Le società industriali e la crisi delle ideologie di Remo Cantoni

Le società industriali e la crisi delle ideologie Le società industriali e la crisi delle ideologie Le grandi ideologie politiche e sociali del mondo moderno attraversano tutte una crisi radicale. Non .dirò che noi già viviamo in un mondo post-ideologico o clic l'età delle ideologie sia orinai conclusa, ma, certamente, le ideologie tradizionali non hanno tenuto il passo con le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche del mondo in cui abitiamo. Tra l'antichità c il mondo di ieri — ha ragione il sociologo francese Raymond Aron — non vi erano differenze decisive. « Cesare per andare da Roma a Parigi impiegava prcss'a poco lo stesso tempo di Napoleone. Le invenzioni tecniche furono molte, ma non modificavano i caratteri fondamentali della società umana. Il rapporto fra gli uomini che lavoravano la terra e coloro che vivevano nelle città non ha subito mutamenti decisivi tra l'antichità e il XVII 0 XVIII secolo. Un borghese di Roma non disponeva di risorse molto inferiori a quelle di uno del secolo di Luigi XIV. Invece la distanza tra il modo di vita di quest'ultimo e quello del borghese di oggigiorno è immensa ». Le ideologie tradizionali riflettono il mondo di ieri e sono crudar icnte inadeguate alla struttura c i un mondo in radicale trasformazione. Chi si proclarr. . oggi conservatore o liberale, capitalista o socialista, democratico o comunista, usa termini che divengono sempre meno detcrminati e precisi, sempre più logori, perche tutti i concetti invecchiano rapidamente tra le nostre mani e noi viviamo in costante ritardo ideologico rispetto alla accelerazione precipitosa dei tempi. La nostra anima è istintivamente antiquata. Il tempo spontaneo della nostra vita mentale è l'adagio, il tempo in cui trascorre il divenire storico reale è il prestissimo che sconfessa ogni inerzia psichica. * * A riflessioni di questo tipo induce la lettura del saggio di Raymond Aron, apparso in questi giorni in veste italiana con il titolo La società industriale (Edizioni di Comunità, 1965). Il libro, che comprende il testo di diciotto lezioni effettivamente impartite agli studenti di sociologia della Sorbona, vuole essere una introduzione obicttiva allo studio di un problema molto attuale e avvolto per solito dalle passioni politiche più accese c contrastanti. In queste lezioni Aron si rivolge, in tono familiare c dimesso, non già agli specialisti, ma ai suoi studenti e agli uomini di cultura in genere con il proposito di analizzare pacatamente i caratteri essenziali della contemporanea società industriale e i vari fattori e modelli della stia crescita economica. Il fenomeno della società industriale, sostiene Aron, è divenuto ormai primario nei confronti dei fenomeni concomitanti c derivati della società socialistica e della società capitalistica. La società industriale sarebbe il genere, ossia il concetto più vasto c fondamentale nel quale rientrano come specie 1 concetti subalterni o minori della società socialistica c della società capitalistica. In questa impostazione vi è quanto basta per scontentare le teorizzazioni tradizionali di sinistra e di destra. La ricerca di Aron non vuole imporre soluzioni dogmatiche. Vuole piuttosto dissolvere miti e luoghi comuni connessi a ideologie antiquate o a visioni preconcette. Il fatto capitale che si ritrova tanto nelle società industriali di tipo sovietico come in quelle di tipo occidentale, è, a giudizio di Aron, il progresso della produttività o aumento del valore prodotto dalla collettività nel suo complesso e da ciascun individuo all'interno di essa. Elementi decisivi e comuni a tutte le società industriali sono l'applicazione della scienza all'industria, la divisione tecnologica del lavoro, una certa organizzazione delle masse operaie, un rigoroso calcolo economico senza il quale le perdite in ricchezze ed energie sarebbero immense, il trasferimento di mano d'opera dal settore agricolo o primario verso i settori secondario e terziario. Lsistono, certo, anche differenze specifiche tra le diverse società industriali, e Aron mette in forte evidenza la falsità delle tesi che sostengono, per ogni tipo di società industriale, una omologia nelle diverse fasi della crescita o una convergenza fatale e indipendente dal regime poli¬ tico. Ma se si guarda l'Europa dal punto di vista dell'Asia, ad esempio, essa non appare costituita da due mondi fondamentalmente eterogenei, quello sovietico e quello occidentale, bensi costituita da una comune realtà di fondo, da uno stesso tipo sociale, la società industriale progressiva. * * L'invito di Aron a studiare con occhio spassionato e senza ideologismi preventivi la realtà nuova e in movimento costituita dalla società industriale e dai suoi modelli di potenziamento, è scientificamente valido. Tutti gli studiosi di scienze sociali ricordano il monito prezioso di Max Weber — il vero maestro della sociologia contemporanea — di non introdurre nello studio dei fenomeni sociali giudizi di valore o passioni ideologiche. Sublimare le proprie passioni politiche non è facile perche tutti siamo parte in causa, radicati e coinvolti nelle situazioni da cui dobbiamo saperci distaccare per elevarci dalla propaganda alla scienza. Aron stesso è stato più volte impegnato c travolto in dure polemiche come direttore de La France libre, come redattore di Combat e come editorialista del Figaro. Egli non è soltanto uomo di ricerca e di scienza. Gycirgy Lukàcs, il famoso filosofo marxista, lo definiva, alcuni anni or sono, « un agente ideologico di De Gaullc ». Molti intellettuali di sinistra non hanno ancora perdonato ad Aron l'aspro libello del 1955 intitolato L'opium des intellectuels. Se Julicn Benda nel 1927 aveva accusato di tradimento gli intellettuali di destra schieratisi a favore dell'irrazionalismo, del nazionalismo c della violenza, Aron nel 1955 aveva rivolto la stessa accusa agli intellettuali di sinistra che giustificano ogni delitto in nome della storia e della rivoluzione, rallegrandosi dei fallimenti della democrazia. * * 1 ucididc non avrebbe certo scritto La guerra del Peloponneso, né avrebbe capito la lotta tra Sparta e Atene, se non si fosse ritenuto vittima della ingiustizia degli ateniesi. Machiavelli, a sua volta, non avrebbe scritto i Discorsi sulla prima deca di Tito Livio o II Principe se i fiorentini gli avessero dato ascolto. Anche i più grandi sociologi del nostro tempo, Durkheim e Max Weber, erano uomini politici che divennero scienziati tacitando le passioni più immediate. Aron si richiama a questi grandi precedenti per convincere se stesso che non vi può essere grande opera di storia o di scienza senza partecipazione vissuta agli eventi in cui siamo immersi come attori o osservatori. Ma storici o scienziati si diventa solo quando troviamo nuova e sorprendente quella realtà che le nostre passioni e le nostre ideologie si illudevano di aver già conosciuto e giudicato. Remo Cantoni

Persone citate: Durkheim, Luigi Xiv, Machiavelli, Max Weber, Raymond Aron, Tito Livio

Luoghi citati: Asia, Atene, Europa, Parigi, Roma