Deserto a Longarone

Deserto a Longarone A DUE ANIMI DALLA CATASTROFE DEL VAJOLMT Deserto a Longarone Dove sorgeva la florida cittadina, continua a esserci una distesa di terra gialla, desolata e selvaggia - Perché non si ricostruisce? -1 fondi non mancano - Tutti gli italiani parteciparono all'opera di soccorso, il governo stanziò 31 miliardi - Ma il piano regolatore della nuova città sta percorrendo il suo lungo cammino burocratico - Le pratiche hanno bloccato il generoso slancio di solidarietà di tutto un popolo verso gli sventurati superstiti del Vajont (Dal nostro inviato speciale) Longarone, 1.7 settembre. Sono trascorsi quasi due anni dall'infausta notte del 9 ottobre 1963, quando l'ondata del Vajont cancellò in pochi istanti il paese di Longarone. Chi percorre la statale 51 fra Ponte nelle Alpi e Pieve di Cadore sente incombere il ricordo della catastrofe : guarda la valle che si allarga tra Fortogna e Castellavazzo, e il Piave che vi scorre nel mezzo (dall'alto sembra uri innocuo rigagnolo), e cerca di distinguere tra le forre e i canaloni che scoscendono dall'altro versante l'orrida strettoia del Vajont. Poi, ad una svolta, ecco la piana di Longarone: una distesa di terra gialla su cui sembra non debba mai più crescere erba, un immenso piazzale reso più selvaggio dal gruppo spettrale delle poche vecchie case arroccate attorno al municipio, sul promontorio non raggiunto dall'acqua del Vajont. La montagna conserva la sua enorme ferita: è una piaga non ancora rimarginata, una zona levigata e desertica nella verde vallata. Siamo passati molte volte, anche in questi giorni, a Longarone e abbiamo sempre visto autovetture italiane e straniere ferme ai margini della strada. I turisti sostano come davanti a un vuoto improvviso e guardano: qui c'era Longarone, una piccola città vivace e laboriosa, con scuole, uffici, alberghi, caffè, ritrovi. Ora non c'è più nien te, tutto è stato spazzato e livellato. Perché il paese non è sta to ricostruito? L'Italia ha dimenticato la catastrofe e le solenni promesse? Qualcosa, veramente, è stato fatto, e sono lavori non appariscenti ma costo si. Sono state riaperte le strade, ripristinata la fer rovia, costruita la stazioncina, rifatti i ponti sul Piave, compiuti ingenti lavori di arginatura. Le rovine che ingombravano l'area occupata dal paese e le macerie trascinate tutt'attorno per centinaia di metri, sono state sgombrate: l'immenso piazzale è stato così spianato, ma appare ancora più vuoto e desolato. Sappiamo che non mancano i fondi per ricostruire Longarone. In quel tragico mese di ottobre tutta l'Italia si commosse e partecipò generosamente all'opera di soccorso e di ricostruzione. Purtroppo gli aiuti e gli stanziamenti, sollecitamente affluiti, non giunsero con uguale rapidità ai sopravvissuti. Fecero eccezione ! 330 milioni della sottoscrizione de « La Stampa », di stribuiti pochi giorni dopo la sciagura, e i fondi raccolti da qualche altro gior naie e da enti benefici. Il governo corrispose con sollecitudine un sussidio giornaliero di 1200 lire a tutti i senzatetto e contri buti vari per l'affitto di al loggi, per il riscaldamento e il vitto. Ma il grosso de gli aiuti, come lo stanzia mento governativo di 31 mi liardi per la ricostruzione di Longarone, Erto e Casso sono ancora in gran parte nelle casse del Tesoro. Sol tanto sei o sette miliardi sono stati impiegati in opere pubbliche dal Genio civile. Non è facile spiegare per che Longarone non è an cora stata ricostruita. Il piano regolatore è stato tracciato da un architetto di grande fama, il prof. Sa mona. Forse è un piano ambizioso (lo dissero apertamente i superstiti di Lon garone quando l'architetto 10 illustrò in una riunione comunale) perché il paese ha perduto 2000 abitanti, e i sopravvissuti, meno di duemila, abitano nelle fra zioni rimaste indenni o nelle poche case del capoluogo non distrutte. Il piano pre vede scuole, centri di cui tura, parchi, impianti spor tivi, zona industriale e at trezzature adatte a una piccola popolosa città modello Era giusto, tuttavia, risarcire 'e famiglie colpite dando modo ai superstiti e agli eredi di ricostruire le loro case, ma qui cominciarono le difficoltà. Dapprima per arcertare la consistenza dei beni distrutti; poi per identificare i congiunti dei morti che, secondo la legge del Vajont, fino alla sesta generazione sono ammessi alla ricostruzione. Affluirono quasi 500 domande di ricostruzione provenienti in gran parte da lontani e lontanissimi parenti delle vittime (l'ondata, come ognuno ricorda, travolse intiere famiglie, vecchi giovani e bambini, distruggendo praticamente i nuclei familiari). Questi lontani cugini e nipoti dei morti spesso abitano in altre città o all'estero: molti di. essi pensano di cedere i loro diritti, la maggior parte non verrà certo ad abitare nella nuova Longarone. Il destino del nuovo paese è oscuro: soltanto l'apertura di stabilimenti industriali (sono previste facilitazioni) può attrarre una nuova popolazione che sarà formata in parte da abitanti della vallata e in parte da immigrati provenienti dalla pianura veneta o dai cèntri meridionali. Ma intanto, perché non si comincia a costruire? Perché il piano regolatore sta percorrendo il suo lungo cammino burocratico. Fino al febbraio scorso erano accettate . opposizioni, poi il ministero dei Lavori Pubblici ne ha cominciato l'esame per emettere le sue decisioni ; inoltre dovrà dare il suo giudizio sul piano. Il Genio civile è alle prese con le pratiche di esproprio per cui occorre pure il nullaosta ministeriale; e l'Anas ha proceduto all'esproprio dei terreni già occupati per tracciare le nuove strade. Secondo la legge, sarà corrisposto un contributo statale massimo di 8 milio¬ ni a chi ha subito la distruzione di una casa, e di 5 milioni come massimo per le successive « unità immobiliari » a chi abbia perduto più di una casa. Ma la trafila delle pratiche per il piano regolatore, gli espropri e infine per la corresponsione dei contributi blocca quella ricostruzione che era stata decisa come un gesto di solidarietà e di esemplare sollecitudine verso le disgra¬ ziate popolazioni del Vajont. Le previsioni non sono migliori per Erto e Casso, i due paesini che sorgevano sulle rive del lago del Vajont, dove è caduta l'enorme frana del monte Toc. Gli abitanti non sono d'accordo nello scegliere la loro sorte : alcuni vorrebbero tornare ai loro paesi (ora risiedono nella zona di Cimolais), ma di tanto in tanto una crepa o un rotolio di massi sul monte Toc susci¬ ta nuovi allarmi; altri vorrebbero fondare un paese nuovo nella zona di Maniago; altri ancora verrebbero nella nuova Longarone. Intanto il secondo anniversario della catastrofe si approssima, ed è doloroso constatare che la ricostruzione di Longarone e la sistemazione degli abitanti di Erto e Casso devono ancora cominciare. Vajont: siamo all'anno zero. Ettore Dog lio La piana ove sorgeva Longarone: a due anni dal disastro del Vajont è ancora una distesa desolatamente vuota