Drammatico volo della « Gemini » ha un guasto a bordo, oggi rientra

Drammatico volo della « Gemini » ha un guasto a bordo, oggi rientra I due astronauti dovevano restare in orbita otto giorni Drammatico volo della « Gemini » ha un guasto a bordo, oggi rientra Il lancio da Cape Kennedy è avvenuto ieri alle 15 (ora italiana) senza inconvenienti - Alla seconda orbita Gordon Cooper e Charles Conrad segnalano una forte perdita di ossigeno nei generatori di energia - Il difetto si aggrava col passare del tempo - Momenti di tensione a terra durante la quarta orbita: la radio della navicella non risponde - Poi le comunicazioni riprendono - Dalla base parte un ordine ai piloti: rinunciare alì'« appuntamento spaziale » con il piccolo satellite « Monello » liberato dalla cosmonave e a tutti gli altri esperimenti - Navi ed aerei mobilitati per un'eventuale discesa anticipata della capsula - Alle 23 (ora italiana) le conseguenze del guasto appaiono meno gravi del temuto Gli astronauti sono autorizzati a proseguire il volo fino a stasera - Per risparmiare elettricità non eseguiranno alcuna manovra - Scenderanno nell'Atlantico alle 18,20 (ora italiana) (Dal nostro corrispondente) Washington, 21 agosto. La «Gemini 5», l'astronave americana lanciata oggi da Cape Kennedy con a bordo il comandante Gordon Cooper ed' il suo compagno Charles Conrad, sta volando nello spazio in condizioni drammatiche. Un guasto ai generatori d'energia impedisce qualsiasi manovra a mano e ogni esperimento scientifico: i due piloti dovranno anticipare a domani sera il ritorno sulla Terra; il tentativo di «appuntamento spaziale» con il satellite sussidiario il « Monello » è stato abbandonato. L'avaria, un guasto nel sistema di alimentazione elettrico, si è manifestata poco dopo l'inizio della seconda orbita. E' stato Cooper a comunicare a terra, in tono pacato, che la pressione dell'ossigeno tendeva a diminuire. Poco dopo, verso la fine della seconda rivolu zione del satellite attorno alla Terra, Cooper riprendeva il microfono e annunciava che gli strumenti di bordo rivelavano un calo della pressione a 130 libbre per pollice quadrato. Gli apparecchi di controllo alla base di Cape Kennedy registravano invece una pressione di 180 libbre e sembravano indicare una stabilizzazione a questo livello. Cooper riprendeva a parlare: « Ci troviamo di fronte ad una scelta: o rientrare per tempo, o ridurre il consumo di energia». A rispondere è la stazione di Houston, nel Texas. Gli scienziati si dichiarano perfettamente d'accordo con Cooper e lo invitano a chiudere, senza indugi, il maggior numero possibile di elementi dell'alimentatore. Cooper non intende però rinunciare al piano di volo stabilito; in un successivo contatto, sempre con la base di Houston, chiede se può aumentare l'erogazione di energia elettrica ad alcuni congegni, per tentare il previsto appuntamento nello spazio. La risposta è netta e decisiva: « No, stiamo decidendo un nuovo programma di volo. Non commettete imprudenze e risparmiate energia. Chiudiamo ». Le stazioni meteorologiche annunciano intanto che le condizioni del tempo sulle Hawaii sono favorevoli per un rientro: i venti sono leggeri e le onde del mare sono alte sino ad un massimo di un metro e venti centimetri. A terra si vivevano momenti drammatici. Navi ed aerei ricevevano l'ordine di dirigere verso le «zone di rientro », i settori di mare dove cioè sarebbe potuta scendere la navicella in caso di « ammaraggio » forzato. In particolare un gruppo aereo, formato da velivoli aventi a bordo paracadutisti e la completa attrezzatura necessaria a garantire alla « Gemini 5 » un lungo periodo di galleggiamento sull'acqua, e con un'autonomia di volo di oltre 22 ore, venivano distaccati nel Pacifico centrale, in una zona a Nord-Est dèlie isole Hawaii. Le comunicazioni tra i vari centri di controllo a terra e la cabina spaziale si facevano nel frattempo più rade; durante la quarta orbita si vissero a terra momenti di vera angoscia. Gli astronauti non rispondevano. In realtà, come si seppe poi, Cooper e Gordon avevano staccato il collega- mento radio per risparmiare energia. Finalmente, alle ore 23, mentre la « Gemini 5 » stava sorvolando l'Australia, i piloti riprendevano il contatto con la base : annunciavano ' che. la pressione dell'ossigeno era scesa di altre 5 libbre (a 60), ma in compenso si era mantenuta stabile a quel livello per quasi la durata di una orbita. Questo fatto era confortante; si delineava la prospettiva di poter prolungare il viaggio di alméno altre sette orbite; in questo caso la cabina spaziale avrebbe potuto essere ricuperata in una zona di mare più facilmente accessibile. All'inizio della quinta' orbita, la Nasa non aveva ancora preso una decisione definitiva circa la durata del viaggio. Poco dopo, il direttore del volo « Gemini 5 », Christopher Craft, dichiarava di essere incline a permettere a Cooper e Conrad di restare nello spazio un altro giorno, invece di ordinare loro di rientrare alla sesta orbita. Circa un'ora dopo Christopher Craft scioglieva le ultime riserve ed annunciava che il volo sarebbe proseguito per un altro giorno, « almeno fino alla diciottesima orbita ». La decisione è stata presa sia in considerazione del fatto che la pressione dell'ossigeno non aveva subito ulteriori flessioni, sia nella previsione che l'apparato riesca a lungo andare a ritrovare il suo equilibrio. Si pensa infatti che, a mano a mano che il livello dell'ossigeno liquido decrescerà, nel contenitore si produrrà una depressione che faciliterà l'espansione dell'ossigeno in gas. Nel caso in cui Cooper e Conrad iniziassero effettivamente le manovre per il rientro nel corso della diciottesima orbita e non ricevessero invece l'autorizzazione a proseguire il loro volo, la « Gemini 5 » scenderebbe domani alle 18,20 ora italiana nell'Oceano Atlantico, in una zona dil mare situata circa 400 chilometri ad est delle Bermude. La giornata era cominciata in maniera del tutto diversa. La capsula del « Gemini 5 » era stata lanciata da un razzo « Titan 2 » alle 10 ( corrispondenti alle 15, ora italiana), dalla rampa 19 di Cape Kennedy, stabilendo così un piccolo primato che in quel momento era sembrato di buon auspicio, quello della prima partenza, nella storia dei voli spaziali americani, avvenuta senza nemmeno un secondo di ritardo. Il primo stadio del razzo si era sollevato, circondato da una enorme nuvola di fumo, dapprima lentamente e maestosamente poi sempre più rapidamente. Dopo due minuti di volo il razzo bianco con la capsula scura sulla punta non era più visibile. Mezzo minuto più tardi il primo stadio del « Titan 2 », consumato il combustibile, si staccava e s'accendeva il secondo stadio. Alle 10,06 precise la capsula sottratta all'attrazione terrestre entrava in orbita. In quell'istante una voce eccitata dalla torre di controllo avvertiva Cooper e Conrad che il lancio era riuscito: «Gemini, tutto bene, tutto bene » Cooper rispondeva comunicando che il secondo stadio del Titan, dopo la separazione, era entrato anch'esso in orbita con appena qualche secondo di distacco. Per qualche minuto, a questo punto, le trasmissioni radio si udirono con difficoltà, poi sono ridiventate perfette. Cooper, che si teneva in costante contatto con la torre di controllo di Cape Kennedy dalla quale rispondeva il pilota del fortunato volo del « Gemini 4 », James McDivitt, continuava affermando « Siamo in carreggiata ». Poi (alludendo al fatto che nel 1963 era rimasto per 34 ore nello spazio dentro una « capsula » del progetto «Mercury») aggiunge¬ va : « Mi ci è voluto molto per ritornare nello spazio. Che vista meravigliosa c'è quassù! ». Alle 11,36 il « Gemini 5 » aveva completato la prima orbita e tutto sembrava funzionare perfettamente. Iniziata la seconda orbita si decideva di dare il via al primo degli esperimenti — il più importante — previ sto per gli otto giorni di volo. Dal « Gemini » veni va espulso un piccolo invo lucro, grande pressapoco quanto una valigia, chiama to « Piccolo birbante » o « Monello » carico di complicate apparecchiature radar ed elettroniche. Il « Gemi¬ ni », secondo il programma, avrebbe dovuto allontanarsi da esso di circa ottanta chilometri rallentando grazie all'uso dei razzi di bordo la sua velocità. Non solo; ma allo scopo di rendere più complicato, e quindi più scientificamente utile, la successiva manovra di riavvicinamento era previsto che Cooper si spostasse su una rotta diversa. Per rendersi conto dell'importanza che gli scienziati della Nasa attribuivano a questo esperimento bisogna tener presente il programma che gli americani stanno portando avanti nella speranza di riuscire — nel quadro dell'operazione « Apollo » — a far « atterrare » un uomo sulla Luna entro il 1970 o forse il 1969. Esso prevede che la nave spaziale « Apollo » con a bordo tre astronauti pervenga a mettersi in orbita, dopo quattro giorni di viaggio nello spazio, intorno alla Luna; a questo punto due dei tre esploratori dovrebbero salire a bordo di uh'altra nave spaziale più piccola fino allora ^ trasportata »' dalla astronave maggiore, e scendere sulla Luna. Trascorse poche decine di minuti, e dopo un'eventuale uscita dalla loro navicella per toccare il suolo lunare, raccogliere materiale e compiere osservazioni, dovrebbero ritornare in orbita intorno alla Luna, ricongiungersi con la nave-madre e ritornare sulla Terra. E' un progetto, come si vede, di una complessità tremenda, che per andare in porto presuppone che gli astronauti americani siano in grado di compiere due manovre fondamentali: la prima — che è già stata effettuata dai russi col « Voskhod » e da McDivitt e White con il « Gemini 4 » — è l'uscita d'un astronauta nello spazio. La seconda è l'avvicinamento e l'incontro nel cosmo (il cosiddetto « appuntamento », di due veicoli spaziali). Gli americani già con il volo del « Gemini 4 » avevano tentato di realizzare questa seconda impresa ma non era riuscita. Oggi avrebbero voluto ripetere l'esperimento usando una nuova formula, di una difficoltà tecnologica e scien¬ tifica incredibile, basata sull'uso contemporaneo del radar, e di una calcolatrice elettronica. Sul « Gemini » era stato installato a questo scopo un apparecchio radar le cui onde dovevano essere captate da un ricevitore sul « Monello », che aveva il compito di ritrasmetterle al « Gemini ». Su questo, una calcolatrice elettronica dall'analisi degli impulsi magnetici ricevuti avrebbe dovuto essere in grado di calcolare fino ad un'approssimazione dell'ordine di pochi centimetri il punto d'incontro dei due veicoli che viaggiavano ad una velocità di circa 28 mila chilometri all'ora. A Cape Kennedy e nel Centro spaziale di Houston gli scienziati e i tecnici erano in attesa, con il fiato sospeso, per conoscere l'esito di questa manovra. Le speranze che potesse riuscire erano buone, Poco prima era stato annunciato che il «Gemini 5» aveva raggiunto la massima altezza dalla Terra — 346 km. ■—■ mai toccata da una nave spaziale americana. Le « Fuel cells » che., solo- pochi .minuti. più tardi dovevano provocare il relativo fallimento dell'esperimento sembravano funzionare perfettamente. Non vi era nulla che lasciasse prevedere la sfortunata conclusione dell'impresa. E' stato poco prima delle undici, mentre un aeroplano della Marina militare americana sorvolava l'Atlantico a seicento chilometri a Nord-Est di Cape Kennedy alla ricerca del primo stadio del Titan < che si supponeva fosse caduto da quelle parti) che si sono avuti i primi inconve¬ nienti. E' stato cioè segnalato che si verificavano « alcune anomalie » nelle « fuel cells » del « Gemini 5 ». Da quel momento si è cominciato a temere, e presto è diventato evidente che gli ambiziosi obiettivi del volo non sarebbero potuti essere realizzati. Nicola Caracciolo / due astronauti Gordon Cooper, a sinistra, e Charles Conrad salgono sull'ascensore che li ha trasportati sulla capsula in cima al razzo «Titan» (Telef. A. P.) Un particolare della « pila a combustibile » il cui difettoso funzionamento ha costretto i tecnici americani a modificare i piani di volo della «Gemini 5» (Tel. A.P„) Il gigantesco « Titan II» che trasporta la capsula «Gemini» al momento dello stacco dalla rampa (Tel. A.P.)

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