I ventimila italiani di Rio non sono ricchi, ma vivono bene

I ventimila italiani di Rio non sono ricchi, ma vivono bene Una minoranza attiva jn^la capitale del Brasile I ventimila italiani di Rio non sono ricchi, ma vivono bene Dieci volte meno numerosi che a San Paolo, non hanno un quartiere proprio - Tuttavia hanno il quasimonopolio di due settori: la distribuzione dei giornali e la gestione dei cinema - Pochi sono diventati miliardari, e c'è un «re» solo: l'ing. Tonini, «redella pastasciutta» - Il suo mestiere era di costruire grattacieli; l'abbandono di un amico ne ha fatto il padrone d'una fortunata catena di ristoranti (Dal nostro corrispondente) Rio de Janeiro, settembre. Se a San Paolo ci sono duecentomila italiani, Rio de Janeiro ne accoglie poco più di ventimila. In una città come questa, affollata da circa quattro milioni di persone d'ogni razza e d'ogni colore, schiacciata alle spalle da una parete di maestose colline e di fronte dalla schiuma bianca dell'Oceano Atlantico, in una città imbevuta d'umori tropicali e che è il simbolo quasi esasperante dello « straordinario » a tutti i costi, i ventimila italiani che vi risiedono sembrerebbero destinati alla grottesca condizione di ospiti minoritari. E invece ci stanno benissimo, come a casa. Sparsi un po' dappertutto, senza avere un loro rio-' ne (come il Braz a San Paolo), sono diventati più « carioca » degli stessi brasiliani. Non solo: si fanno notare, son sempre presenti, attivissimi, come se invece di ventimila fossero due milioni. Gli italiani di Rio non aspirano alla ricchezza o alle fortune massime, come quelli di San Paolo. Non si possono raccogliere, a Rio, storie uguali a quel le che hanno per protago nista Francesco Matarazzo 0 Geremia Lunardelli, il « re del caffè ». E c'è da sospettare che se Matarazzo fosse rimasto a Rio inve ce di proseguire per San Paolo, oggi la sua leggen da non correrebbe il mon do. Dicono i brasiliani che hanno viaggiato che San Paolo è paragonabile a Mi lano, a Torino, a New York e a Francoforte. E Rio a un cocktail di Napoli, Ro ma, Capri, Saint-Tropez ed Amburgo (di notte). E' un paragone che cade a pennello, e che aiuta — meglio d'ogni altra spiega zione — ad introdurci nella fortunata esistenza di questi « emigrati di lusso » 1 quali — vale la pena di dirlo subito — s'acconten tano per il novanta per cento di magri stipendi, o di modesti lucri che vengon loro da piccole attività artigianali. Ma che importa? C'è il mare, c'è Copacabana a portata di mano, sei chilometri di spiaggia famosa in tutto il mondo. E per gli scapoli c'è lo spettacolo continuo, assillante quasi; delle donne più belle della terra. Mi diceva l'altro ieri un industriale di Venezia che s'è stabilito qui da tre anni (ci venne per un viaggio d'affari che doveva durare una settimana): « Avessi dei figli, consiglie rei loro senz'altro di trasferirsi a Rio de Janeiro. Cer to il momento economico e la situazione politica offro no problemi; ma io ritengo che questo paese, nonostante tutto, è ancora il posto più accogliente del mondo, dove ci si sente vivi e liberi ». Degli italiani di Rio, quelli arrivati qui alla fine del secolo scorso o nei primi dieci anni di questo, sono per l'ottanta per cento gior nalai. Qui oggi non c'è giornalaio che non dichiari d'essere « calabrisi » o « figghiu de calabrisi». E' que sta l'unica città dell'Amen ca Latina dove i titoli dei giornali vengono « strillati», come accade a Napoli e a Roma ; ed è anche l'unica città del mondo dove ogni edicola ha tre, quattro ed a volte anche dieci prò prietari. Si lavora in socie tà, un giorno ciascuno. Un altro « ramo » che ha interessato gli italiani arrivati qui intorno al 1930, è stata l'industria del noleg gio cinematografico e quel la delle sale di proiezione, I circa duecento cinema di Rio de Janeiro e dintorni sempre affollati, con lunghissime file all'ingresso (il prezzo è irrisorio, con tre cento lire s'assiste a My Fair Lady), hanno pratica mente due proprietari: napoletano Gastone Sorren tino e il triestino Livio Bru ni. Gli operatori, le mascherine, il personale di cassa, sono per il novanta per cento italiani. S'era detto che era difficile, a Rio, trovare un italiano diventato « re » di qualche cosa. Ma con un'ec¬ csnrtvecverlcpacgllbfJ\ cezione: il «re della pastasciutta», l'ingegner Giannino Tonini di Treviglio. Arrivò in Brasile, a Rio, una trentina d'anni fa, per un viaggio d'affari; ci rimase e si mise a costruire grattacieli. Se Copacabana è diventata quella che è oggi, e cioè una singolare mistura di arena e grattacieli, lo si deve anche a Tonini che ne costruì diciotto, dapprincipio per conto di terzi, successivamente in proprio. Quasi senza volere, otto anni fa, Tonini finanziò il progetto di un amico, che pensò di aprire, nel cuore di Rio, un ristorante all'insegna della pastasciutta, chiamato, appunto, « Spaghettilandia ». Il giorno dell'inaugurazione del locale l'amico sparì, portando via buona parte del danaro, ma lasciò una lettera: «Scusami, non me la sento di affrontare un'attività del genere. Il solo pensiero di po¬ ter fallire mi costringe a desistere». L'ingegner Giannino Tonini cominciò così ad occuparsi di spaghetti: ogni mattina, prima di pensare ai suoi grattacieli, dava una capatina in cucina e istruiva i cuochi sul punto esatto di cottura. Oggi Tonini ha smesso l'attività di costruttore, ed è diventato il «re della pastasciutta». A Rio ci sono sei « Spaghettilandia », altri quattro verranno costruiti a San Paolo. Sono locali lucidi di formica e di metalli cromati, aria condizionata e luce fluorescente. Al lungo banco con i seggiolini, ed ai tavoli, si servono soltanto spaghetti, rigatoni, penne al doppio burro, tagliatelle, lasagne. Prezzo unico, circa cinquecento lire, servizio compreso. Non c'è a Rio, tra i funzionari dei ministeri, tra le segretarie degli uffici del centro, tra gli studenti del liceo, chi non assaggi, almeno una volta alla settimana, uno dei piatti di Tonini. H «re della pastasciutta » ha oggi quattro automobili, due ville, un motoscafo d'alto mare col quale, ogni due o tre giorni, va a pesca in pieno oceano. Trascorre sei mesi all'anno in Brasile, e sei in Italia. Il suo hobby è la fotografia: un reporter di Life che fu ammesso un giorno nel laboratorio di Tonini, rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto tante macchine assieme, e tanti accessori in mano ad un dilettante. Di ce Tonini: «Fossi andato a San Paolo, oggi sarei un ricchissimo ma stanchissimo costruttore di grattacieli. Sono rimasto a Rio, e grazie a Dio, me la passo bene. Non posso lamentarmi». Ha cinquantanni, ca pelli sale e pepe, sopracci glia foltissime, come quelle di Armando Falconi, e sor . ride sempre. Ne ha motivo.\Alessandro Porro