Il film cecoslovacco «Ciao, biondina» ha portato un po'di buonumore al Lido

Il film cecoslovacco «Ciao, biondina» ha portato un po'di buonumore al Lido LA MOSTRA CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA Il film cecoslovacco «Ciao, biondina» ha portato un po'di buonumore al Lido II regista Milos Forman ha esplorato con garbata spregiudicatezza il mondo degli adolescenti La sua opera è in gara per il «Leone d'oro» - Presentato fuori concorso il brasiliano «La morta» Nella sezione retrospettiva il primo capitolo del film-studio di Flaherty, «Louisiana Story» (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 26 agosto. La Mostra ha fatto un altro sforzo per uscire dallo stagno delle buone intenzioni presentando, con viva ricreazione del pubblico che ha riso con abbandono, senza freni culturali, il filiti della Cecoslovacchia, invitato in concorso, Lasky jedne plavovlasky, monellescamente tradotto « Ciao, biondina ». Il suo regista, Milos Forman, è ancora abbastanza giovane (33 anni) da ricordarsi dei « paradisi infantili », dei quali si è fatto la sua riserva di caccia prima con «L'asso di picche», vincitore a Locarno l'anno scorso, e oggi con questo suo secondo film, che senz'alcun sussiego problematico, con 10 stesso spirito con cui si contempla un oggetto simpatico, esplora il mondo emozionale degli adolescenti, soffermandosi prevalentemente sul sesso più precoce e più tenero. Ciao, biondina, su soggetto e sceneggiatura dello stesso regista con la collaborazione di J. Papousek e I. Passer, è ambientato fra le duemila ragazze che la vorano in una fabbrica di scarpe in una cittadina presso Praga e vivono collegialmente in una casa-convitto dove tutti i problemi vengono messi ai voti, anche quello di rinforzare il contingente maschile, che essendo ridotto a duecento unità, è del tutto insufficiente al pascolo sentimentale di quelle brave figliuole. Si provvede mandando sul luogo, senza verun bisogno militare, una guarnigione di soldati, che essendo costituita di riservisti ossia di anziani, tinge di disinganno 11 primo, saporitissimo incontro, in una sala da ballo, fra le due forze in campo, e insieme dà al regista una prima buona occasione di umorismo. Ed ecco l'episodio dei tre riservisti che con comica circospezione abbordano, pronuba una bottiglia di vino, le tre immusonite e tuttavia non disdegnose operaine, intanto che una fede nuziale esce di tasca e prende a rotolare fra i piedi dei ballerini. L'avventura non quaglia: le confabulazioni delle ragazze da una parte, le consulte dei cavalieri impacciati dall'altra, esprimono garbatamente quella forma tutt'altro che drammatica di incomunicabilità, finché la natura riprende i suoi diritti e sciolta la compagnia man da alla bella Andula un gio vane pianista con cui l'intesa è immediata e anche troppo proficua. Il film, lasciati gli altri, tien dietro alla coppia e a una loro pudica notte d'a more. Ingenua ancorché spregiudicata, Andula non si rassegna al breve incon tro, e con valigia si presenta in casa dei genitori del ragazzo avendo una cert'aria di sedotta e abban donata che getta la famiglinola nella maggior confusione, accendendovi spassosi risentimenti d'una morale piccolo borghese, in vitta anche oltre cortina. La madre che brontola pi gliandosela col marito, questi che si difende, il ragazzo fatto prudenzialmente dormire fra i genitori, il tumulto di quel letto, e la povera ragazza che sente tutto, capisce di non essere gradita e all'alba riprende la strada per il convitto senza tuttavia farne un dramma, disposta ad accettare il tradimento fra gli incerti della vita: Forman ha tutto osservato e reso con freschezza e senso di verità, accogliendo anche spunti di farsa nella sua generosa e ottimistica concezione della giovinezza moderna. Il film ha contro sé due cose: di coprire un'area tra sentimentale e bozzettistica sovraffollata di precedenti (soprattutto nostrani, al degenerare del neorealismo), e d'insistere un po' troppo sulle sue trovate, fino a diluirle. L'arrestarsi a tempo, l'alacrità del trapasso, non sono fra le qualità di que sto regista, pur così dotato sul piano dell'osservazione e della benevola ironia. Vero è che Forman è cosi pa dgnsttqrppmsdCstsnqelsrm drone del mezzo cinematografico (il suo film è di grana finissima), che può esser scusato se indugia volentieri sugli effetti. Ma con tutti i suoi pregi, fra i quali è da mettere l'ottima riuscita dei giovani interpreti, portati a un grado di perfetta naturalezza (indimenticabile l'affresco della sala da ballo, con quel coro di ragazze un po' bovine), Ciao, biondina resta pur sempre un film minore, dal tono e dal successo piuttosto facili. Tanto è parso cristallino il lavoro cecoslovacco, quanto rozzo, involuto e inespresso il brasiliano «A falecida» («La morta»), presentato fuori concorso, diretto da Leon Hirszman, e minacciosamente saturo di sapori mortuari. Il desiderio d'una popolana ossessionata dall'idea della morte, di darsi il lusso d'un funerale di primissima classe, sarà frustrato dal vedovo, che dispone tutto il contrario e si tiene i soldi per scommettere su una partita di calcio. S'intende che c'è ben altro, soprattutto pretese in ordine a una doppia alienazione: stregoneria e sesso. E anche una certa oltracotanza buiiueliana nell'addensare il nero su argomenti già poco ameni come sbocchi di sangue e casse da morto. Ma il risultato è alquanto caotico, e pessimo per ciò che concerne gli interpreti, una manica di dilettanti subissati da una mattatrice, la protagonista Fernanda Montenegro. Non troppo consolata dal presente, la Mostra trova la sua forza nel passato. Si è detto ieri del felice avvio della retrospettiva del cinema di Weimar, la cui seconda puntata reca ancora il nome di Lubitsch (« Le figlie di Hohlhiesel » e « La gatta selvatica»). Ma oggi si è avuto qualcosa di anche più importante: il primo capitolo del film-studio « Louisiana Story », il canto del cigno di Robert Flaherty, un autentico poeta dello schermo. Si tratta infatti dell'ultimo film, o meglio del materiale dell' ultimo film del grande regista, da lui girato nel 1948, a 64 anni, tre prima della morte. Commesso e finanziato dalla Standard Oil, « Louisiana Story » era stato concepito, come già « Nanouk », con intenti pubblicitari: ma al pari di quello riuscì tutt'altra cosa: l'epopea lirica di un'idillica arcadia ritrovata in Louisiana, fra i pozzi del petrolio. La proiezione dell'intera opera prenderà sedici ore, suddivise, secondo l'ordinamento dato da Nikos Cominos, in quattro puntate quotidiane di quattro ore ciascuna. Sarà possibile confrontare l'inquadratura accolta nel film definitivo con quella rifiutata, e così rivivendo il travaglio dell'artista dal greggio al finito, compiere quell'operazione filologica che frequente in letteratura è purtroppo rara nel cinema, per dispersione di materiale. Leo Pestelli

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Locarno, Louisiana, Praga, Venezia, Weimar