Passano per Trieste i profughi clandestini che hanno chiesto asilo politico all'Italia

Passano per Trieste i profughi clandestini che hanno chiesto asilo politico all'Italia L'estate è propizia alle fughe dai paesi totalitari Passano per Trieste i profughi clandestini che hanno chiesto asilo politico all'Italia Molti sono fuggiti da oltre cortina approfittando delle vacanze sull'Adriatico - Drammatica l'evasione di una giovane famiglia cecoslovacca, salvata dai pescatori abruzzesi mentre andava alla deriva su un battello pneumatico • Ora attendono l'inchiesta della polizia e dell'Onu nel vecchio campo presso Trieste, una fabbrica che i nazisti avevano adoperato come Lager - In dodici anni cinquantamila europei si sono rifugiati in Italia; per assisterli abbiamo speso venti miliardi (Dal nostro inviato speciale) Trieste, settembre. Cinquantamila europei hanno bussato negli ultimi dodici anni alle porte d'Italia chiedendo asilo politico. Volevano assistenza per emigrare in Svezia, nel Canada, in Australia, o addirittura trovare lavoro fra noi. Nel mese di agosto queste mipraaiont hanno raggiunto un'intensità straordinaria. Tutti desiderano la qualifica di « rifugiato politico », che è il primo passo verso , la nuova vita che vogliono^ creatisi.I Trieste*, per motivi geografici, è una specie di comando di tappa dove i « clandestini » subiscono la prima classificazione. Ecco, per esempio, la famiglia Kosek, di Praga, arrivata dopo un'avventurosa traversata dell'Adriatico. Aspetta un giudizio dal quale dipenderà il suo futuro. La procedura non sarà lunga. Frat- tanto bisogna adattarsi al soggiorno nel Centro di San Sabba, dalle parti di Servolo, alla periferia della città. Non è un luogo allegro. Si tratta di un vecchio fabbricato austriaco, con muri bigi, cortili oscuri, corridoi tetri, nonostante gli adattamenti e i restauri. Un tempo era una raffineria per il riso. Nel 1942 i nazisti v'impiantarono l'unico centro di eliminazione razzista che funzionò in territorio italiano. Molti ebrei triestini perirono nei forni di San Sabba, dopo essere stati ammucchiati in anticamere della morte. Si vedono ancora i locali delle docce sotto le quali uomini donne bambini vennero fatti passare prima del martirio. Una lapide ricorda tali atrocità e i nomi delle vittime. Uno di questi giorni arriverà da Roma la « commissione paritetica di eleggibilità*, presieduta dal ministro plenipotenziario Igino Ugo Faralli e composta da due francesi delegati dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da un ispettore italiano di pubblica sicurezza, da un avvocato, da un segretario, da un osservatore. Tenendo una delle loro sessioni negli uffici di polizia di San Sabba, i commissari stabiliranno se i Kosek debbono essere considerati rifugiati politici. Non si tratta di gente qualunque. Ivo Kosek, nato il 19 maggio 193.',, è ingegnere architetto; la moglie Helene Topinkova nacque il 5 febbraio 1935 e fu impiegata in una galleria d'arte di Praga; la figlia Eva venne al mondo il 26 ottobre 1960. C'è poi la suocera ■ dell'ingegnere, Maria Fischi nata Tonkova, vedova di un ambasciatore. Nel passaporto turistico della signora la data di nascita è il 30 giugno 1900. I quattro cecoslovacchi, insieme ad un congiunto, furono trovati in mare alle 19,30 del SO agosto dall'equipaggio del motopeschereccio « Andrea Padre ». Andavano alla deriva a venticinque miglia dalla costa picena, fra Cupra Ma vittima e San Benedetto del Tronto, imbarcati su di un canotto pneumatico munito di motore, al quale era venuta a mancare la benzina. « Non saremmo riusciti a cavarcela — racconta l'ingegner Kosek — se non ci fosse stato mio cognato George J. Vanek. Ha trentasette anni; lavora a Monaco di Baviera con una ditta americana; possiede il passaporto Usa. Un giorno si prese le ferie e si mise in viaggio dopo avere agganciato all'automobile un motoscafo di plastica e gomma gonfiabile. Arrivò a Trieste come un turista qualunque. Comperò un motore da quaranta cavalli e l'applicò all'imbarcazione; venne ad incontrarci ad Abbazìa, dove noi eravamo giunti da Praga approfittando di un passaporto turistico per la Jugoslavia Eravamo decisi ad abbandonare la Cecoslovacchia. Da Crvena Luca, una località balneare prossima a Zara io, mia moglie, la bambina, la suocera e il cognato salpammo col bat-1 tello come se andassimo a fare! una gita. Era una mattina pie-1 na dì sole. Puntammo Invece verso l'Italia. Il carburante ter I minò vicino alla costa marchigiana. I pescatori ci condussero alla capitanerìa di San Benedetto. Ora mio cognato è tornato a Monaco e' noi abbiamo chiesto asilo all'Italia ». Nel mese di agosto la stagione favorevole ha spinto jugoslavi, cecoslovacchi, ungheresi, albanesi, bulgari, romeni, polacchi, russi, spagnoli a tentare l'avventura italiana. Fra gli altri sono attesi qui a Trieste Werner e Suzan Kaczmarczyk, dì 24 e 23 anni, fuggiti dalla Polonia un mese dopo il matrimonio; Ivan Sabic, Ante Sabic, Mate Todoric, tutti ventiduenne decisi a non tornare in Jugoslavia perché, dicono, «stanchi di mangiare solo patate». La commissione cercherà ài puntualizzare la reale condi¬ zione di questi stranieri, come fece per tanti altri, e stabilirà se hanno diritto alla qualifica di rifugiati. Per il momento i profughi non possono uscire dalla vecchia € risiera* — ma tra pochi giorni un moderno villaggio a Padriciano accoglierà gli stranieri clandestini —- non hanno contatti con estranei, sono sottoposti ad una discreta sorveglianza. I commissari esamineranno i loro documenti; faranno narrare a ciascuno in separate « interviste » la propria storia; metteranno a raffronto i vari racconti. Ai Kosek saretnno chiesti ragguagli sulla vita di Praga, sulle caratteristiche dei suoi abitanti, sui parenti e gli amici che hanno lasciato, su tante altre cose. Dove lavorò il giovane architetto? Qual è l'indirizzo della galleria d'arte presso la quale fu impiegata la signora Helenet In quale clinica nacque la bimbat In quali sedi esplicò le sue funzioni il defunto ambasciatore, padre della Kosek t Dopo le « interviste », le visite sanitarie, le vaccinazioni, i Kosek, gli sposini polacchi, 1 tre giovanotti jugoslavi torneranno al loro isolamento senza conoscer la sorte che li aspetta. Sapranno tutto a suo tempo. Le indagini da esplicare sono delicate; le nostre rappresentanze diplomatiche non possono intervenire per evitare guai e rappresaglie ai congiunti degli « emigrati », rimasti nei paesi d'origine. E' soprattutto al confine di Trieste che i « migratori d'Europa » chiedono asilo. Dice l'articolo 10 della nostra Carta costituzionale: « Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche, garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge ». Nello spirito di questo precetto, il 2 aprile 1952 fu firmato a Ginevra fra il governo italiano e l'Alto Commissariato per i rifugiati un accordo con cui venne costituita «na delegazione in Italia dell'ente internazionale, che ha il compito di stimolare tutti i paesi del mondo ad assimilare gli emigrati per ragioni politiche. Da quel momento l'Italia divento una specie di trampolino di lancio per chi intendeva farsi una nuova patria. Una volta ottenuta a Trieste la qualifica di « rifugiato politico *, i clandestini, forti del nuovo stato giuridico, andranno a Latina e a Capua, per la vera selezione e l'orientamento verso il paese in cui sceglieranno di trasferirsi. Dal 1952 a tutto il 1964 sono passati per l'Italia 49.241 profughi politici e sono stati spesi per loro L. 20.300.145,101. Una bella prova di solidarietà umana aìl'attivo dell'Italia., Arnaldo Geraldini

Persone citate: Andrea Padre, Ante Sabic, Arnaldo Geraldini, George J. Vanek, Helene Topinkova, Igino Ugo Faralli, Ivan Sabic, Maria Fischi, Mate Todoric, Trieste Werner