Parola e poesia

Parola e poesia DOTTRINA E STORIA DEL LINGUAGGIO Parola e poesia Edward Sapir, in un saggio del 1929, che aveva per oggetto la linguistica in quanto scienza, osservava che la filosofia si occupava sempre più dei problemi del linguaggio, e ciò era positivo, in quanto la staccava sempre più dalla metafisica e l'immergeva nel chiarimento critico del processo conoscitivo. Un analogo nesso tra linguistica e teoria della conoscenza auspicava nel 1945, alla vigilia della sua morte, Ernst Cassirer, notando che era il solo modo per risolvere il conflitto tra sostenitori del metodo delle scienze naturali e del metodo delle scienze dello spirito; dimenticando peraltro che all'inizio del secolo il Croce, movendo da Kant, aveva appunto identificato la forma intuitiva della conoscenza, già distinta, con l'espressione o linguaggio, unificando estetica e linguistica, ciò che al Cassirer non riuscì egualmente, in quanto conservò tra realtà e conoscenza la mediazione di un elemento sensibile, che assumendo valore simbolico vincolava alla ragione e alla cultura l'attività del linguaggio e della poesia. E' questo uno dei moltissimi spunti che si possono trarre dalla recentissima antologia curata da Tristano Bolelli (Per una sto ria della ricerca linguistica; Napoli, Morano, 1965, pp. 598), di una lettura densa, viva, spesso affascinante per ogni uomo di cultura, direi necessaria per ognuno che si occupi di poesia o d'arte. Il Bolelli con vastissima esperienza ed acuta scelta ha riunito, con la collaborazione della sua scuola, una cinquantina di testi capitali, dall'inizio della filosofia moderna e della linguistica col Vico, sino al compianto Leo Spitzer. Lo scopo scientifico dell'opera, del resto la prima e l'unica del genere, esigeva ovviamente che larga parte fosse data anche allo specialismo disciplinare alle maggiori tecniche operative della glottologia, dal metodo storico comparativo di Bopp e dal la grammatica storica di Grimm alla teoria delle onde di Schmidt, alla geografia linguistica di Gii licron, alla fonologia di Tru beskoj, alla semantica di Brcal e allo strutturalismo di Broen dal; e così si hanno esempi di insigni decifrazioni, come quelle dell'ittita di Hrozny e del mi noico lineare B di Ventris. Anche tutto questo non appa re estraneo, anzi quasi sempre inerente a chi abbia interesse per l'arte, per la letteratura, per la filologia, soprattutto per la storia in generale, perché la for mazione e la vita del linguaggio e' delle lingue porta al fondo più interno, originale e autentico della civiltà umana e del suo sviluppo. Infatti sempre più si conferma la luminosa profezia di Carlo Cattaneo (qui giustamente rivendicato, come già dal Timpanaro), che la « nuova scienza delle lingue » sarebbe stata « nuovo lume alla storia » come le scienze dei tempi, dei luoghi e dei monumenti. Il grande vantaggio storico della linguistica, rispetto ad altre forme di cultura, è stato e resta quello d'essere una scienza d'osservazione storica, essenzialmente sperimentale, e di avere per oggetto un'attività dell'uomo che, in qualunque modo venga considerata o spiegata, non è riducibile mai ad altro da essa, e impone inevitabilmente il suo carattere creativo incondizionato- E' questo uno degli insegnamenti fondamentali che si ricavano dal corso ormai bisecolare degli studi linguistici, in una linea che potrebbe bellissimo escludere Humboldt, Schlegel, Paul, Schuchardt, Vossler, Parodi, Battoli, Bertoldi, Cassirer, Sapir e Spitzer, per non parlare del Croce, e conterrebbe egual mente il riconoscimento fonda mentale che il linguaggio ( e?iérgeja, l'incontro inevitabile e irrecusabile con quella che ancora Cattaneo chiamò « innovazione della favella ». Si sa dell'applicazione rigida del darwinismo fatta da Schleicher con la sua teoria delle lingue come organismi naturali e relativa genealogia meccanicistica. Ma anch'egli dovette ammettere la peculiarità e singolarità dei linguaggi individuali. Per il Whitney la lingua ha fine pratico di comunicazione ed è fatto sociale; ma anche per lui l'individuo è agente, è esso solo l'autore dei cambiamenti, parla un linguaggio diverso da ogni altro uomo. I « neogrammatici » concepiscono la lingua come meccanismo psicofisico e teorizzano come postulati invariabili le leggi fonetiche, ma debbono anaelasodvtimlovlidletlidcscsdrevciblad(btBtmmmtBnatlecalcgrsers a un certo punto asserire che non esiste una lingua che stia al di là o al di sopra dell'uomo e conduca una vita per se, anzi la lingua ha la sua vera esistenza solo nell'individuo, responsabile di tutte le modificazioni della vita della lingua. Le leggi fonetiche ed altre «costanti» deterministiche diventano categorie logiche in Wundt; il nostro Salvioni può accettarle (sebbene le limiti nello spazio e nel tempo, diversamente dall'assolutezza delle leggi naturali), può anche ritenere l'attività spirituale nella lingua « elemento perturbatore » di tali leggi, ma infine deve riconoscere che la lingua non è soltanto materia, aggregato di cellule foniche, ma anche depositaria di una funzione ideale dell'uomo. De Saussure considera la lingua sociale nella sua essenza e indipendente dall'individuo, istituto e convenzione o contratto, ma vede nella parola individuale il germe d'ogni cambiamento. E si potrebbe continuare a lungo, per rendersi conto che anche nel momento più opaco del positivismo e naturalismo (esempio eminente quanto sciai bo il Bloomfield), o negli eclettismi psico-sociologici (Ivieillet, Bally, De Saussure, sopravvalutato a mio giudizio per la comodità metodologica degli schemi), o nel ricorso di dottrine metafisiche ed aprioristiche di tipo logico astratto (esempio il Broendal e lo strutturalismo danese), per finire allo Stalin e alla sua giusta e chiara confutazione della teoria di Marx della lingua come prodotto della base economica e con carattere di classe, non ha mai cessato di agire, e con evidente fecondità la concezione degli « uomini creatori e trasformatori del lin guaggio », per dirla con le parole di G. I. Ascoli, del quale si leggono qui pagine bellissime e profonde, e in specie dove rincalza questa convinzione mostrando la responsabilità nella formazione storica dell'italiano e del tedesco di Dante e di Lutero. « che ruppe l'unità della fede e creò l'unità della nazione ». Questa sicura esperienza sto riografica del Bolelli è perciò uno stimolo continuo ed anche un invito al ripensamento della problematica che riguarda la espressione umana. Tanto più preziosa per lo storico d'arte, che non ha alle sue spalle una tradizione di pensiero e di studi come questa della linguistica, che pure per il contenuto estetico può sostituirla. Certo, si può ben dire che la linguistica verbale ha mostrato un completo disinteresse (salvo rari accenni del Paul, del De Saussure, del Sapir alle comunicazioni gestuali s e mimiche) per ogni altra forma d'espressione, quando non l'ha filosoficamente assoggettata (esempio ultimo il Cassirer) alla lingua parlata. E non credo dubbio che lo sviluppo della linguistica sarà, appunto, nel diventare « generale » in un senso non solo teoretico, ma positivamente storico, comprendendo e problematizzando nelle loro relazioni il linguaggio verbale e quello figurativo e musicale. Ma quel che si constata con rimpianto, anche se ha una storica ragione, e se dagli « anni 30 » almeno ci si è posti su questa via, è che dopo l'isolata intuizione di Leonardo, che fa parallelo al Vico, pochissime esperienze di linguistica figurativa si potrebbero elencare, da qualche frammento romantico al Fiedler e al Dewey. Carlo L. Ragghianti

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