Un testimone racconta l'eccidio di Meina prima strage di ebrei in Italia nel 1943 di Giorgio Martinat

Un testimone racconta l'eccidio di Meina prima strage di ebrei in Italia nel 1943 LA MAGISTRATURA TEDESCA HA RINVIATO A GIUDIZIO I RESPONSABILI Un testimone racconta l'eccidio di Meina prima strage di ebrei in Italia nel 1943 Ad una settimana dall'armistizio una pattuglia di SS, forse guidata da uri delatore, si presentò nell'albergo dov'erano rifugiati 15 profughi greci Fu arrestata con loro la moglie dell'avvocato Mazzucchelli: la tradì il suo nome di famiglia - Dopo sei giorni di prigionia, i militi nazisti li prelevarono a gruppetti, li uccisero con un colpo alla nuca e li gettarono nel lago - Ultimi furono massacrati, con sadica ferocia, tre bambini (Dal nostro inviato speciale) Gallarate, 21 settembre. La < soluzione finale > comparve in Italia, per la prima volta, pochi giorni dopo l'armistizio dell'8 settembre: a Meina, sul Lago Maggiore, quindici ebrei fuggiti da Salonicco per sottrarsi al terrore dell'occupazione tedesca vennero massacrati dalle « SS >. Con loro morì una signora italiana, anch'essa ebrea, che il caso aveva portato in mezzo a loro. Di origine tedesca, si chiamava Lotte Froelich, aveva 38 anni ed era diventata italiana per avere sposato un avvocato di Gallarate, Mario Mazzucchelli, che oggi è famoso per aver pubblicato uno dei più fortunati best-sellers di questi anni: La ■ monaca di Monza. Si compiono domani esattamente 22 anni dal giorno del massacro; tre giorni fa il procuratore della Repubblica di Osnabrueck, in Westfalia, ha rinviato a giudizio nove ex « SS > del reparto che lo compì con fredda ferocia. Questo è il racconto della morte dei sedici ebrei — fra cui otto donne e tre bambini — così come lo abbiamo raccolto dalla voce dell'avv. Mazzucchelli, nella sua quieta casa di Gallarate. « Voglio farlo — ci ha detto — perché il capo d'accusa del magistrato tedesco afferma che l'eccidio avvenne il 12 settembre. Non è vero, e temo che l'errore possa giovare agli imputati. Era il 1S settembre quando, con mia moglie, andammo a Meina per trovare degli amici. Arrivammo alle 11,30 e decidemmo di pranzare all'albergo Meina. Lo stesso dove erano alloggiati i 15 ebrei di Salonicco ». Pioveva: una pioggia autunnale, fitta e insistente; lo specchio del lago era grigio e triste. <Ero nella sala di lettura — prosegue l'avvocato — quando entrò di corsa il figlio dei proprietari, gridando: " l tedeschi, i tedeschi". Mi affacciai alla vetrata: erano schierati nel giardino; le divise lucide di pioggia, la folgore stilizzata delle " SS " sulle mostrine, le maschinen-pistolen spianate. Mia moglie, spaventata, mi trascinò in una camera al primo piano. Vi restammo a lungo, forse un paio d'ore. Frattanto sentivamo, sulle scale, i passi pesanti dei soldati. Poi entrò un capitano, accompagnato da cinque o sei uomini: ne ricordo gli occhi azzurri, di smalto, gelidi*. La prima domanda dell'ufficiale alla signora Froelich è: «A che razza appartiene?». La risposta è pronunciata con un tremito nella voce: «Ariana». Ma sulla carta d'identità è annotato anche il nome della madre. Ed è un nome tipicamente ebreo: Wertheimer. Da questo momento la sorte della donna è segnata. Viene condotta con gli altri, che sono ammassati in una stanza. « Uno di loro, il signor Fernandez Diaz — racconta l'avvocato — era a passeggio quando i tedeschi avevano circondato l'albergo. Con i suoi tre figli: un ragazzo di 15 anni, un altro di 1S e una bimba di 10. Avevano visto i soldati arrivare, avrebbero potuto salvarsi. Ma non vollero lasciare sola la madre, rimasta nell'albergo, e rientrarono. Firmarono cosi la loro condanna: ed io so che per otto lunghi giorni assaporarono con gli altri la morte a goccia a goccia, nette stanze della servitù, all'ultimo piano dell'albergo dove erano stati confinati ». AU' avvocato Mazzucchelli, cattolico ed ariano, viene ri¬ lasciato un « pass » per uscire dall'albergo. Corre da un comando tedesco all' altro, scongiurando che rilascino la moglie. Gli dicono: «Non si preoccupi, non le faremo del male. Dobbiamo chiuderli in campo di concentramento. Una semplice misura di sicurezza ». Ma il 21 settembre, dopo sei giorni di prigionia, nell'albergo regna un'atmosfera d'incubo. L'avvocato Mazzucchelli è venuto a trovare la moglie, a rasserenarla. Racconta: « Entro e il barman mi fa un cenno impercettibile, come per fermarmi. Proseguo ansioso. ' Una cameriera napoletana mi fa brusca: "Sua moglie mi ha raccomandato di dirle che è meglio se non si fa più vedere ". La segretaria dell' albergo aggiunge: " Non salga, può darsi che non la facciano più uscire ". Mia moglie è silenziosa, assente. Un altro dei prigionieri, Torres, esce in una frase che mi gela: " Per noi, c'è solo un'alternativa al campo di concentramento: una fucilata di notte". Mia moglie non ha detto una parola. Ora, dopo tanti anni, so che si preparavano a morire ». Quasi contemporaneamente, a Milano un fratello dell'avvocato che perora la causa dei prigionieri davanti a un colonnello tedesco ed esprime tutti i suoi timori si sente rispondere con violenza: «Le proibisco di pensare che un ufficiale tedesco possa uccidere donne e bambini ». E' il 21 settembre 1943: nessuno in Italia conosce ancora i nomi di Auschwitz, Dachau, Maut hausen, Bergen-Belsen, Ravensbrueck. Il giorno dopo l'avvocato Mazzucchelli vede per l'ultima volta sua moglie: <Ho ancora negli occhi la sua immagine: s'era affacciata alla finestra, lassù all'ultimo piano, mentre io attraversavo il giardino. Mi gridò " Arrivederci ". Quella stessa sera, alle 23, le « SS » prelevano quattro prigionieri. Tra essi è la signora Froelich, che dice a un cameriere: «Ci portano a Gallarate, per un interrogatorio ». Ma è pallida, tremante. Nessuno la vedrà più. All'una di notte, vengono prelevati altri quattro prigionieri: i coniugi Pompas, il signor Torres, un quarto di cui l'avvocato Mazzucchelli non ricorda il nome. Le « SS » tornano alle tre: è la volta dei coniugi Fernandez Diaz e dei coniugi Mosseri. I militi sono stravolti, alterati dal vino, hanno le giubbe macchiate di sangue. I quattro morituri li seguono ammutoliti dal terrore. Per quella notte, la strage è Anita. E' stata consumata dietro la casa cantoniera che sorge a poca distanza dal cancello della villa dei conti Paraggiana. Un colpo di pistola alla nuca, 1 cadaveri sono stati gettati nel lago. Ora, all'albergo, restano solo i tre piccoli Fernandez Diaz con il nonno. Hanno visto le « SS » ubriache, il sangue sulle giubbe: pazzi di'terrore sì barricano nella camera, ammucchiano letti e armadi dietro i fragili battenti. Il sorgere del sole concede loro un rinvio: ancora dodici ore di terrore e di angoscia. Durante la giornata, le « SS » prelevano i bagagli degli uccisi, lì vendono in paese al miglior offerente. A una finestra dell'albergo, sotto i tetti, si affacciano le figure dei pie coli Fernandez Diaz: non hanno il coraggio di parlare, agitano disperatamente le bracci*, in un appello muto e straziante. I rari passanti si affrettano, chinando il capo: il terrore è sceso sul paese, qual cuno ha udito le detonazioni nella notte. E quando cala l'oscurità, l'orrore diventa senza nome. Le « SS » sono tornate all'albergo, hanno intimato a tutti gli ospiti di chiudersi nelle loro camere e non fiatare. Lassù, all'ultimo piano, si sente lo schianto di una porta che cede e voci infantili, acute che fanno gelare il sangue nelle vene. I tre bimbi si aggrappano ai mobili, tentano di resistere. Poi cala di colpo il silenzio. Qualche giorno più tardi, alcuni cadaveri verranno restituiti dal lago: tutti con un foro alla nuca. Tutti, tranne quelli dei bimbi: le «SS», imbestialite, li hanno legati tutti e tre assieme, con del fll di ferro. Mano con mano, piede con piede. Sul visi lividi ci sono ancora le ferite dei remi, con cui li hanno tenuti a forza sott'acqua dopo averli gettati nel lago. I cadaveri riaffiorano e scompaiono subito: nessuno li troverà più. Ma molti li hanno visti: il cantoniere ha aneli:: strappato qualche lembo dei vestiti, per testimonianza. Resta un solo interrogativo: perché le « SS » sono venute a colpo sicuro all'albergo Meina? Nella prima decade del giugno 1945, alla periferia di Milano, verrà trovato un corpo crivellato di pallottole. Pare si chiamasse Mowinckel, cittadino italiano di origine tedesca. Una telefonata anonima avverte il rag. Balzarotti, segretario del Cln lombardo: « E' il responsabile dell'eccidio di Meina. Abbiamo fatto giustizia ». Si scopre che era amico dei Fernandez Diaz: i suoi bambini hanno giocato nello stesso giardino con le tre piccole vittime delle «SS». Ma non si saprà nulla di più. Giorgio Martinat