«Posso dimostrare l'innocenza dei miei fratelli non sono loro gli autori dei due delitti di Venasca» di Giorgio Lunt

«Posso dimostrare l'innocenza dei miei fratelli non sono loro gli autori dei due delitti di Venasca» «Posso dimostrare l'innocenza dei miei fratelli non sono loro gli autori dei due delitti di Venasca» Così afferma Giovanni Michelis, un bracciante trentaseienne, che fu coinvolto nei fatti di sangue e poi prosciolto - I suoi congiunti, Giuseppe e Domenico, scontano le condanne a 30 e 22 anni per l'uccisione di un contadino e d'una montanara - L'uomo dichiara: «Ho raccolto importanti prove. Non voglio dire di più: i miei avvocati me lo hanno proibito » - La notizia di una nuova inchiesta accolta con scetticismo in paese (Dal nostro inviato speciale) Saluzzo, 19 agosto. Vittime dì un errore giudiziario i fratelli Giuseppe c Domenico Michelis, che oggi stanno scontando nel reclusorio di Ancona rispettivamente 30 e se anni, irrogati dalle Assise di Appello di Torino e confermati dalla. Cassazione per due assassini avvenuti a Venasca nel 19SS e nel 19581 Le «voci» di un'iniziativa dei patroni dei due detenuti, per riportare alla, ribalta, giudiziaria — in base a nuovi elementi che confermerebbero le proteste di innocenza dei Michelis — le fosche vicende che ebbero per teatro il laborioso centro della Val Varaita, più che sorpresa hanno provocato nella zona di Venasca un generale scetticismo. Giuseppe, Domenico e Giovanni Michelis — quest'ultimo coinvolto nei crimini, condannato dalle Assise di Cuneo a 15 anni e assolto dai giurati torinesi per insufficienza di prove — non hanno molti amici a Venasca. L'opinione pubblica si era schierata contro di essi fin dall'inizio dell'istruttoria sui due omicidi ad essi addebitati. Queste popolazioni di campagna, abituate da. secoli a campare la vita sgobbando sodo — nei campi o nelle fabbriche — non simpatizzano, per intuito, con i compaesani che dimostrano poco attaccamento al lavoro e preferiscono il tavolo dell'osteria alla zappa o al badile. Si potevano contare sulle dita di una mano gli abitanti di Venasca che stamane, apprendendo da «La Stampa» i prenmiuttciati sviluppi del «caso Michelis», sarebbero stati disposti a scommettere che Giuseppe e Domenico sono innocenti. Anche se nessuno — è doveroso precisarlo — si abbandona a giudizi precisi sulla loro colpevolezza. Le persone da noi avvicinate si limitano ad allargare le braccia, ad alzare gli occhi al cielo come per chiamarlo a testimone della loro obiettività: «Mah, tutto può darsi — sì limitano a rispondere. — Di gente condannata per sbaglio ce n'è sempre stata, poveretto chi gli capita un guaio simile. Quanto a Giuseppe e Domenico, chissà se stanno pagando o no una colpa giusta? ». Non ci restava che interpellare il terzo protagonista della clamorosa vicenda, Giovanni Michelis che ha riacquistato la libertà dopo trenta mesi di carcere preventivo. Lo abbiamo trovato in un campo alle falde della borgata Botta, dove abita con la madre sessantaquattrenne. Giovanni Michelis ha 36 anni, lavora saltuariamente come bracciante agricolo. Oggi nessuno aveva chiesto la sua opera, ne aveva approfittato per recarsi nel campo von la madre per raccogliere un po' di fieno da dare ai conigli. E' un uomo strano, Giovanni Michelis. Ci assicura di essere stato lui a battersi, dopo la sentenza della Cassazione, per scoprire la verità sui delitti addossati ai suoi fratelli, o, per essere più esatti, per dimostrare che non sono stati Giuseppe e Domenico a perpetrarli, malgrado gli indizi a loro carico. Confida di avere Giovanni Michelis ieri con la madre presso l'abitazione di Venasca (F. Moisio) svolto una paziente indagine, con l'aiuto di un poliziotto privato di Torino. E di aver raccolto testimonianze precise, prove valide per dimostrare l'innocenza di Giuseppe e Domenico. Ma appena gli chiediamo di accennare a tali prove, si richiude in se stesso come un riccio. «Non posso dire niente, gli avvocati me lo hanno proibito. E' ancora presto, bisogna vedere come si mettono le cose ». Esistono davvero, a Venasca, persone che potrebbero capovolgere il destino dei due reclusi, suscitare un nuovo «caso Corbisiero»? Giovanni Michelis ammicca con aria di mistero, fa capire che ha in serbo un colpo di scena. Ma si affretta a ribadire che, senza il permesso degli avvocati, lui non aprirà bocca. Chi sono gli avvocati che gli hanno imposto la corazza di mistero! Nemmeno lui sa spiegarcelo con precisione. Ne hanno avuti tanti, i Michelis, di avvocati, durante i tre processi, che Giovanni non ricorda bene quali siano rimasti al loro fianco e quali abbiano invece abbandonato l'incarico. Il patrono che più si e battuto — a Cuneo, a Torino, a Rotila — per smantellare le accuse e insinuare nei giudici il dubbio sulla colpevolezza dei tre fratelli di Venasca (non dimentichiamo che si trattava di un processo indiziario, come tale no?t privo di lacune e di particolari sconcertanti) è l'avv. Dino Andrcis, il tenace penalista cuneese. Gli abbiamo chiesto se era informato sugli eventuali sviluppi della situazione, ci ha risposto lealmente di non saperne nulla. «Nel mio studio" conservo un " dossier" — ci ha spiegato — che contiene qualche elemento suscettibile di rimettere in discussione il verdetto contro i Michelis, ma né Giovanni né i fratelli mi hanno incaricato di promuovere una nuova inchiesta. Ho appreso che due avvocati si sarebbero recati recentemente a Venasca per interrogare testimoni vecchi o nuovi, non so chi siano questi miei colleghi né cosa possono aver raccolto ». In sostanza, fino a quando Giovanni Michelis e i suoi consiglieri non si decideranno ad uscire dal riserbo e rivelare i «fatti nuovi» che scagionerebbero Giuseppe e Domenico dalla condanna per l'uccisione del contadino Michele Arra — trovato cadavere in un canale il 2S marzo del 1958 (era ami¬ co di Giuseppe Michelis, che secondo i giudici lo avrebbe assassinato per sottrargli 100 mila lire) — e della pecoraia Lucia Boero, strozzata nella sua baita per impedirle (secondo l'accusa) di smascherare l'autore del precedente crimine, la situazione resta immutata. Ufficialmente, non risulta che le indagini siano state riaperte. Giovanni Michelis, dal canto suo, ha tutto l'interesse a scoprire la verità, qualora questa differisse dalla sentenza della Cassazione. A parte i legami di parentela con i due condannati, la loro innocenza gli scrollerebbe di dosso i sospetti che l'assoluzione con formula dubitativa gli ha lasciato. Giorgio Lunt ■Illlllllllllllllllllllllllllltllfllllllllilflillllllllllllllllllillllllllllllltllllllllllllllillllllltlllllllllllllllflllllltllltlllllllllllllllllllltlllllllllllfllllllllllllllk I misteriosi crimini avvenuti in Val Varnita, nel Cuneese