Tesori di ogni arte, secolo e civiltà nella mostra dell'antiquariato a Firenze di Marziano Bernardi

Tesori di ogni arte, secolo e civiltà nella mostra dell'antiquariato a Firenze UNO SPETTACOLO AFFASCINANTE, UNA LEZIONE DI GUSTO Tesori di ogni arte, secolo e civiltà nella mostra dell'antiquariato a Firenze Palazzo Strozzi, il più bello di Firenze, offre da oggi ai visitatori le opere inviate da centoventi collezionisti europei, americani, asiatici - Domina la pittura, con grandissimi nomi (da Cimabue al Guardi) ed una gemma: gli studi dal vero del Goya per il ritratto della famiglia di Carlo IV Nell'arredamento, una novità: cresce il favore per mobili e oggetti del '400 e del '500 - Tante cose preziose sono presentate nel modo pia vivo, come in una casa superbamente ambientata - Per le « piccole borse », c'è un'esposizione di pezzi autentici che costano alcune migliaia di lire (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 17 settembre. L'immenso palazzo, il più, bello di Firenze, creato per Filippo Strozzi da Benedetto da Majano e dotato da Simone del Pollaiolo detto il Cronaca del mirabile cortile e del famoso cornicione, l'unico che forse possa competere in Italia con quello michelangiolesco di Palazzo Farnese, s'apre domani a uno spettacolo grandioso e affascinante. Per la quarta Biennale dell'Antiquariato nelle sue sale e sul loggiato, in 114 stands, 120 antiquari italiani, francesi, inglesi, belgi, olandesi, svizzeri, statunitensi, peruviani e (se la guerra lo permetterà) indiani, espongono il flore delle loro collezioni. Nessuna occasione si pre- senterebbe quindi migliore per tenere un discorso sulla funzione dell'antiquariato che, quando è competente, onesto e responsabile, la svolge su una linea in pari tempo estetica e moralizzatrice, perché di continuo ripropone il culto e quasi la mistica del lavoro perfetto; e richiamando — non con la severa lezione del museo, ma con l'amabile visione e con il pratico uso quotidiano nella vita familiare — ad un esatto rapporto di valori i fortunati possessori di cose artisticamente squisite del passato, li aiuta a meglio giudicare, senza infatuazioni e negazioni, quelle del presente. E questo rapporto, troppo sovente trascurato da' chi si prosterna intellettualmente indifeso al feticcio della « modernità », si chiama cultura. E' l'occasione che ha colto Leonardo Borgese scrivendo l'introdiczione spiritosa, polemica e persino argutamente paradossale, all'eccellente catalogo dotato di un utile glossario dei termini tecnici dell'antiquariato, di ifiS illustrazioni in nero e di J/5 tavole a colori, dell'elenco completo degli espositori, provvisto a un prezzo irrisorio dall'editore Vallecchi per favorire la grande iniziativa fiorentina. « Moderno — egli afferma — parola priva di vero e buon senso, eppure piena tuttora di forza e di violenza rovinosa, distruttiva »; e conclùde: « Assurdo che sembri, vero moderno è, resta, l'antico ». Ma probabilmente il comune lettore preferisce conoscere i lineamenti essenziali con cui si presenta l'attuale mostra-mercato; e lo serviamo subito dicendogli ch'essa ci sembra caratterizzata da tre aspetti precipui. Primo, l'abbondanza e la qualità della pittura, la quale talvolta rasenta il prestigio delle più insigni raccolte pubbliche, ma con questa differenza: che nel museo « si guarda*, mentre qui (almeno da chi ne ha i mezzi) « si compra »; ciò che costituisce un clima psicologico di insolita suggestione. Secondo, una più forte insistema —> specie da parte degli antiquari italiani — nell'offerta della cosiddetta < epoca alta», cioè dell'arte e dell'artigianato quattro e cinquecentesco, con sconfinamenti ad epoche anche più remote e persino all'archeologia; offerta già iniziata anni addietro sia come reazione di gusto al Barocco, al Barocchetto, al Neoclassico, all'Impero, sia per il progressivo esaurimento del mercairiiitiiiiiiitiiiiiiMiiiiiiitifiiiiiiiiiiitiiitiiiifiiuiii to di questi stili, e per i prezzi di essi ormai esorbitanti. Infine la varietà e ricchezza del panorama, quasi sempre deliziosamente ambientato — sale, salotti, camere da letto, stanze da pranzo, studi, biblioteche, il tutto organicamente, impeccabilmente composto in raffinatissime messinscene — che va da meravigliosi tappeti ed arazzi al servizio di Sèvres donato da Napoleone al cardinale Fesch per il battesimo del Re di Roma (8S pezzi Spettacolosi dell'antiquario Kugel di Parigi);, dal testò originale del Trattato di Vestfalia o da due pagine manoscritte da aiuole per il terzo atto dell'Alceste o da lettere della Maintenon, di Talleyrand, di Mérimée all'Imperatrice Eugenia (Parigi, Librairie de l'Abbaye), alle argenterie tedesche di Chaffe Mayer (Milano, «Arte antica»); dai divanetti veneziani cannetés che provengono dalla reggia di Mantova (Milano, Tullio Silva) ai Ì20 pezzi di porcellana con decorazioni Tulipano della Manifattura Ginori del Settecento (Firenze, Guido Bartolozzi), ai piatti d'argento inglese di Thomas Heming (Amsterdam, Premsela e Hamburger), al favoloso cassettone intarsiato epoca di transizione Luigi XV-Luigi XVI, firmato P. Roussel, del valore d'almeno 10 milioni (Bruxelles, Le Brun). Dicevamo della pittura. S'intende che, essendo gli espositori italiani in maggioranza fiorentini, una trentina, i dipinti toscani abbondano, seguiti nel numero dai veneti, benché le nostre altre scuole regionali siano largamente rappresentate, fino alla piemontese con un paio di Mercati e commedianti del Graneri datati 1761 ed un Vittorio Amedeo Cignaroli. I nomi celebri, da Cimabue a Lorenzo di Credi e Bottlcelli, da Gianantonio e Francesco Guardi a Pietro Longhi, dal Canaletto al Beilotto, dallo Zais allo Zuccarelli, dal Greco allo Strozzi, dal Diirer (stampe originali provenienti da Torino, dal dottor Salomon e da <Arte antica»), al Magnasco, al Largillière, al Watteau, sono convalidati da esperti e storiografi d'arte di indiscussa autorità, e non è questo il luogo e il tempo per aprire sottili discussioni attributive. Basti dire che le proposte son fatte di solito con lodevole prudenza, e che se qualche giudizio critico può talora divergere, come quasi sempre avviene nei casi non storicamente documentati, l'autenticità dell'opera è garantita dalla serietà del mercante. Ma se il livello medio è più che soddisfacente, si danno poi degli esempi addirittura fulgidi: come il Goya di cui da mesi si va parlando e che, esposto da Vittorio Frusciane di Firenze, già comparso nelle esposizioni del Goya a Basilea ed a Bordeaux, replicatamente pubblicato, è forse la gemma di questa mostra, sti¬ mato ad alcune centinaia di milioni. Si tratta degli studi di figura degli Infanti Ferdinando e Francesco e del Principe di Parma per il notissimo capolavoro del Prado, La famiglia di Carlo IV, che fu erroneamente definito una satira atroce, mentre non è che l'implacabile ritratto fisico e morale di tredici personaggi svelati nella loro mediocrità con una potenza rappresentativa e stilistica insuperabile; la quale però si accentua negli studi colti direttamente dal vero ad Aranjuez, «qui restent de précieux documenta», come scrisse il Lassaigne. Basterebbe quest'opera a nobilitare la mostra. Ma all'amatore di pittura indichiamo nel mare magno della gigantesca rassegna una isoletta incantevole, lo stand dove Robert Finclc di Bruxelles, uno dei maggiori antiquari d'Europa, ha riunito 59 quadri fiamminghi squisitissimi di Albert Bouts, del « Maestro della leggenda di Santa Caterina », di Adriaen Isenbrant, di Jan Vermeyen (una Battaglia di Pavia trattata come una miniatura), di Jean Gossaert, di Cornelis van Cleve, di Lucas Gassel, di Pieter Brueghel il Giovane, di Cornelis Massys, di Jan Brueghel il Vecchio, di Paul Brìll, di David Teniers il Giovane e d'altri nordici maestri, compreso — con due vaste vedute di Venezia e di Napoli — Gaspard van Wittel, l'italianizzato VanuiteHi, padre dell'architetto autore della reggia di Caserta. E' uno stand cut fa riscontro quello di De Boer d'Amsterdam con opere fiamminghe, olandesi, tedesche, francesi, spagnuole, da Rubens a Van Dych ad Avercamp, Van Ostade, Terborch, Ruysdael, da Lingelbach a Ribera, da Van Goyen a Dughet, da Van Orley a Jan Provoost; o quello della parigina Galerie Pardo con le tele del Pater, del Boucher, del Largillière (uno dei pittori tra Sei e Settecento oggi più quotati), del Quillard, del Watteau, del Belletto. Vorremmo avere spazio per segnalare ai futuri visitatori, che saranno decine di migliaia senza dubbio, almeno qualcuno dei più affascinanti oggetti, mobili o sculture, ceramiche o tessuti, gioielli o rilegature, cineserie e testimonianze artistiche esotiche, orologi e bibelots, ori. argenti e smalti, lampade e armature, strumenti musicali, arredi sacri e profani, insomma quell'insieme meravigliosamente vario di bellezza che costituisce il magico mondo dell'antiquariato. Dobbiamo accontentarci di elogiare la partecipazione folta e ricca a Palazzo Strozzi di antiquari europei, che sono per la metà mercanti e per l'altra metà fanatici gelosi collezionisti, uomini di gusto acutissimo cui è affidata un'importantissima funzione estetica; ed in proposito deploriamo l'assenza di troppi antiquari torinesi. E l'elogio va in particolar modo a Giuseppe Bellini, che della mostra è l'animatore instancabile, e vuole che l'antiquariato non sia vendemmia soltanto di milionari e miliardari, ma anche di chi dispone di poche migliaia di lire per portarsi a casa l'oggetto « bello » se pur mo¬ desto. Come di fatti avverrà ora a Palazzo Strozzi dove, nel cortile, una sezione è riservata alle piccole borse: le quali molto spesso stanno nelle tasche proprio di coloro che meglio sanno scegliere l'arte fra la non arte. Marziano Bernardi Francesco Goya: studio per i ritratti degli Infanti di Spagna Ferdinando e Francesco e del Principe di Parma