S'è ucciso l'industriale che fabbricò il farmaco usato nel manicomio di Bergamo di Carlo Cavicchioli

S'è ucciso l'industriale che fabbricò il farmaco usato nel manicomio di Bergamo A quarantun anni, con una fucilata al petto S'è ucciso l'industriale che fabbricò il farmaco usato nel manicomio di Bergamo La tragedia ieri mattina nel laboratorio di Casteggio, presso Voghera - Gli ispettori addetti all'inchiesta visitavano l'azienda che (fino al 1956) aveva prodotto la « Cardiobaina » - Il titolare, dott. Roberto Dazzini, ha detto: « La nostra è sempre stata una ditta esemplare; io non sopporto questa vergogna; sono stato diffamato a torto» - Poi è corso in una stanza vicina, ha appoggiato la doppietta al cuore e ha lasciato partire un colpo (Dal nostro inviato speciale) Pavia, 13 ottobre. Sconvolto dalla tragedia di Bergamo — dove otto donne sono morte nel manicomio dopo una iniezione di « Cardiobaina » — il dott. Roberto Dazzini, di 41 anni, titolare del laboratorio che aveva prodotto il farmaco, si è ucciso oggi con un colpo di fucile al petto mentre alcuni funzionari incaricati dell'inchiesta ispezionavano la sua piccola fabbrica. « Mi si fa torto — aveva detto loro accompagnandoli attraverso i locali — e si offende la memoria di mio padre. Non è stata la "Cardiobaina" a uccidere le ricoverate e del resto noi non la producevamo più in fiale dal 1956. Il nostro è stato sempre un laboratorio esemplare, lo vedete. E io non sopporto questa vergogna, non posso vedere infangato il nome della mia famiglia ». L'ispettore medico dottor Marconi e i presenti hanno cercato di calmarlo, gli hanno detto che davvero ogni cosa pareva in regola. Ma l'uomo non si è placato e, rimasto solo per pochi minuti, si è sparato. Il dott. Roberto Dazzini era, a quanto risulta, un uomo scrupolosissimo che dedicava tutto il suo tempo alla piccola azienda ereditata nel 1956 dal padre Ruggero. La ditta « Aschei e Dazzini » (Aschei è il nome di un socio che s'è da tempo ritirato) è abbastanza vecchia. Un tempo aveva sede a Milano ma nel 1943 i laboratori furono distrutti in un bombardamento aereo. I proprietari la trasferirono allora a Casteggio,. in una bella palazzina del Seicento chiamata « La Certosa », che sorge in cima ad un colle ed appartiene al Comune. Roberto Dazzini aveva cominciato a lavorarvi ap pena laureato, accanto al padre: alla morte di questi era subentrato come titolare. La loro era stata sempre un'azienda a gestione familiare. Due soli dipen denti, e una vecchia segretaria, Giuseppina Ponti. Anche la moglie del dott. Dazzini, Maria Luisa Valcurone, vi aveva una parte, perché è laureata in biochimica e ha conosciuto il marito fra i banchi dell'Università. I Dazzini erano una coppia bene affiatata. Non avevano avuto figli e se ne rammaricavano. Abitavano a Voghera, in via Garibaldi, in un alloggio lussuoso, perché non avevano problemi finanziari. Il chimico aveva uno solo hobby, la caccia, cui dedicava la domenica partendo per tempo col suo «setter». Ma per tutta la settimana, dalla mattina alla sera, puntuale come un impiegato, il dottor Dazzini era nei suoi laboratori. La moglie lo raggiungeva un po' più tardi e lasciava più presto la palazzina, per attenderlo a Voghera a cena. Sabato scorso il chimico ha avuto verso le 21 la notizia della tragedia di Bergamo. Gliel'ha portata un giornalista. Immediatamente egli ha rilasciato una dichiarazione che voleva essere una smentita: il suo laboratorio non fabbricava più la « Cardiobaina » in fiale dal 1956 e quindi non aveva mai prodotto il farmaco nel corso della sua gestione. Ma in questo modo gettava un'ombra sull'attività del padre che era il precedente proprietario. « Sono sicuro che, da parte nostra, non ci sono stati errori — ha detto alla moglie — e non possono essere state le nostre fiale a causare tante vittime. Le ricoverate di Bergamo sotto state curate in precedenza con un altro farmaco per il quale la " Cardiobaina " può essere contro-indicata ». Era sconvolto e pare che da quel momento non abbia più dor mito. Lunedì il ministero della Sanità ha emesso un comunicato in cui si citava il nome della ditta. Nella stessa giornata è giunto a Ca steggio un ispettore inviato da Roma. Ha visitato i lo' cali (un grande stanzone laboratorio diviso da alcu mpbolsifaflmrqisfcIne tramezze e tre o quattro|uffici) e ha controllato le' macchine (due sole) che producono ora la « Cardiobaina» in gocce per uso orale. Non sembra abbia rilevato irregolarità. Del resto, la fabbrica era stata ispezionata anche tre mesi fa, ed avevano consigliato al chimico soltanto di ram- modernare gli impianti, ormai antiquati. Stamane il dott. Dazzini ha avuto un'altra visita, quella del dott. Marconi, inviato dal medico provinciale con cinque ispettori urbani. I due uomini si co noscevano. L'esame questa volta è stato lungo. Alle 11,30 i funzionari stavano per andarsene. « Vedete che è tutto in regolo, e mi hanno diffamato a torto — ha detto il chimico. — Ma è soprattutto il nome della famiglia che è stato calunniato ». C'erano accanto a lui anche il fratello Giorgio, venuto da Genova, dove lavora in una grande società di prodotti sintetici, e un amico, Alfio Grassi. « Stai tranquillo, ti renderanno giustizia. Non perdere la testa, vedrai che tutto si metterà in chiaro », gli ha detto il fratello. Roberto Dazzini, ad un certo pUnto, ha attraversato quasi di corsa il laboratorio, come se avesse dimenticato qualcosa, ed è entrato nel suo ufficio. Ha preso da un armadio la sua doppietta, l'ha caricata con una sola cartuccia e se l'è appoggiata al petto mettendone il calcio a terra. Poi, così chino, ha premuto il grilletto. La fucilata gli ha squarciato il petto. Di fuori non si è sentita che un'eco soffocata. Sono accorsi il fratello e il medico ispettore. Il Dazzini era curvo presso la porta. « Mi sono sparato... è finita » ha mormorato al fratello. Lo hanno portato subito in auto all'ospedale di Voghera e quando la moglie è giunta al suo capezzale respirava ancora. Ha avuto la forza di abbozzare un mesto sorriso, poi è spirato. Carlo Cavicchioli Il dott. Roberto Dazzini, l'industriale suicida (Tel.)

Persone citate: Alfio Grassi, Giuseppina Ponti, La Certosa, Marconi, Maria Luisa Valcurone, Roberto Dazzini