Undici film concorrono al Leon d'Oro in un festival «riservato ai grandi»

Undici film concorrono al Leon d'Oro in un festival «riservato ai grandi» LA XXVI MOSTRA DEL CINEMA SI APRE STASERA Undici film concorrono al Leon d'Oro in un festival «riservato ai grandi» In contrasto con Cannes, Venezia punta sulla qualità sceltissima delle opere - Trascurati gli aspetti mondani della manifestazione, ma le dive non mancheranno - Tra le pellicole attese con maggior interesse l'italiana Vaghe stelle dell'Orsa di Visconti e la francese Tre stanze a Manhattan di Carnè - Fuori concorso ...E venne un uomo di Olmi e Giulietta degli spiriti di Fellini (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 23 agosto. Buonultinia dopo Cannes, Berlino, San Sebastiano, Mosca, Locamo e altri festival minori, ma prima per anzianità e importanza, Venezia si pone arbitra della stagione delle rassegne cinematografiche avendo dalla sua la forza dell'ultima impressione. Sballottata dai marosi dello scorso anno, mossi più da animosità che da ragione, la navicella della Mostra del Lido si trova ancora, per la terza volta, nelle mani di Luigi Chiarini, che un po' provocantemente a dir vero, ma a nostro avviso con retto giudizio l'ha tenuta e la tiene in quella rotta austera, culturale, persuasa della ragion sufficiente del cinema senza frange, che sola può aprirle un varco in un mare così navigato come quello delle esposizioni cinematografiche. La formula chiariniana ha congenita la trascuranza della « mondanità », che viceversa è il cavallo d'Orlando sul quale anche quest'anno sono montati per tempo gli oppositori, fraintendendo, come ricorderete, per «guerra allo smoking» (e correlativo incoraggiamento al maglione) quello che voleva essere un allargamento democratico del concetto di abbigliamento serale. L'anno in corso non è propizio alle spese di contorno, e le ultime dichia- rfzioni ?el direttore della Mostia, intonate alla congmntu- ra> iaaclano poone speranze ai bigotti del divertimento orga-jnizzato (di cui un bellissimo esemplare ci è parso il signor Michel Aubriant di Paris-presse), probabilmente destinati a rimanere anche quest'anno senza culto. Ma per quanti credono che la noia non esista (la noia, s'intende, non filosofica) sarà mal di poco, soprattutto se le carenze mondane — che del resto non sono mai assolute: anche gli uomini di pensiero, anche gli eroi delle « tavole rotonde » largamente promessici da Chiarini, hanno un loro satellizio femminile, spesso di prima qualità — saranno contrappesate, come si ha motivo di sperare, dall'interesse dei film. Il cartellone della ventiseiesima edizione, che s'inaugura domani sera e si concluderà il 6 settembre, coi suoi 16 film, dei quali 5 « fuori concorso », rappresentanti non più di 9 Nazioni, ribadisce il criterio rigorosamente selettivo, interamente trasportato sul valore dell'opera, che fa di Venezia l'antitesi della panoramica Cannes. E in forza di quel criterio, che per forza deve sdegnare le penombre, è un cartellone squillante di nomi illustri: Dreyer, Visconti, Fellini, Godard, Kurosawa, Bunuel, Carnè, Ray; talché se anche tutti quegli Omeri russassero e la rassegna 1965 dovesse fallire, si farebbe sempre ricordare come un cimitero di glorie. Degli undici film che tra « designati » e « invitati » concorrono al Leone d'oro è dlffi- i cile stabilire una graduatoria d'interesse. Il nostro cinema non mette che Vaghe stelle dell'Orsa di Luchino Visconti (con Claudia Cardinale, Jean Sorel, Michael Craig), ma con quel regista l'affidamento è sicuro. Due opere ha la Francia: Tre stanze a Manhattan di Carnè (interpreti la Girardot e Ronet), e II demone delle undici di Godard, un regista che lavora su commissione veneziana e sempre bene, interpretato da Anna Karina e Belmondo; e due ne ha l'Unione Sovietica: Ho vent'anni di F. Kuzev e Fedeltà, opera prima di P. Todorovski. Agli Stati Uniti, presentì con Un certo Mickey di Arthur Penn, si possono dare un film e mezzo, giacché Bei tempi, tempi meravigliosi dell'americano Lionel Rogosin, un apostolo del «cinema-verità» è britannico soltanto nominalmente. Il Giappone con Barbarossa di Kurosawa, l'India con II vile di Satyajit Ray, il Messico con Simon del desierto di Bunuel, la Cecoslovacchia con Gii amori di una bionda di Formali, sparano tutti un colpo solo; ma chi è appena infarinato di cinema arguisce da quegli autori la forza della carica. Sulla carta così illustrata dai nomi, l'assegnazione del Leone non è mai stata così aperta come quest'anno. Ma la struttura della mostra veneziana, così dottorale, non si esaurisce nel fatto competitivo. Non hanno nulla di riempitivo, ma palesano la collocazione diplomatica, 1 cin¬ que « fuori concorso »: dall'ani-bitissimo film di Fellini (seeramente verrà), Giulietta de gli spiriti, che tenuto alto dal suo timido ma astuto autore ha scatenato guerricciole municipali (onde una grandiosa quanto gratuita campagna pubblicitaria), a Gertrude di Dreyer; da ... E venne un uomo di Ermanno Olmi, a Film di A. Schneider, da un soggetto di Beckett, con Blister Keaton, a La vieille femme indigne del francese Alfio, che tolto di gara per evitare risentimenti spagnoli, inaugurerà la Mostra. Collaterali, ma incisive, anche le altre sezioni: la informativa, folta di opere quali il sovietico Guerra e pace di S. Bondarciuk e l'ungherese Venti ore di Z. Fabri, vincitori ex aequo al festival di Mosca, l'inglese The knock, primo premio al festival di Cannes, il coreano Samyong, il messicano Viento negro, il polacco II salto, e tante altre per varii rispetti interessanti, e la nuova sezione « Opere uniche », che ottima nel principio direttivo (presentare solitarie incursioni di scrittori e artisti nel campo del cinema) ha tuttavia il torto di risultare troppo magra (tre soli film e tutti francesi, di Malraux, Anouilh e Cocteau) perché possa reggere un discorso generale sulle regie volontarie e sulla pe culiarità della vocazione filmi-ca. La « retrospettiva » è poi quest'anno un lauto boccone. Dedicata al « Cinema tedesco di Weimar (1912-1932) », vuol semplicemente dire uno dei più cospicui capitoli della sto ria del cinema. E ancora va ricordata, nel programma della sezione culturale, la proiezione del «Film Studio Louisiana Story», che raccoglie tutto il materiale vastissimo girato da Flaherty per la realizzazione di questo film. Si aggiunge una « tavola rotonda » sulle attinenze del cinema con la letteratura e la tv, la tradizionale « Mostra del libro », e il supercilio d'un consesso giudicante, presieduto da Carlo Bo e composto da Le wis Jacobs, Nikolaj Lebedev, Max Lippmann, Edgar Morin JayLeyda e Rune Waldekranz, e si avranno, per la dispera zione dei frivoli, i lineamenti di una mostra cinematografica quanto mai severa e serrata sul concetto fondamentale. Il resto, se ci sarà, verrà in gon dola, sarà grazia. Leo Pestelli