Gli indiani sono diventati bellicisti rifiutando la «non violenza» di Gandhi

Gli indiani sono diventati bellicisti rifiutando la «non violenza» di Gandhi JL9 impressiona ni e trasformazione della psicologia nazionale Gli indiani sono diventati bellicisti rifiutando la «non violenza» di Gandhi L'odio per il Pakistan li ha trasformati in bravi combattenti, la guerra li ha convertiti all'ideale della «nazione guerriera» - Il paese, minacciato dalla fame, dedica un terzo del bilancio alle spese militari, e cento deputati chiedono la bomba atomica - Dal presidente della Repubblica ai giornali, si spiega che la « non violenza » di Gandhi non è pacifismo, ma « volontà di combattere il male senza odiare il nemico » (Dal nostro inviato speciale) Nuova Delhi, ottobre. Da quando indiani e pakistani hanno incrociato le armi, nel luglio scorso per l'arido Rami del Kutch, in agosto per il Kashmir, non si è più avuto, in tutta l'Unione indiana, un solo «disordine razziale», sikhs e musulmani hanno smesso di scannarsi tra di loro. Nel segno dell'odio verso il Pakistan — un sentimento antico che il recente conflitto armato ha reso delirante —, J7»dia sembra aver trovato quella «unità nella diversità » senza di cui non può esserci avvenire, benché modesto, per questo paese. Paese che è, in realtà, un continente di quattrocentottanta milioni di abitanti, dove il reddito medio prò capite 7ion raggiunge neanche le 35.000 lire l'anno e la popolazione, nonostante le ricorrenti carestie (soltanto nel Bengala, nel V;2-'.'(3. morirono di fame cinque milioni di persone), ha un tasso di incremento vicino al 3 %: nascono 95 indiani all'ora. L'odio ha trasformato gli indiani, miti e fondamentalmente ascetici, indolenti fino al nichilismo, in soldati capaci di tenere a bada un esercito agguerrito, ricco di armi moderne, di potenti carri armati, quale il pakistano. L'odio ha evitato una sconfitta scontata da tutti gli esperti militari, rivelando agli indiani il gusto della guerra e ora li esalta una febbre inedita: seppellito il culto della non violenza, civilissimo lascito di Gandhi, negletto il « non allineamento » sul quale Neliru fondò la sua leadership del Terzo Mondo, essi onorano i propri eroi con un orgoglio che potrebbe apparire ingenuo se non fosse fanatico, rinverdendo tutti i luoghi comuni della retorica nazionalista. La vita economica è in pratica paralizzata; i trasporti ferroviari sono sempre monopolizzati dall'esercito, lo stesso le lince aere? interne. A causa del monsone sfavorevole, il cronicamente inadeguato raccolto dei cereali (circa SO milioni di tonnellate l'anno) si annuncia ridotto; solo un ferreo razionamento, per altro rifiutato da molti dei sedici Stati autonomi compresi nell'Unione indiana, del grano americano (6.650.000 tonnellate, in media due navi al giorno) potrà assicurare un jnÌ7iimo di sostentamento; le enormi spese militari assorbono un terzo del bilancio, il 5 To del reddito lordo nazionale; le riserve in oro e 11111111 i 1 1M 1111 i t M11 i 111111 ! I ? 1111 convertibili assommano a. meno di 500 milioni di dollari dimodoché, perdurando lo sforzo bellico, si potrà importare ancora per quattro mesi soltanto. E tuttavia cento deputati d'ogni tendenza scrivono al primo ministro Shastri sollecitando la costruzione della bomba atomica « in modo ria scoraggiare gli aggressori effettivi e potenziali ». Uomini politici tra i più concreti e moderati sembra abbiano perduto di vista la catastrofica realtà indiana; anche gli in- tellettuali, tranne rarissime eccezioni, sembrano contagiati dalla febbre nazionalista che ha stravolto l'India. Lo stesso Shastri appare prigioniero dell'oltranzismo che domina il Parlamento. Il conflitto indo-pakistano, in t-eritò. ha solo esasperato un procèsso ai trasformazione della, cultura indiana in corso da tempo, e il cui primo sintomo può individuarsi nell'occupazione di Goa. Fu allora, appunto, che si comittciò a dissertare di « dualismo filosofico », delle due « anime» della politica indiana: luna permeata della rinuncia ad ogni azione di forza, in contrasto con l'altra orientata verso soluzioni violente peraltro «giustificate dalla bontà degli obiettivi da perseguire ». C'ie l'India non abbia mai fatto una politica di forza « non è fortunatamente vero », secondo il prof. Krishna Chaita Nya, al contrario «vi sono testimonianze, nella nostra tradizione, di una politica estera assai bellicosa e di espansionismo ». Nel centenario della nascita di Gandhi, il 28 settembre, il presidente della Repubblica, Radhakrishnan, filosofo insigne, ha analizzato il processo intellettuale mediante il quale la divinità, nel pensiero del maestro, si è venuta identificando con la verità e questa, a sua volta, tradotta in azione, prende il nome di ahimsa (non violenza), giungendo alla conclusione che « la dottrina della non violenza non comporta necessariamente l'astensione dall'uso della forza ». La dottrina gonfili iana, sempre secondo Radhakrishnan, impone sì di astenersi da qualsiasi malevolenza e da qualsiasi espressione d'odio e, pertanto, il controllo delle passioni e degli appetiti, la rinmicio a qualsiasi sentimento ostile verso le creature della terra; « ma se apparirà impossibile eliminare il male con l'amore, si dovrà ricorrere alla forza ». Noti è dato sapere a quali testi, a quali dichiarazioni di Gandhi si sia rifatto l'illustre filosofo presidente della Repubblica per arrivare alla rivoluzionaria interpretazione della non violenza. Non certo a quanto ebbe a dire il Mahatma nel novembre del 'SI: « Vorrei ripetere al mondoancora 'ina volta, che la liber tà del mio paese non può essere raggiunta a scapito del principio della non violenza Esso è tanto radicato in me che preferirei lasciarmi morire piuttosto che ripudiarlo»A qualche osservatore diplomatico è sembrato legittimo domandarsi se in Radhakrishnan non abbiano prevalso sul pensiero filosofico considerazioni di opportunità politica, inducendolo a forzare la mano e dare una interpretazione se non altro libe ra. alla dottrina gandhiana. Sulla scia del Presidentela cultura indiana più rappresentativa, in uno con lo schieramento politico, da destra all'estrema sinistra, è oggi impegnata ad avallare il mito della « nazione guerriera» assumendo con ciò d celebrare la nascita di una coscienza unitaria, sì da perpetuare quel declinante « miracolo », mercé il quale l'India è riuscita finora a non sprofondare nell'anarchia pur essendo tutto fuorché una nazione. Nei suoi confini coesistono sei distinti gruppi etnici, sette religioni primarie, 81)1) tra lingue e dialetti, due antiche civiltà antagoniste: gli indo-arii (al Nord) che parlano l'hindi, i (travidi (al Sudi con lingue come il tamil e il telegu, che differiscono dall'hindi quanto il cinese dall'italiano. Preoccupati di scongiurare l'acuirsi delle divisioni e dei contrasti interni, aggravati dal fallimento della politica di sviluppo agricolo, gli epigoni del neo-nazionalismo militarista indiano han finito, magari senza accorgersene, con l'indicare la guerra come unica r-lternativa al caos. Volendo celebrare la « patria indiana », in realtà essi celebrano il culto della violenza contro quello deU'ahimsa gandhiano Ma se una volta il pacifismo avversava la guerra in quanto «invenzione riei potenti per ottenere determinati successi col sangue dei poveri », in tempi atomici il pacifismo trova la sua ragion d'essere semplicemente nella consapevolezza che la guerra significherebbb il massacro della umanità. Igor Man L'India è grande 3 milioni e 270 mila kmq, più dì dicci volte l'Italia. La popolazione è di J/S0 milioni di abitanti. E' un Paese prevalentemente agricolo, abitato da genti molto diverse fra loro per lingua, costumi, tradizioni. La capitale, Nuova Delhi, conta oltre 2 milioni di abitanti. Risorsa principale è il riso. Scarse le disponibilità di minerali, appena agli inizi l'industria

Luoghi citati: India, Italia, Nuova Delhi, Pakistan