La corsa è stata decisa da un errore dei favoriti

La corsa è stata decisa da un errore dei favoriti Campionati» del mando su strada ti ai professionisti La corsa è stata decisa da un errore dei favoriti Belgi, francesi e italiani hanno commesso Io sbaglio di non preoccuparsi della fuga di Simpson e di Altig - L'inglese,'comunque, ha vinto da campione - Per i nostri giovani corridori la sconfitta rappresenta un'utile lezione (Dal nostro Inviato speciale) San Sebastiano, 6 settembre. In una corsa a tappe à lecito sbagliare, in mia corsa in Zinea, no. In una corsa a tappe, è possibile prendere la misura degli avversari giorno per giorno, in una quotidiana provvista di esperienza. In una corsa in linea, tutto nasce e si conclude nel volger .di poche ore e spesso il peso del l'esperienza (che è, insieme,\maturità fisica e maturità mo- rale) è determinante. In una corsa in linea, l'errore si pa- ga, e lo si paga subito. Ieri i ciclisti italiani, belgi e fran cesi hanno perso il compiono to del mondo si pub ben dire in partenza, quando hanno permesso che andassero in fuga uomini pericolosi acme Simpson e come Altig. Simpson è considerato atleta dallo spirito balzano, dal rendimento incostante, incapace di tenere le lunghe distanze. Altig, dal canto suo, era fresco di convalescenza, s'era rotto un femore quattro mesi fa alla « Vuelta » e si pensava che il tedesco fosse stato costretto ad una preparazione sommaria. Ecco l'errore. Grave, ma, in fin dei conti, comprensibile. Anquetil. Poulidor, Anglade, Van Looy, Merckx, Janssen — vale a dire i grandi favoriti — ne sono i maggiori responsabili e gli azzurri, dal canto loro, hanno commesso la colpa di lasciarsi invischiare nel gioco subdolo dei personaggi di rilievo. Gli azzurri non hanno capito che era il momento di rompere gli indugi e si sono fatti chiudere in trappola. Ed hanno finito col perdere abbastanza male, quasi rinunciando alla lotta; la sconfitta è stata grigia, amara, deludente. Quattro italiani, nei disegni tattici di Fiorenzo Magni, avevano il compito di infilarsi . n r a e nelle prime fughe. I quattro designati per le azioni dei « commandos > erano Balmamion, Mealli, Passuello e Cribiori. Due di loro hanno obbedito alla consegna, Balmamion e Mealli sono stati pronti a reagire all'attacco iniziale, scatenato dal tedesco Kunde ed animato da ben quattro spagnoli. Doveva trattarsi di un semplice episodio senza ecces- ,\swa importanza, che, però ha - Preso tono per il sopraggiuna sere d» Altig e di Simpson, - evasi dal plotone senza che i nessuno dei favoriti si mettes- e o e l , a, o i e i l. y, o i o i o i e e fia a ni esi se alle loro ruote. La corsa iridata si è risolta in quell'attimo. E quando, sei ore più tardi, il tedesco e l'inglese, hanno pigiato sull'acceleratore, Balmamion e Mealli si sono arresi. Differenza di classe, inutile cercare la fanciullesca scappatoia di vane scuse. Degli altri, il solo Zilioli, ad un certo punto, s'è organizzato alla controffensiva ed ha avuto a fianco compagni utili nell'inseguimento, un paio di belgi — Sels e Vandekerkhove il francese Stablinski, Elliot e Manzaneque. I sei si sono portati a l'so" dai fuggitivi. Poi, di colpo, è venuta la resa. Zilioli ha scoperto di pedalare con un velocista di notevole classe — Sels — e, dopo il traguardo, ha dichiarato d'aver temuto di danneggiare, spingendo a fondo, Balmamion e Mealli che erano davanti. Il ragionamento è pur anche va lido. Però è lecito obiettare che Zilioli ha faticato per quattro giri. Tanto valeva smettere subito, tanto valeva lasciarsi acciuffare dal plotone per tentare immediatamente dopo, cercando di sfruttare più favorevoli occasioni. Passuello e Cribiori, in pratica, non sono esistiti. E Dancelli, De Rosso e Motta, il trio della Molimi che nelle corse di casa aveva preso l'abitudine di far fuoco e fiamme, ha dovuto stavolta battagliare contro atleti di nome, che sono riusciti a coinvolgerli nella comune batosta. Nei tre nutrivamo notevole fiducia ed an cor oggi siamo sicuri che si sia trattato di mancanza di esperienza. Dancelli, Motta e De Ressa sono ragazzi poco più che ventenni e il loro spirito, abitualmente combattivo s'è addormentato per la presenza dei « grandi ». Sarebbe stato indispensabile agitarsi nella controffensiva; gli azzurri, invece hanno aspettato la controffensiva dei francesi, dei belgi e degli olandesi L'hanno aspettata invano Sconfitta regolare, insomma. Però non ci par giusto gridare allo scandalo. Simpson ed Altig, i due protagonisti del « mondiali » di San Sebastiano, rappresentano una coppia di fuoriclasse e, in fin dei conti, il motivo del « mal co mune, mezzo gaudio » non dev'essere poi disprezzato oltre misura. I ragazzi italiani le hanno buscate in compagnia di personaggi che si chiamano Van Looy, Anquetil, Janssen, Poulidor. E nemmeno insistiamo sulle assenze di Gimondi e di Adorni, che pur sono state assenze pesanti. Avremmo potuto — ne siamo sicuri — far più brillante figura, sarebbe bastato un po' più di coraggio. Ma la lezione servirà. Nell'entusiasmo per il trionfo di Gimondi al <Tour>, il nostro ciclismo era entrato in una atmosfera singolarmente euforica, nella convinzione che, usciti da una lunga crisi, avessimo trovato il metodo buono non soltanto per imporcl nelle corse a tappe, ma anche per emergere nelle prove in linea. Torniamo al discorso iniziale. L'esperienza conta, e parecchio, perché è l'esperienza che evita gli errori. Nelle corse a tappe, c'è quasi sempre tempo per rimediare agli sbagli, nelle prove in linea gli sbagli si pagano. Tiriamo i conti. Nelle corse a tappe, abbiamo cinque o sei atleti capaci di recitar il ruolo dei primi attori. Nelle competizioni in linea, ancor molto ci resta da fare. Francesi e belgi, tradizionali dominatore sono sul nostro stesso piano, ciclisti di altre nazioni hanno compiuto invece enormi prò gressi ed è di loro che bisogna tener conto. Una lezione. Le fresche leve del nostro ciclismo la stanno imparando per trasformare la sconfitta d'oggi nel successo di domani. In silenzio, in umiltà. Talvolta fa bene, a vent'anni, scoprire di colpo di non essere maestri. Ridimensiona l'orgoglio — se non altro — in più giusti li miti. Gigi Boccacini