E' morto Gino Pestelli un maestro dì giornalismo di Gino Pestelli

E' morto Gino Pestelli un maestro dì giornalismo E' morto Gino Pestelli un maestro dì giornalismo Fu redattore, redattore capo e condirettore de « La Stampa » - Lasciò il giornale agli inizi del fascismo - Nel 1929 creò e diresse per 36 anni i Servizi stampa e propaganda della Fiat - Improvviso collasso dopo una mattinata di lavoro - Cordoglio di autorità e personalità - I funerali stamane alle 9 nella chiesa di San Carlo E' morto il dott. Gino Pestelli, dal 1929 direttore dei Servizi stampa e propaganda della Fiat e membro del Comitato direttivo- Il decesso n avvenuto improvvisamente a metà della sua fervida giornata di lavoro. Aveva trascorso la mattinata nell'ufficio di corso Mar-] coni con l'operosità e la viva-' cita di idee che erano la caratteristica del suo temperamento. Era rincasato e nelle prime ore del pomeriggio stava per ritornare al lavoro, quando è stato colto da un lieve malessere. « E' cosa da nulla, non preoccuparti» ha detto alla moglie, Carola Prosperi, che ha subito chiamato il medico. Il sanitario à giunto dopo pochi minuti e ha dovuto constatare che le condizioni del dott. Pestelli erano allarmanti. Oli praticava un'iniezione cardiotonica e l'infermo si riprendeva. Cosciente e sereno, ha ancora tranquillizzato la moglie. Purtroppo, mezz'ora più tardi avveniva il collasso: un infarto cardiaco. La salma è stata composta nello studio, tra i libri. Alle pareti, le fotografie di famiglia, cari ricordi di mezzo secolo. Due ceri, due mazzi di rose rosse, null'altro: la semplicità che Gino Pestelli aveva sempre raccomandato. Lo vegliano la moglie e il figlio dott. Leo, critico cinematografico de « La Stampa >. che era a Venezia per il Festival. La notizia della scomparsa del dott. Pestelli si è diffusa rapidamente. Presto sono incominciate le visite di cordoglio. Il Prefetto di Torino dott. Caso si è recato personalmente ad esprimere le condoglianze alla famiglia. Alle 18 è giunto il presidente della Fiat prof. Valletta con l'ing. Bono, direttore generale, il dott. Agnelli e l'ing. Nasi vicepresidenti. Hanno espresso il loro dolore alla signora Pestelli e al figlio, sono rimasti a lungo dinanzi alla salma, commossi. Tutti i direttori e i colleghi della Fiat hanno portato l'ultimo saluto a un amico che avevano tanto apprezzato; tutti ricordano con quanta dedizione egli ha contribuito agli sviluppi dell'azienda. Il direttore de « La Stampa » ha portato il saluto del giornale, in cui era entrato nel 1909, prestando la sua opera per circa' vent'anni come redattore, redattore capo e condirettore. Fu al fronte nella Guerra '15-'18 meritandosi una medaglia di bronzo al Valor Militare. Le visite sono continuate sino a notte. Centinaia di telegrammi da ogni parte d'Italia e dall'este- ro. Erano di amici e di per- sonaiità del mondo industriale,; IM1111M11M M 11 11:4 MIUIM M M11111111M111 f 111 ! 1111 ! 111 i di giornalisti, di esponenti della cultura. Autorità — assenti da Torino per lavoro — hanno telegrafato il loro cordoglio. A tarda ora continuavano ad arrivare messaggi di lutto che testimoniano la simpatia e la ammirazione che Gino Pestelli si era conquistato. I funerali si svolgono stamane alle 9 nella parrocchia di San Carlo. Dopo la cerimonia, la salma sarà trasportata nel cimitero di Torino. Gino Pestelli era nato giornalista; aveva sortito da natura l'istinto del nostro mestiere: rapidità fulminea di impressioni, dono di cogliere i fatti che contano e di interpretarli in poche battute, capacità di vibrare all'unisono con la sorprendente cronaca della vita. Era una facoltà irresistibile, un modo di essere. Toscano, un po' pallido nel volto, con grandi occhi neri, che nell'emozione contenuta del lavoro cambiavano luce improvvisamente, si oscuravano, per schiarirsi poi a opera compiuta, quelli, tra noi, che lavorarono con lui in un tempo lontano, non possono dimenticare la sua figura, l'impronta, la genialità appassionata e arguta del suo carattere. Alla Stampa egli fu redattore, redattore-capo, condirettore, e la lasciò durante il fascismo, per motivi politici. Per anni aveva dato al nostro giornale un particolare aspetto, pittoresco, spiritoso, stimolante e brillante. I suoi « titoli » erano famosi, le pagine tagliate in una prospettiva concettosa e ariosa, con ampi spazi limpidi ed una varietà di invenzioni che subito conquistavano il pubblico. In queste cose era diventato un maestro; anche per questo era celebre nel giornalismo italiano: suscitava, attraeva la curiosità e l'attenzione a colpi veloci, senza dar flato al lettore. L'intelligenza subitanea, d'impeto e il talento d'artista s'intrecciavano felicemente per mettere alla ribalta, ogni mattina, eventi, personaggi, aneddoti, e la situazione, tragica o comica, del tempo. Uomo di non molte parole, traduceva la realtà e il commento alla realtà in epigrammi aguzzi, spesso esemplari, sempre imprevedibili: sulla pagina diventavano sintesi trasparenti e aggressive, sorrette da un'ala lieve di fantasia. Aveva un temperamento schietto, ricco di humor, con un che di scabro e dì appena appena ironico; poteva sembrare scettico, spregiudicato, ed era un sentimentale. O me glio, era uno che sentiva urnanissimamente la concretezza dolorosa dell'esistenza, ed anche il malizioso tessuto degli Il dottor Gino Pestelli, acomparso a Torino stati d'animo, delle passioni fluttuanti, delle strutture sociali, dei «casi» incredibili. Con questa virtù di percezione e di riflessione immediata, discerneva nella cronaca quotidiana non solo gli eventi che fanno storia, ma spunti comici, brevi commedie senza domani, o idee in cammino: giornalista autentico era sempre a flore degli avvenimenti o nel segreto fuggevole delle cose. Quando preparava il giornale si chiudeva in se stesso; passeggiava per i corridói e le stanze della redazione con le labbra serrate, l'espressione imperscrutabile. In quei mo; menti era difficile accostarlo. Un suo illustre coetaneo, collega e amico, Luigi Ambrosini soleva dire che in quei momenti bisognava lasciarlo stare, perché era proprio come un artista che rimugina qualcosa di nuovo e originale, e patisce, cercando il meglio. Trovata la soluzione, scoperta la chiave, messo a fuoco il senso del « numero » di quella notte, di colpo diventava ilare, allegro, con un che di fanciullesco nello scherzo che soltanto i suoi redattori, i più vicini a lui, conoscevano. Perché Gino Pestelli, che spesso intimidiva con Io sguar do scaltro e penetrante, era a sua volta un timido. Diciamo che aveva le « sue » timidezze. Il capo che stava al timone di un grande giornale, ed era avvezzo alle battaglie ed ai rischi, rimaneva tremendamente impacciato se doveva dire ad un collega una parola non lusinghiera, che l'articolo non andava, che non gli riusciva di pubblicarlo, che, in coscienza, era tutto da rifare. Così si faceva timido, e, per celare l'incertezza e l'imbarazzo, per quella repugnanza a dare un dispiacere, finiva col diventare buio e scontroso. Ma se il collega, magari un giovane collega, magari un principiante, gli andava incontro, gli diceva di sì, che aveva già capito, che sapeva ormai di non averla azzeccata, allora il viso di Pestelli si illuminava, affettuoso, incoraggiante, fraterno. La sua coscienza professionale si era messa a posto col senso della solidarietà umana, e una battuta lepida risolveva il contrasto minuscolo. A tutti egli offriva la sua maestria, aiuto e speranza. I novellini attendevano per i loro primi « pezzi » il titolo fatto da lui, un titolo che era una fortuna, che illuminava lo scritto di un brio raggiante; e, anche più e meglio, attendevano il suo giudizio, il consiglio, una frase gettata là, che era un'indicazione preziosa, un avvio. Pestelli sapeva riconoscere i tipi, i temperamenti, i talenti di quelli che incontrava, e non esitava a rivelarli generosamente a se stessi. Tale ci apparve, e tale ricordiamo l'illustre collega scomparso. Il quale, giunto a Torino dalla natia Firenze, ha trascorso nella nostra città una giovinezza lietamente attiva, fervidissima di energia e di estro. Laureato in Scienze economiche, ma avido di letture di ogni, genere, sensibile, di una curiosità intellettuale molteplice e illimitata, scrittore di giornale sobriamente incisivo e nitido, fece rapidissima carriera. Ben presto frejquentò la società colta torinese, giornalisti, attori, professori, artisti, poeti, subito apprezzato, ricercato per la palese originalità; e nel 1909 entrava alla « Stampa ». Era, allora, un mondo diverso da quello d'oggi, con ampi margini per le conversazioni, per l'ora trascorsa al caffè, per le dispute e polemiche garbate e lepide. Si amava il teatro e lo si fre¬ quentava disinteressatamente, la pubblicazione di un romanzo era un avvenimento, il sorgere di uno scrittore un fatto importante, di una mostra di quadri o di una commedia nuova si parlava per giorni, e settimane. V'era, in quella società di letterati e amatori della cultura, una freschezza, una letizia di promesse e di speranze che incoraggiavano a vivere. Pestelli fu amico dei giovani di allora: Pastonchi, Gotta, Gozzano, la Guglielminetti, Thovez, Berrini; e conobbe Carola Prosperi, e la sposò. Fu forse un tempo felice dì Torino, città elegante e fine; il toscano Pestelli ci si trovò benissimo, e, con l'umore pronto e la sottigliezza nativa, ne fu uno dei personaggi tipici. Tra gli altri spiccò allora, e poi sempre, tutta la vita, per il suo amore strenuo, appassionato, intransigente, della professione. Un amore del giornale che fu, possiamo ben dirlo, l'Insegna e la forza della sua ininterrotta, geniale operosità. Lasciò <La Stampa» nel 1928, ma nel J29 fu chiamato dal senatore Giovanni Agnelli che lo incaricò di creare 1 «Servizi stampa e pubblicità» della Fiat. Fu un modo di rientrare nella professione, con compiti diversi ma che esigevano altrettanta vivezza di sensibilità, di realistica dirittura e di brillante invenzione. La grande esperienza dei rapporti umani, dei fatti economici, il gusto delle trovate smaglianti, dello stile che sorprende e avvince, fecero di Pestelli 11 singolare, prezioso direttore del grande centro pubblicitario ch'egli ha retto sino all'ultimo suo giorno, fino all'altrieri. Pestelli aveva conservato vìvido ed Incalzante ' il suo spirito di uomo che, apparendo a volte un po' schivo e burbero, celava, in realtà, nel cuore generoso, una sfumatura ardita e lieta, quella irruenza e festevolezza giovanile che lo fece carissimo a tutti noi, colleghi a amici che gli abbiamo voluto bene. Francesco Beruardelli

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