Padre Corsi si difende in Tribunale « Credevo fosse pasta, non tabacco » di Gigi Ghirotti

Padre Corsi si difende in Tribunale « Credevo fosse pasta, non tabacco » Il processo per le cesse di sigarette nel convento dì Albano Padre Corsi si difende in Tribunale « Credevo fosse pasta, non tabacco » Il cappuccino, 40 anni, è accusato di contrabbando, concorso in omicidio colposo e falso - "Ho aperto le porte del convento al camion perché l'ospitalità è un dovere per noi; non conoscevo i guidatori, mai sentito parlare di sigarette" - Protesta con forza la sua innocenza: "Ho agito a fin di bene" - Ma le sue affermazioni sono poco convincenti - Risulta che il capo dei contrabbandieri era uomo di fiducia in un convento romano nel '46 e che nel '51 ricomparve in una vicenda di contrabbando legata ad un convento di Rimini - L'udienza rinviata a lunedì (Dal nostro inviato speciale) Velletri, 8 ottobre. A occhi chiusi, il capo chino, la mano destra premuta sulle palpebre, padre Antonio da Calcivola, al secolo Elio Corsi, frate cappuccino, d'anni 40, ha ascoltato in silenzio, assorto in meditazioni, la lettura del lungo capo d'accusa: contrabbando, concorso in omicidio colposo, concorso in lesioni gravissime, false attestazioni... « Ha nulla da dire a sua discolpa? », domanda il presidente. Lì per lì, padre Antonio parve non aver sentito, sicché il presidente gli ripetè la domanda. Il frate si carezzò la folta barba, ispida e ncrissima, allargò le braccia: smarrito, sopraffatto, senza parola. « E allora si rimette ai verbali dell'istruttoria? ». Padre Antonio, nuovamente, allarga le braccia. Il giudice legge i verbali. Quando arrivò, al convento di Albano, quel dannato camion, il frate si adoperò per dargli ricetto. Insistè presso il padre guardiano, ma questi nicchiava e allora padre Antonio s'attacca al telefono: chiama il vicino convento degli Oblati, e poi va addirittura di persona: Ma gli Oblati, o che fiutassero odore di Marlboro clandestine o che per davvero non avessero né il posto né la voglia per farlo, chiusero la grata del loro convento, rimandando indietro padre Antonio e i suoi amici. Così, il gruppetto si trovò, a notte alta, con quel camion ingombrante tra le braccia, e fu allora che padre Antonio ritornò, suadente e incalzante, a supplicare il padre guardiano, affinché, nel rispetto dell'antica regola cappuccina che vuole le porte aperte a chiunque, concedesse il permesso di entrare a quegli sconosciuti e al loro camion. Che cosa c'era dentro? « A me avevano detto che c'era pasta alimentare e scatolame: il nostro convento in questi anni è sempre stato un centro di raccolta dì viveri e di indumenti per la beneficenza! ». Così spiegò padre Antonio in istruttoria, e così ha confermato anche stamane. Perché mai spaghetti e scatolame destinati ai poveri dovessero essere scaricati con il favor delle tenebre e in sì grande mistero, questo è un aspetto mai chiarito della vicenda. Fatto sta che l'assenso fu dato, e il camion tra frenate e accelerate, marcia avanti e marcia indietro, cominciò faticosamente la sua manovra. E padre Antonio? A cena con i confratelli, e poi in saletta di ricreazione, intenti tutti all'innocente gioco della dama. « Non assistei alle operazioni di scarico! », ha esclamato stamane padre Antonio, con molto calore. « Ero a letto da pochi minuti quando udii un grande strepito nel cortile, e grida d'aiuto. Mi precipitai dabbasso. Vidi a terra un uomo sanguinante che mi chiese, l'assoluzione. Poi vidi un altro uomo con le gambe fuori che aveva la testa sotto un masso, molto grosso, e un giovane, lì vicino, che invocava: "Papà, papà!", e mi chiedeva di chiamare l'autoambulanza. Telefonai alle suore della clinica " Regina Angelorum ", che venissero a prendere il ferito con l'autoambulanza, e poi io stesso salii a bordo per accompagna re lo sconosciuto all'ospedale ». Il presidente gli chiede: « Questo sconosciuto, per caso, lo aveva visto altre volte? Aveva avuto rapporti con lui? ». « No, no », risponde l'imputato. « E allora, perche alle suore parlò di un " cariasi mo amico " in gravi condi zioni? ». « Perché è d'uso. Noi chiamiamo tutti "amici"». Presidente: « Capisco. Ma lei precisò: " Un curissi mo amico che viene da Milano " ». « Ho detto Milano, cosi, per caso ». Ora è il presidente che si carezza il mento, assorto e strabiliato : « Per caso, il Foroni veniva proprio datMilano...». '^C'è un altro episodio mi- :steriosd nella vicenda: men-jtre era in carcere, padre Antonio ricevette un « dépliant » dell'editore Mondadori, che lo invitava ad abbonarsi alla sua collana di romanzi gialli. L'opuscolo era rispedito da Chiasso, e appariva indirizzato a « Elio Corsi, fermo Dogana, Chias-so ». Come mai proprio da Chiasso? Quali fili misterio-si legavano il teologo, il pre dicatore cappuccino del convento d'Albano, l'insegnante di religione del liceo « Augusto » di Roma, con la Dogana di Chiasso? Padre Antonio non sa spiegarsi il perche di quel « depliant »finito a cavallo della tron;tiera italo-svizzera con .1 suo nome e cognome. E ricomincia il gioco dei menti accarezzati: il pre-sidente perplesso, s acca-rezza il suo; il frate la sua ispida barba piena di misteri. Nella cella di padre Antonio furono trovati asciugamani sporchi di sangue: può darsi abbiano servito al frate per le prime cure al ferito. Ma il frate nega. Gli erano serviti a tamponare una sua violenta emorragia, alcuni mesi prima. Che stramba storia : parrebbe che al convento di Albano non si conoscesse l'uso di lavare la biancheria tempo in tempo, e invece sappiamo che una lavandaia c'era, e anche graziosetta, a quel che sembra: quarantenne anche lei, e madre di quattro figli. Come sono le cose d djquesto mondo: la lavandaiacomincio a lamentarsi chepadre Antonio la molesta- va, sicché si dovette darle gli otto giorni, e padre An-tonio, sempre per il benedel prossimo, fu pronto a trovarle un altro posto. Unpo' scomodo, a dire la veri-ta: ma con i tempi che cor- rono anche le lavandaie sisono messe al passo. La la-vandaia ebbe una « Bianchina » e imparò a guidarla, e avrebbe potuto dirsi arcicontenta se quel frate avesse smesso di gironzolarle intorno. Finì che la donna dovette allarmare il padre provinciale. Non l'avesse mai fatto! Padre Antonio la rimbrottò aspramente, agitando in aria un cacciavite che adesso, purtroppo, si trova tra i corpi di reato.Ma forse sono pettegolezzi e infatti il processo ha sorvolato stamane su quest'episodio. C'è dell'altro in pentola: c'è una grossa bu-gia, per esempio, che padreAntonio disse all'ospedaleraccontando di aver raccol-to quel ferito — Ermene-gildo Foroni — sulla ViaAppia, vittima d'un inve-stimento ad opera di piratidella strada. Come spiegapadre Antonio? L'imputato e su tutte le furie: «Fu quell'uomo che io non co- noscevo a pregarmi di dire così! Era mia profonda convinzione che in quel camion ci fossero pasta e scatolame; e non indagai oltre! Se l'avessi saputo che c'erano sigarette di contrabbando, se ci fosse stato del dolo in quella bugia che dis¬ si all'ospedale, al mio ritor no i?i convento avrei scaraventato le casse giù nel la90 e invece stettero lì pei cando le braccia con vee m come dal , ito quando u predicatore antutta la notte ». C'erano le casse con il contrabbando, ma c'era anche un morto. Padre Antonio si è scordato di questo particolare. All'improvviso è scattato in piedi, spalan- nuncia tori : « guai seri Sono qui ai peccale?- aver /aito del ^ , DÌQ mi ve de e mi giudicherà! ». L'udienza ( seconda del processo per il contrabbando di Albano ) era incominciata con le dichiarazioni dell'imputato Giovanni Castaldi, il capostazione supplente di Roma-Capannelle cui tocca rispondere d'aver dato via libera allo svincolo del carro proveniente da Milano. « Io non so nulla di questa storia! » ha cominciato il Castaldi. « Appena arrivò il vagone, spedii l'avviso al destinatario, il comm. Alberto Navone, via Pirandello, non so che numero, Roma. Ma non era passato che un paio d'ore e mi si presentò un signore distinto, il quale mi fece vedere la lettera di vettura, e cioè il documento inviato gli dallo speditore. Gli feci firmare il registro e ordinai ai manovale Pappalardo di curare l'operazione». Il presidente gli domanda se non s'accorse che il sedicente Navone aveva segnato sul registro una l'irma diversa: Maliverni, o qualcosa di simile. «No, now. vidi nulla. C'era molto traffico in quel momento, nella stazione, e non avevo tempo da perdere ». Sul ferroviere pesa l'accusa di complicità con i contrabbandieri, ma egli nega ostinatamente di aver conosciuto qualsiasi imputato. In modo speciale il protagonista dell'impresa Ermenegildo Foroni. Però nel bel mezzo della sua autodifesa, per un lapsus, il capostazione scambia pericolosamente i due nomi, Foroni e Navone, sicché nell'aula rimane l'idea che le due persone siano, in real-tà, una sola e da lui ben co nosciuta. Il Foroni nel 1946 era l'uomo di fiducia d'un con i vento cappuccino di Roma che passò burrascose tra versie; nel 1961, lo si ritro va impegolato in altri traf fici in quel di Rimini, e sempre alle prese con i frati cappuccini (sono stati richiesti stamane i documenti relativi al tribunale di Rimini). Probabilmente, l'episodio di Albano s'inserisce quindi in un lungo e com- plesso rapporto di collaboaiiiiiiiiiiiii)iiiiiiiiiMiiiiii)iiii(iiiiiiiiiiiiMii(iii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiifiiiiiiiirazione conventuale che fa-,pceva capo a lui. 'cIeri affiorò la tesi della!nparziale infermità di mente1 sdi padre Antonio, attraver- lso il certificato medico re-:sdatto dal prof. Lino Busin-i sco. Un'altra tesi difensiva jiè affiorata stamane per ini- nziativa dell'avvocato Pietro,gD'Ovidio, che cura gli inte- sressi del ferroviere LiviojsTagliatatela. L'avvocato do-|Lmanda al tribunale che siano richiamati da Singen (Germania) i documenti originali che diedero il via alla strana corsa del carro merci, destinato ad Haifa e arrivato alle Capannelle. « Se quei documenti risulteranno falsi — argomenta il difensore — non si potrà sostenere che gl'imputati hanno falsificato alcunché, quando sostituirono i documenti del carro!». Una tesi interessante, cui però contrastano sia il Pubblico Ministero, Ignazio Badali, sia l'avvocato dello Stato ( parte civile), avv. Casamassima: «E' un'indagine inutile. Per nostro conto, quei documenti erano regolari, e infatti il carro passò lairontiera italiana senza alcuna difficoltà». Il tribunale si è riservato di decidere in merito all'istanza dell'avvocato D'Ovidio. L'udienza è terminata con alcune rapide testimonianze : Edmondo Pappalardo, Nando Paterna, Filippo Elio Antonio, Umberto Spaziani, tutti e quattro ferrovieri addetti allo scalo delle Capannelle, hanno descritto le operazioni di svincolo del carro incriminato come un fenomenale esempio di procedura sbrigativa e approssimativa. A memoria di ferroviere pare non esistano! trlvpsuttsgtthdsCtegglmtScshtMgav iiiiiiiii)iiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiHitiiiiiiiiiiitMiiiiia precedenti di uno svincolo così fulmineo; tutto avven ne nelle ore in cui era di servizio, a Roma-Capannelle, il Castaldi. L'indomani, sopraggiunsero i dubbi, i sospetti, le recriminazioni e i grattacapi. Dove sono fi niti i piombi con cui il va gone era suggellato? Il Ca staldi ne potè esibire uno soltanto, ma irriconoscibile L'altro, sventuratamente, fu trovato nelle tasche del Foroni, quando fu accolto all'ospedale, più morto che vivo. Così, il mosaico si ricompone, la trafila si ricostruisce: si scopre il disegno di un'intesa che maturava da tempo. Ha un bel dire padre Antonio che non conosceva nessuno di quegli strani pellegrini, e che aprì loro le porte e i cancelli del convento perché i Cappuccini non hanno l'abitudine di domandare chi sia colui che bussa. Un giornalista, Virgilio Celletti, l'indomani del fatto intervistò il frate e ne ebbe una confidenza (che regolarmente pubblicò sul suo giornale, L'Avvenire d'Italia): il frate conosceva da molti mesi il giovane guidatore del camion, Alberto Scali, e proprio per questo cercò di aiutarlo nell'impresa. Stamattina, il Celletti ha confermato puntualmente in tribunale l'intervista. Ma padre Antonio non era già più in aula: finita la sua autodifesa teologica, il fra te aveva chiesto di appartarsi e quindi, rinunciando ad essere ulteriormente presente all'udienza, s'era fatto ricondurre zitto zitto in carcere. Il processo è stato rin viato a lunedì. Gigi Ghirotti Padre Antonio Corsi durante l'interrogatorio ieri a Velletri (Telef. Ass. Press)