Il prete accusò il suo vescovo per vendicarsi del trasferimento

Il prete accusò il suo vescovo per vendicarsi del trasferimento I due sacerdoti dì Pavia sospesi "a divinìs» Il prete accusò il suo vescovo per vendicarsi del trasferimento E' don Carlo Gelmetti, ex cappellano del Policlinico - Egli diffuse in città una falsa storia di traffici di droga - Anche un altro religioso si rese responsabile di calunnia - Entrambi, ora, sono stati privati della Messa (Dal nostro inviato speciale) Pavia, 6 agosto. (f.) La notizia della sospensione « a divinis.» di due sacerdoti della diocesi pavese, don Luigi Rigoli e don Carlo Gelmetti, non ha sorpreso nessuno in città. Da vari anni si sapeva che essi si erano resi colpevoli di accuse gravi e infondate nei riguardi di mons. Francesco Fasani, vicario generale, e del canonico Giuseppe Conti, penitenziere della cattedrale, additati come procacciatori di stupefacenti, mentre il vescovo mons. Carlo Allorio ne sarebbe stato il consumatore. Il provvedimento di sospensione, decretato dalla Sacra congregazione del Concilio di Roma, era da tempo scontato non soltanto negli ambienti ecclesiastici cittadini, ma anche in quelli laici, presso i quali la vicenda era diventata notissima. Parte della storia risale al '58-'59. Don Gelmetti, da anni cappellano del Policlinico, viene dal vescovo destinato ad altro incarico, e gli è assegnata ia parrocchia di Marzano. Il sacerdote non gradisce il provvedimento. Di tale stato d'animo approfitta un suo amico, uno studente in medicina non giunto alla laurea, per architettare, insieme con un autista, un piano calunnioso che si concluderà in una truffa. Vuoi vendicarti del vescovo? dice in sostanza lo studente al prete. E gli spiega che il mezzo ci sarebbe: egli sa che il vescovo consuma cocaina; gliela procura 11 nipote don Conti, e la porta, con mille cautele, un autista; bisogna procurarse ne un certo quantitativo, penserà lui a farlo recapitare in Curia, dopo di che verrà avvertita l'autorità che farà una bella sorpresa, e addio vescovo. Gli mostra una dichiarazione firmata dall'autista, e un'altra sottoscritta da lui stesso: tutto sembra in perfetto ordine. Ci vogliono però due milioni, per comperare la droga. Accecato dal risentimento, don Gelmetti casca in pieno nel tranello. Si procura la somma proponendo l'affare a un grosso impresario edile al quale, per convincerlo, assicura un utile vantaggioso. Don Gelmetti consegna a Milano i due milioni all'ex studente, ne riceve un pacco di pretesa cocaina, in realtà di bicarbonato. L'ex studente e l'autista si dividono i due milioni. Qualche giorno dopo don Gelmetti e 1 due compari si ritrovano a Pavia dinanzi all'arcivescovado: essi ricevono il pacco dal prete e varcano la soglia del palazzo. Naturalmente escono da un'altra porta; e soltanto dopo avere atteso a lungo, don Gelmetti comprende. Ma glielo conferma alcuni giorni dopo lo stesso artefice della truffa: ti ho ingannato, avevo bisogno di quattrini per pagare un debito. Il prete allora si fa consegnare quelle dichiarazioni — nelle quali è falsamente at testato il traffico di stupefa centi in arcivescovado — e mentre il finanziatore dei due milioni riesce con mezzi energici a rientrare in possesso della somma, un'altra macchinazione viene ordita in danno della Curia. Questa volta don " Gelmetti, con l'ex stu dente, si presenta da don Luigi Rigoli, primo cappellano dell'arcivescovado, gli dice che una grave minaccia pesa sul vescovo, e gli mostra la pretesa documentazione. Fa capire che il suo interessamento nell'avvertire il vesco vo non dovrà restare senza frutto. Don Rigoli si fa rila sciare a sua volta analoghe dichiarazioni, e dopo molti centennamenti si decide a parlarne a mons. Brusoni, che ha una carica amministrativa in Curia; questi ne informa im mediatamente il vescovo. Contro i due preti la Curia prende alcune misure disci plinari; abbastanza lievi per don Gelmetti il quale restituisce la pretesa documentazione e si mostra pentito, più gravi per don Rigoli che non si pente e non restituisce nulla. L'uno è un arruffone, l'altro un uomo ingenuo e osti nato. Da allora egli è pratica mente allontanato dall'attività sacerdotale. Se ora don Rigoli torna ad essere un protagonista lo de ve a sua sorella. La buona donna lo vede soffrire, lo crede vittima di un'ingiustizia, £ ha un'idea. Nel giugno scorso a sei anni di distanza dai fatti, e quando tutto era sopito, spedisce una denunzia alla Procura della Repubblica, in cui rimette in circolazione dandola per autentica — la fola del traffico di stupefacen ti. L'autorità giudiziaria apre un'inchiesta, affidata per le rispettive competenze alla guardia di finanza e alla que stura. Interrogatori, perquisì zionì, il pasticcio viene di nuo vo a galla. Naturalmente, da ta l'ampiezza assunta, il Vaticano non può restarsene inerte, e prende contro i due preti pasticcioni la misura della sospensione « a divinis » tempo indeterminato. Un provvedimento che può essere an nullato soltanto dal Papa. La polizia si sta occupando di un'altra truffa, questa senza preti, ma ordita dallo stesso ex studente in danno d'un costruttore di Pavia, sempre con la faccenda del preteso traffico di stupefacenti.

Luoghi citati: Marzano, Milano, Pavia, Roma