I laburisti e la grande industria di Alberto Ronchey

I laburisti e la grande industria INTERVISTA CON IL CAPO DELLA PIÙ' GRANDE DITTA INGLESE I laburisti e la grande industria Paul Chambers dirige da cinque anni la « Imperiai Chemical »: cento stabilimenti, 12 mila prodotti, la seconda azienda chimica del mondo - Egli è convinto che il concentramento delle imprese giovi all'economia: consente il progresso tecnico, riduce costi e rischi, permette di finanziare la ricerca - Rimprovera ai laburisti le severe misure fiscali sui profitti e sui dividendi, e l'eccessiva fiducia nella politica dei redditi - Come Lord Rootes, il "magnate" dell'auto, è scettico sui piani: «Alcune previsioni sono come quelle dei meteorologi» - Vedrebbe con favore l'adesione inglese al Mec (Dal nostro inviato speciale) Londra, ottobre. Patti Chambers, il « signor Big Business » degli inglesi, disse una volta: «La maledizione dell'Inghilterra è il suo atteggiamento sentimentale verso l'inefficienza >. Adesso, mentre mi concede mezz'ora di ragguagli, ni quartier generale della Imperiai Chemical Industries, gli domando che cosa intendeva dire e se può citare qualche esempio. « E' il caso — risponde — della piccola industria tessile a conduzione familiare: ha resistito a lungo, con la sua tenacia sentimentale e la sua inefficienza ». Non aggiunge altri esempi, né vuole affrontare un'analisi del costume. Si limita a dire che oggi il mercato non ha posto per i suborganismi. Vici, di cui Chambers è presidente, ò un super-organismo: cento stabilimenti solo in Gran Bretagna, 120 mila dipendenti (fra ì quali 65 mila operai) nonostante l'alto grado di automazione della chimica, 12 mila prodotti, mezzo milione di azionisti e migliaia di ricercatori che hanno scoperto il polietilene («la più versatile delle plastiche»), l'anestetico Fluothane, l'insetticida Gamma Bhc e innumerevoli altre cose, che modificano il vivere quotidiano e il mercato. Nella scala delle industrie europee (Mercato Comune e Area di libero scambio) Vici è seconda solo a società plurinazionali come la Royal Dutch-Shell e la Unilever, oppure a enti pubblici come il National Goal Board inglese (l'ente del carbone, nazionalizzato) e una holding di Stato come Viri in Italia. Chambers è un uomo di piccola statura, preciso e rapido nei gesti, loquace, senza traccia dei modi togati della City, alla quale è legato per tradizione familiare. Non viene dalla tecnologia, come tanti managers tedeschi e americani, ma dalla finanza: quando i laburisti osservano che spesso il management hrifnjuiico obbedisce a una psicologia finanziaria più che industriale, citano il caso Chambers. Egli I studiò alla London School of Economics, trascorse lungo tempo al Fisco (dove inventò il sistema P.a.y.e.: « Pay as you earn », ossia « Pagate mentre guadagnate»), riorganizzò il metodo di tassazione dell'India. Solo nel '60 divenne presidente di quel moderno leviatano che è Vici, la massima industria chimica europea e la seconda del mondo. Lo studio ìlei quale mi riceve, affacciato sul Millbanlc, è molto vasto, e ricorda la sentenza di Ancien in The Managers: « L'ultima parola su come vivere e morire / spetta oggi agli uomini tranquilli / che lavorano troppo in stanze troppo grandi / traducendo in cifre / quel che conta, quel che si deve fare... ». Paul Chambers conversa con sicurezza sui temi più scabrosi: qual è la base della, sovranità economica dei super-colossi, la reale legge di necessità della loro esistenza, quali precise ragia7ii moltiplicano la loro capacità tecnologica, dove si andrà a finire. «La dimensione superiore — egli osserva — consente ripartizione dei rischi, egemonia tecnica, fluidità commerciale. Fino a pochi anni fa, un Impianto per la produzione di 10 mila tonnellate di ammoniaca era considerato grande: oggi uno ria 450 mila tonnellate rappresenta la misura media adeguata al mercato. Il costo unitario è più basso, la manodopera si riduce in proporzione. Noi, vede, possiamo anche permetterci di fornire la concorrenza... Abbiamo speso 30 milioni di sterline per un nuovo impianto che produce fibre sintetiche a ciclo integrale. Due stabilimenti sono collegati da tubazioni per sette miglia, passando sotto il Tamigi. Il ciclo integrale è tutto nella petrolichiinìca... E poi, l'impulso della tecnologia, che è la ricerca scientifica, non costa poco: noi spendiamo per questo venti milioni di sterline in un anno... E infine, vede, io ritorno in questo momento dalla Cina, dove abbiamo speso 60 mila sterline solo per un'esposizione. Chi altro potrebbe farlo? Bisogna essere grandi ». Chambers aggiunge che l'economia di un paese come la Cina è ancora lontana dal « decollo » industriale, ma è già un forte mercato per alcuni prodotti, concentrato in poche mani: Vici ha raddoppiato in breve tempo i suoi affari con quella « dittatura di piano », da potenza a potenza. Ci si domanda come sia possibile conciliare la lievitazione dei super-colossi con la dottrina tradizionale della concorrenza, alla quale tuttora molti mostrano di credere. Chambers risponde che la competizione non è scomparsa, se non nelle vecchie forme: oggi avviene soprattutto su scala internazionale. Egli stesso, accettando la logica del challenge su vasta scala, non cessa di argomentare sulla necessità che la Gran Bretagna entri nel Mec, in un modo o nell'altro. Su scala nazionale, tuttavia, una volta raggiunte certe dimensioni, si pone un problema di rapporti col potere politico, di equilibrio, e di scelte che non possono essere del tutto sovrane dinanzi allo Stato. Non è così? Che pensa Paul Chambers, per esempio, della politica laburista? Egli sfiora appena il tema dei rapporti di forza, rimane sul terreno dell'analisi dei singoli atti di governo. Sulla politica dei redditi, ha qualche dubbio: «Io temo — dice — che in condizioni di pieno impiego nemmeno una politica dei redditi possa controllare la pressione salariale e il livello della domanda, al riparo dal rischio d'inflazione. Se poi c'è disoccupazione, allora la politica dei redditi non serve ». Chambers ha più fiducia in altri mezzi. In questi giorni, Vici e il sindacato dei chimici, hanno concluso un accordo per accrescere la produttività, che, sotto condizione, solleva i salari operai da 650-990 sterline l'anno a 120-1100. (Ma la chimica è fra i settori più avanzati della tecnologia., che offrono margini particolari a simili esperimenti). Altri dubbi sul piano quinquennale dei laburisti: «Tutte queste previsioni e stime — osserva Chambers — sono Interdipendenti. Se per esempio la produzione del tessili è diversa da quella prevista, anche noi dobbiamo correggere le nostre valutazioni. In un piano nazionale, bastano pochi errori a modificare tutto. Non parliamo poi delle stime sull'esportazione: sono meteorologia ». Tempo fa Z'Economist scrisse che Chambers era passato decisamente « nel carrozzone dell'antipianificazione » (quello degli obiettori per principio) e mi aspettavo confutazioni anche più aspre. Ma la critica radicale che Chambers rivolge ai laburisti riguarda la riforma fiscale del cancelliere dello Scacchiere Callaghnn (non la capital gains tax. bensì la corporations tax;. In pratica, con Videa di favorire gli investimenti delle, imprese per autofinanziamento. Collegllati penalizza la distribuzione dei profitti agli azionisti: questo genere di incentivo, secondo Chambers, è un « trucco di vetrina » molto rischioso. Se le società limitano la distribuzione dei dividendi, gli azionisti si trovano nell'impossibilità di investire magari in titoli delle industrie più dinamiche e vengono favorite così le aziende « statiche ». Se poi le società distribuiscono dividendi agli azionisti, nonostante le nuove tasse, il capitale sottratto al mercato viene speso dallo Stato « al modo in cui spende lo Stato ». Tuttavia nella stima del governo e anche di alcuni sindacati, i dividendi erano fin troppo alti: ma si capisce che la disputa, a questo punto, scivola sul terreno della casistica o delle teorie generali. «Dunque c deluso dall'esperienza laburista'». Chambers risponde: « Sono deluso dalla corporations tax». Egli vede soprattutto un mezzo per superare lo stop-go e la stagnazione dell'economia britannica: meno tasse, non solo sul profìtto che va agli investimenti delle imprese, ma sui redditi personali. Questo mi ricorda una lettera pubblicata dal Times. che diceva: « Avrebbe compiuto Drake il giro del mondo, avrebbero costruito i vittoriani la massima potenza commerciale dei loro tempi se avessero dovuto pagare al fisco 18 scellini e 3 pence per ogni sterlina guadagnata? ». Con qualche dubbio sulla tesi che gli incentivi materiali siano tutto, (e possano giudicarsi oggi come all'epoca di Drahe o possa paragonarsi il governo vittoriano allo Stato dell'istruzione di massa, dell'assistenza sanitaria gratuita, dell'edilizia popolare), ho ricordato l'episodio a Chambers, che ha risposto: « Io pago in tasse personali più che 18 scellini e 3 pence su una sterlina. Con un reddito superiore a 50 mila sterline l'anno, pago il 92 per cento ». La tassazione progressiva inglese sui redditi personali, in effetti, è drastica. Tuttavia si legge in Anatomy of Britain, di Anthony Sampson, che Sir Paul Chambers abita nella Bishop's Avenue di Hampstead, una strada famosa: e gli rimane la soddisfazione di governare una navicella un poco più grande e potente che quella di Drake (infatti non cessa di amministrare il boom delfici). L'argomento degli incentivi ricorre quasi sempre nei temi del Big Business come il sicuro elisir della produttività e dello sviluppo. In America, mentre già la. produttività era altissima e i prezzi erano stabili, al riparo dall'inflazione, un congegno di stimolo del boom attraverso i « tagli fiscali » di Heller ha avuto successo. In Inghilterra, niente è servito a nulla, benché i conservatori promettano ancora di ridurre le tasse, se torneranno al governo: «L'abbiamo già fatto — dice Iain MacLeod, cancelliere dello Scacchiere "ombra" — e lo faremo ancora ». Ma nel business londinese, una volta caduta o rinviata la prospettiva di uno choc vitale come l'ingresso nel Mec, vi è un gruppo notevole di uomini persuasi che solo una scossa fiscale possa rinnovare l'Inghilterra. In un elegante ufficio di Pieca- dilly, me l'ha ripetuto Lord Rootes della « Rontes Motors Ltd.» (Snnbeam-Karrier-Singer-Dodge Britannica - ecc.), anch'egli dubbioso sull'efficacia della pianificazione: «Il piano? Un magnifico esercizio statistico ». Ma. resta difficile capire perché, in tredici anni di governo conservatore, la cura dei tagli fiscali non abbia lenito la «malattia britannica », o sia stata condotta senza vigore e senza abilità da chi poteva farlo in perfetta coerenza. Alberto Ronchey