Un esame di coscienza sui difetti "italiani"

Un esame di coscienza sui difetti "italiani" D'accordo, ma non troppo, con Luigi Bararci Un esame di coscienza sui difetti "italiani" Questo libro di Luigi Barzini scritto originariamente in inglese per gli americani (The ItaHans, ed. Athcneum, Nuova York 1964) e che esce ora in italiano in una traduzione letterale («Gli italiani», Arnoldo Mondatori editore), intelligente, brillante, ricco di aneddoti e di citazioni, offre a mio parere una prova di più della impossibilità di definire in un'opera la natura, il carattere, i vizi e le virtù di un popolo tuttora attivo, creatore, produttore, alle prese con problemi sempre nuovi, in continua comunicazione osmotica con le altre nazioni. E tanto più se questo popolo sia l'italiano, già composto a unità nel corso di sette secoli da Roma che gli dette una lingua, una civiltà, una fede, una legge comune, e nel quale tuttavia vivono ancora ben distinte le schiatte originarie, allobroga e staila, veneta e ligure, etrusca e illirica, greca e umbra, celta e picena; e che fino a poco più di un secolo fa era frantumato in tanti Stati separati da frontiere così nette come quella che divide la Francia dalla Spagna. Così è avvenuto a Barzini, descrivendo la condizione delle cose in Italia nel campo della economia e della vita pubblica, della famiglia c del modo di vivere, di attribuire a tutta la nazione o ad una grandissima maggioranza di essa certi fenomeni di natura esclusivamente cittadina, e delle città maggiori, e atteggiamenti e modi di vita di limitate classi sociali; come per esempio il servilismo e l'adulazione di ceti che vivono del turismo, e l'aspirazione ad una posizione di vita mediocre ma stabile e protetta da eventi imprevisti, con modesti avanzamenti e l'acquisto di un po' di autorità morale e una pensione da vecchi, che è propria della borghesia meridionale. (Vorrei dire, fra parentesi, che questo desiderio di crearsi una vita senza imprevisti, con un reddito modesto e sicuro che permetta di prender móglie e assicurarsi le comodità correnti della vita è della gioventù americana: hanno perduto il gusto di cambiar mestiere dei loro vecchi, non amano le avventure, non viaggiano volentieri. E, restando nella parentesi, avviene spesso nel corso della lettura di questo libro di vederci rimproverati difetti che si ritrovano in uguale o in maggior misura presso altri popoli). E così Barzini descrive in pagine molto colorite la straordinaria animazione, la vigorosa vita d'alveare degli italiani, strade, piazze, mercati brulicanti di gente affacccndatissima, artieri che lavorano • sulla soglia delle botteghe, carrette di venditori ambulanti e banchi di vendita sul marciapiede, un assordante baccano di gente che discute, che conversa, che tratta affari nel mezzo della strada, madri che chiamano i figli dalle finestre degli ultimi piani, la processione e il funerale ugualmente sontuosi con carabinieri e bande in alta uniforme; spettacolo che si può vedere a Napoli e a Catania, non a Torino e a Milano. C'è sempre il rischio in queste annotazioni di trapassare ad una generalizzazione deformante. Barzini descrive Roma e il suo clima non secondo realtà, ma secondo l'interpretazione dell'ipocondriaco Alberto Moravia e di Sandro De Feo che soffre di reumatismi: « Roma è tristemente nota per una delle condizioni climatiche più sgradevoli che siano al inondo: lo scirocco per quasi duecento giorni dell'anno, un afoso vento tiepido che riempie il cielo di nubi basse, grige, sature di umidità, fa fiorire quasi ovunque la vmffa, costella i muri di biliose macchie d'umidità, fa sì che la gente si sente fiacca, impotente, irascibile, con la testa piena di bambagia ». E nello stesso funereo modo è presentata la Venezia autunnale invernale e primaverile; fortuna che Hemingway ha descritto con ben altro affetto il fascino invernale della città lagunare. Gli stranieri che nell'originaria edizione abbiano letto che gli italiani « temono soprattutto la morte improvvisa e violenta », che l'Italia è « a bloodstained land », un paese macchiato di sangue, — quasi ogni giorno dell'anno mariti gelosi ammazzano le mogli adul- tante mogli uccidono i mariti adulteri e le loro amanti, padri 0 fratelli maggiori uccidono i seduttori di figlie e sorelle vergini, vergini uccidono uomini che tentano di far loro violenza; operai licenziati uccidono i loro datori di lavoro, uomini d'affari rovinati si tolgono la vita o uccidono i concorrenti, contribuenti uccidono gli esattori delle imposte, studenti bocciati uccidono 1 loro professori etc. ere; passeggiatrici vengono trovate morte con calze di seta avvolte strettamente attorno al collo, sulle spiagge deserte si trovano ragazze-squillo affogate in pochi centimetri d'acqua etc. etc. — quei lettori stranieri crederanno che l'Italia sia il paese dove ci sia il maggior numero di morti ammazzati. Sono andato a vedere le statistiche: in Italia i morti per omicidio sono 13 per un milione d'abitanti (in diminuzione; nel 1960 erano 14), sono 14 in Portogallo, 15 in Australia, 17 in Giappone, 23 in Francia, 47 negli Stati Uniti. Molto seria, e ben motivata è la critica che Barzini fa a certe cose nostre nel capitolo intitolato « // rovescio della medaglia », anche se tocca certi aspetti della nostra vita che non derivano propriamente dal carattere degli italiani, ma da errori di politici e di legislatori, da una amministrazione arretrata, da una malintesa passione politica, elencando quelli che egli chiama ispiriti maligni »: la miseria, esposta forse a colori un po' troppo foschi; l'ignoranza diffusa, quell'analfabetismo che non è tanto quello dei pastori dei pescatori dei boscaioli che non sono mai stati a scuola quanto quello dei borghesi, della classe media che ha solo e ha tutt'al più un'istruzione professionale, che legge poco e male, che si lascia stordire dalla televisione dalla radio e dalle canzonette; l'ingiustizia, derivante dalla farragine di leggi antiquate e contraddittorie e da un sistema giudiziario pletorico e lentissimo; e la burocrazia infine, mal pagata, accidiosa e inquinata dalle intromissioni dei partiti. E sono molto divertenti, per quanto un po' superate, le sue considerazioni sullo strapotere della famiglia, sui rapporti fra 1 mariti e le mogli, con la conclusione che gli uomini dirigono il Paese, ma le donne dirigono gli uomini (forse Barzini non sa che questo lo ha detto Catone il Censore prima di lui, come si legge in Plutarco: « Tutti gli uomini hanno imperio sopra le donne, noi romani sopra tutti gli uomini, e le donne nostre sopra di noi »). « L'Italia è, in realtà, un cripto-matriarcato ». Barzini dedica molte pagine a chiedersi perché l'Italia conservi presso gli stranieri l'antico Paolo Monelli fascino, sebbene, come afferma, molte delle ragioni storiche che giustificano da secoli il viaggio in Italia siano del tutto immaginarie; il famoso sole d'Italia è un'invenzione di malinconici scandinavi, russi ed inglesi di cui il clima è il peggiore del mondo. E in fondo, continua, se si toglie la Santa Sede e gli scavi di Pompei e il Vesuvio tutte le altre cose si possono trovare, e migliori, in altre parti del mondo, Milano e Torino sono più fredde in inverno di Copenaghen, più calde in estate di Algeri; e l'inverno è senza dubbio più piacevole in Egitto, a Hong-Kong, in Crimea, nel Sahara, nel deserto della California meridionale. E cosi risponde: « La gente continua a venire in Italia perché è attratta da una certa qualità della vita italiana. Sappia o meno di che cosa si tratta, è qualcosa che le fa scorrere più rapido il sangue nelle vene. Continua a darle un senso di liberazione, la liberazione di Saturno. Gli italiani che circondano gli stranieri in visita sembrano capire cose che ancora lasciano perplessi altri popoli, sembrano avere esplorato scorciatoie, alcune delle quali forse un po' spregevoli e discutibili, ma ciononostante utili per evitare i tratti più accidentati della vita. (...). Gli italiani sembrano felici. Ostentano in tutto ciò che fatino una buona volontà e uno zelo davvero contagiosi. (...) Il piacere .di trovarsi in Italia è dovuto al fatto che si vive in un mondo fatto dall'uomo, per l'uomo, mila misura dell'uomo». Mi manca lo spazio per tante altre osservazioni che mi. ha dettato la lettura, di consenso e di critica. Dirò solo che raccomando la lettura di questo libro contraddittorio, un po' scettico e un po' fatalista, ma dove c'è tanto affetto filiale per la madre patria e un certo patronage (nel senso inglese della parola) di uno che fece il liceo c l'università a Nuova York e quando tornò ih Italia poco dopo i vent'anni ebbe, come mi ha detto più volte, l'impressione di esser capitato in un paese un po' goffo, provinciale e patriarcale. Libro nel quale le testimonianze di Guicciardini, di Machiavelli, di Stendhal, di viaggiatori inglesi e americani dei secoli XVIII e XIX, ingenui o malati di fegato, superficiali o teorici si alternano ad esperienze personalissime; istruttivo e stimolante, e che costringe ad un continuo esame di coscienza. E se il lettore non sarà sempre d'accordo con l'autore, ritroverà con molto diletto nella descrizione di questo o quel genere di arrivismo, di opportunismo, di clientele politiche, l'ambiente caro ai suoi amici più intimi.