di un commesso viaggiatore che guadagnava bene con le percentuali delle vendite, madre di due figli, un maschio di sei anni e una femmina di quattro. Abitava a Milano, a porta Romana; aveva un appartamento di quattro stanze con un balcone fiorito c si occupava delle faccende domestiche. Veneta di origine, e veneta scrupolosamente pulita, teneva molto alla sua casa. Dalla mattina alla sera, ella puliva, riordinava, lavava, stirava, rammendava, ecc., ecc. La mattina era la prima ad alzarsi, alle sei; svegliava il marito portandogli il caffè a letto, alzava i bambini, li preparava per la scuola, poi, rimasta sola in casa, sprimacciava letti, batteva tappeti, puliva scarpe e indumenti di quattro persone, se stessa compresa, andava a fare Ja spesa, tornava a casa, metteva le pentole al fuoco, apparecchiava tavola, serviva il pasto ai figli tornati da scuola, lavava i piatti, stirava il bucato, rammendava le calze, le mutande, le camicie di quattro persone, se stessa compresa, correva dal lattaio per avere il latte di giornata, tornava a casa, preparava la cena, apparecchiava la tavola, serviva il pasto, lavava i piatti, ripuliva la cucina, preparava i letti per la notte, le pantofole al marito, poi, riempito un bell'innaffiatoio verde, andava sul balcone e innaffiava i fiori. Ascoltando il fluire dell'acqua (che voce gentile! ) alzava gli occhi al ciclo e guardava le stelle. « Che bella notte! » pensava la massaia e, dato un bacio si figli che, obbedienti, dormivano già nei loro lettini, si coricava nel grande letto matrimoniale vuoto. Il marito era, bene inteso, al caffè. Ma la massaia, contenta della sua giornata, si addormentava tranquilla, sicura che il marito sarebbe rientrato prima di mezzanotte. Questa massaia, che esisteva esattamente trent'anni fa, era una donna felice. Dietro di lei vi era già una guerra vinta (si dice, ma chi crede più alle guerre vinte?) che aveva sovvertito i costumi, accorciato le sottane e i capelli alle donne, le aveva alleggerite di parecchi scrupoli morali e, dando loro la gioia di ballare il charleston, le aveva obbligate al lavoro nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffici. Il regno della segretaria privata, della stenodattilografa, della mannequin, era incominciato. Dovevano seguire altre conquiste. Le università non erano più frequentate da soli maschi; le ragazze di buona famiglia incominciavano a pretendere una laurea, si sentiva parlare di dottoresse in chimica, di avvocatestc, persino di dentistc. I giovani trattavano le ragazze con straordinaria disinvoltura, gli sports invernali accomunavano maschi e femmine in una libera promiscuità, qualche fanciulla meno timida delle altre incominciava a insidiare apertamente il marito dell'amica giovane della madre. Con tutto questo la massaia di porta Romana era ancora felice. La sua vita si svolgeva intera fra le quattro pareti della sua casa ed ella, pure dovendo in certe ricorrenze sciorinare per il marito una camicia nera che non le piaceva perché scoloriva alle lavature, era soddisfatta di vivere nelle sue quattro stanze, di sprimacciare letti, di battere tappeti, di scodellare minestre e di lustrare scarpe. Le sue quattro stanze erano il suo rifugio e nello stesso tempo la sua forza; in esse si sentiva padrona e regina. Serviva le quattro stanze e le quattro persone che l'abitavano, se stessa compresa, per trecentosessantacinque giorni all'anno, dalla mattina alla sera, in maniera sempre uguale, ma non desiderava altro che seguitare a servire casa e persone amate. Le cose cambiarono. Venne la seconda guerra mondiale, buttò l'Europa all'aria e anche la casa della massaia a porta Romana. Ella conobbe, come tutte le massaie d'Italia, l'orrore delle pentole vuote e dei calcinacci in tutte le stanze; conobbe l'orrore di vedere — ed era una fortunata poiché la sua casa era rimasta in piedi — i mobili co pcrti di polvere, i tappeti bru ciacchiati. E un giorno conobbe una disperazione che non aveva mai immaginato: i suoi mobili vennero issati su carri trabal land, percorsero le strade cittadine in rovina (i begli alberi dei viali che faceva la mattina per andare a fare la spesa erano tutti bruciati!) percorsero strade di campagna. I suoi piatti del servizio buono, le lenzuola di lino del suo corredo, erano ammucchiate in casse che le aveva prestato il droghiere e finirono in vecchie rimesse piene di umidità di un casolare di campagna. La massaia si trovò dall'oggi al domani senza la sua casa, senza il marito, lontana da porta Romana, esule. Capì e vide che la casa non esiste solo come rifu¬ gio e porto, ma anche come tomba. Imparò a odiarla. Imparò anche a essere meno scrupolosa, meno pulita, meno attaccata alle cose e persino meno attenta ai figli (il marito era lontano, combatteva chissà dove). La guerra, guidandola sulle strade in cerca di cibo, la portò a scambiare idee con donne e uomini di tutti i ceti, di tutte le età; la portò a non credere che le vecchie tradizioni sono incrollabili e sante le vecchie regole sulla morale e sulla virtù. La portò a capire la necessità e il valore del denaro. Finita la guerra, col marito reduce e i figli scombinati, la massaia non era più massaia e per di più infelice. Si rifece una casa (era una fortunata, lo abbiamo già detto), due misere stanze a porta Garibaldi, e cercò di rifarsi un'esistenza. Vi riuscì. Il marito riprese l'antico lavoro con metodi più astuti, il figlio maschio entrò in una officina, la figlia femmina fece la parrucchiera. Ma i guadagni dei tre messi insieme non bastavano, il solo mensile del marito andava per raffino. La massaia capì che i tempi obbligavano ognuno a provvedere a se stesso, capì che era inumano pesare su colui che un tempo era il capo di casa e faceva vivere comoda tutta la famiglia. Cercò anche lei lavoro. Era fortunata, ripeto per la ennesima volta, trovò da impiegarsi in un negozio di ferramen ta. Dalla mattina alle otto e mezzo alla sera alle sette e mezzo, la massaia vendette coltelli, forbici, accette, chiodi, filo di ferro, viti, ecc., ecc. Adeguandosi ai tempi, lasciò le sue stanze e assunse il duro impegno dell'orario lavorativo di otto ore. Otto ore? I lavori di casa, essendo la figlia impegnata anch'essa otto ore in negozio, chi li faceva? La massaia dovette accettare la nuova realtà: la casa era ancora sua, lei ne era ancora la padrona e la regina Doveva badare lei, solo lei, al suo regno. Vi badò. Si alzò la mattina alle sci, lavò i piatti della sera precedente (come era stanca, la sera!) preparò la co lazionc al marito e ai figli, li svegliò, rifece i letti, scopò le stanze, corse a comperare il necessario per il pasto di mezzogiorno, si riordinò in fretta vesti e capelli e corse in negozio In negozio vendette chiodi e filo spinato fino alle dodici e mezzo, corse a casa, preparò in fretta il pasto per marito c figli, lavò i piatti lasciandoli ad asciugare sul lavandino e corse di nuovo in negozio. Vendette coltelli e viti fino alle sette e mezzo, corse di nuovo a casa, preparò la cena, riordinò la cucina, preparò i letti per la not te e... ... c gli occhi non le stanno più aperti dal gran sonno. Ma deve ricucile le calze smagliate, dare due punti al grembiule bianco della figlia, rammendare il giubbotto o la tuta del figlio Siede davanti alla televisione comperata a rate con infiniti sacrifici (ma una distrazione ci vuole pure, ci vuole! ) e togliendo i piedi gonfi dalle pantofole che sono di troppo sebbene leggere, pensa a ciò che farà, non l'indomani, perché lo sa già, ma domenica. La domenica è l'unico giorno in cui la ex massaia possa stare in casa. L'aspetta il bucato, la pulizia a fondo delle stanze, i due pasti fatti con cura per dare un po' di consolazione a quei poverini, marito e figli, che mangiano così male e così in fretta tutta la settimana, quindi la stiratura dei vestiti festivi, che i suoi nuovi tiranni, il marito e i figli, pretendono in ordine per uscire. Uscire! Anche lei, la ex massaia forse uscirà, se ne avrà il tempo. Da mesi desidera andare a trovare un'amica che non vede dall'Epifania. Ci andrà, certo, ci andrà. E sognando il suo unico svago si addormenta davanti alla televisione. Marise Ferro

Persone citate: Marise Ferro

Luoghi citati: Europa, Italia, Milano