Un errore the nuoce al prestigio del Parlamento di A. Galante Garrone
Un errore the nuoce al prestigio del Parlamento Giuste proteste per l'aumento dell'indennità ai deputati Un errore the nuoce al prestigio del Parlamento Sarebbe un errore non darsi cura dell'opinione pubblica, e sottovalutare un fenomeno degli ultimi giorni: la generale ondata di malumore — che ha raggiunto anche i toni eccessivi dell'invettiva e dello scherno — per l'aumento delle indennità parlamentari votato quasi all'unanimità dalla Camera e ridiscusso e precipitosamente ribadito, dal Senato in sede referente nonostante le aperte riserve di un gruppo di senatori Una decisione inopportuna per il momento in cui cade: questo è il giudizio del sen. Parri; e molti, a cominciare dal sottoscritto, non possono fare a meno di dargli ragione. La questione vorrà discussa nei prossimi giorni dal Senato in assemblea E c'è da augurarsi che la si voglia affrontare a fondo senza barricarsi dietro pretestuose ragioni di prestigio, d: orgoglio ferito di supre; ma necessità per il bene pubblico. Come pure vorremmo che l'opinione non si lasciasse trarre in inganno da troppo infiammate imprecazioni, che spesso nascon¬ dono una squallida acidità qualunquistica, o un fastidio, tipicamente reazionario, per tutto ciò che è vita parlamentare, partiti, istituzioni democratiche. Si tende infatti a dimenticare, da qualcuno, che il principio dell'indennità parlamentare non soltanto è giusto, ma risponde ad un'esigenza democratica di eguaglianza in quanto consente a ogni cittadino di accettare il mandato dei suoi elettori quali che siano le sue condizioni economiche. Si aggiunga che la vita parla mentare comporta impegni e sacrifici che il più della gen te ignora. Ed è logico che la regola dell'indennità deb ba essere attuata in modo che garantisca pienamente la dignità dell'eletto. E' un'esigenza antica qua si quanto la storia dei parlamenti. Vigeva un tempo la regola che fosse doveroso alleviare i disagi e rimborsare le spese che gravavano sui rappresentanti. E si ricorda il caso di quel deputato di Dubwich che nel 1463 accettava come compenso un barilotto di aringhe. Poi, la regola cadde in disuso. Gli aristocratici ed i ricchi borghesi non avevano, di solito, alcun bisogno di essere indennizzati; e del resto l'usuale brevità delle sessioni consentiva di attendere alle normali occupazioni. Le cose cambiarono con la Rivoluzione francese; ma le Costituzioni della prima metà dell'Ottocento erano tornate alla regola della gratuità della funzione parlamentare Così disponeva anche lo Statuto albertino, seguendo l'avviso del conte Borelli per il quale la mancanza d'ogni compenso sa rebbe stata « una garanzia contro una folla di sollecitatori di modica fortuna ». A lungo andare, la necessità di indennizzare gli eletti si fece sentire, in Italia e fuori. Se a Torino e a Firenze l'aggravio economico era ancora sopportabile, le cose mutarono col trasferimento della capitale a Roma. Sempre più frequenti sui giornali, e nelle corrispondenze private erano le lagnanze per l'impossibile costo della vita nella capitale, e la lunghezza delle ses¬ sioni. Alla radice del distacco e del disgusto di molti per la vita parlamentare, c'era spesso anche questo stato di reale disagio economico. Scriveva La Nazione dell'll gennaio 1871: «Gii elettori non avranno più fra i candidati (la scegliere quello che par loro migliore, ma quello che possa ogni anno lasciare a Roma otto o diecimila lire ». Fu allora che, specialmente nei settori più democratici del Parlamento e del paese, cominciarono a levarsi le richieste di una giusta indennità Il principio è oggi riconosciuto dall'art. 69 della Costituzione: < / membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge». Si tratta di un diritto che non può essere soppresso in quanto è stato, come si dice. •* costituzionalizzato ». Un diritto, 'dunque, che nessuno dovrebbe misconoscere, comprimere, mortifica re. Ma i molti che oggi non a torto mormorano, non fanno questione di diritto; piuttosto sollevano dubbi sull'opportunità del provvedimento, sia per la scelta del mo¬ mento, sia per la misura dell'aumento Giusto, più che giusto, commisurare l'indennità alle fatiche ed ai sacrifici che la funzione parlamentare richiede, preoccuparsi della sua dignità troppo spesso dimenticata (e talvolta, diciamolo pure, ad opera di qualche deputato o senatore, non sempre consapevole dei propri doveri e del decoro della sua carica) Ma giusto più che giusto, rendersi conto dell'ora non facile che attraversiamo, nella quale a tutti si chiedono, con insistenza, rinunce e sacrifici. Ragionevole ci sembra la proposta dei socialisti: che ridurrebbe, in sostanza l'aumento ad una semplice applicazione della « scala mobile ». già operante per tutte le altre retribuzioni, e sarebbe dunque più che equo applicare anche all'indennità parlamentare. Così pensa l'uomo comu ne, il pensionato l'operaio tessile o metallurgico, l'impiegato pubblico o privato, la massa della gente che lavora e si arrabatta. E ae 1 nostri parlamentari non sì accorgessero di questo diffuso modo di sentire, o non ne tenessero conto, dovremmo concludere che un preoccupante distacco fra paese legale e paese reale già si è aperto o minaccia di aprirsi. A. Galante Garrone
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