Quando tornò a sbocciare il primo fiore

Quando tornò a sbocciare il primo fiore Quando tornò a sbocciare il primo fiore Gli scienziati calcolavano che sarebbero passali 75 anni - Un anno dopo la calaslrofe un ciliegio fiorì: fu l'inizio della ripresa - Hiroshima aveva 340 mila abitanti: oggi ne ha 517 mila, ed è uno dei maggiori centri industriali del Giappone - Gli scampati all'atomica sono 93 mila: si. sentono dei «morti in permesso», e la gente li schiva Sono stati necessari quattro anni a Hiroshima per superare lo choc. / primi mesi, circolava la voce che più niente sarebbe cresciuto nella città prima di settantacinque anni. Ma un mattino di primavera, nel 19Jf6, l'attuale sindaco, Shinzo Hamai, tino dei rarissimi abitanti ad aver conservato non soltanto la vita ma il gusto di vivere, scorse dal suo ufficio un ciliegio in fiore. Tuttavia soltanto nel 19Jf9 egli riuscì a persuadere le autorità di Tokio di fare, di Hiroshima, la città della pace e di stanziare i crediti per la sua ricostruzione. Oltre alla vitalità di quest'uomo, due altri fattori hanno contribuito al miracolo. Una nuova guerra, in primo luogo, la guerra di Corea, che ha fatto rivivere le manifatture d'armi e di jeeps. E poi, gli immigranti. Poiché la guerra aveva ucciso il Giappone tradizionale, in cui gli uomini erano fissati, una volta per tutte, al loro luogo di nascita, a decine di migliaia gli sbandati cercavano un posto per rifare la loro vita. Hiroshima, nella sua desolazione, era una terra da conquistare. In questo Far West atomico, i coloni affluirono. Portando con loro ambizione ed energia. Oggi, allungata tra amene colline e le isole verdi del mare interno, Hiroshi ma, 517.000 abitanti (qua si 180 mila più di prima della «bomba») è la « città miracolo ». La sua industria pesante ne fa uno dei primi centri industriali del Giappone. Un'acciaieria impiega 15.000 operai, cantieri navali Mitsubishi 9000, contro i tremila di prima della guerra. La maggioranza degli aghi da cucire del Giappone vengono da Hiroshima, come il sake, l'alcool nazionale. Si pensa a costruire delle città satelliti, dove si fabbricherebbero macchine e prodotti chimici. E poi, ci sono i turisti: ogni anno, due milioni di giapponesi e 70.000 stranieri. I giapponesi vengono il mattino, per un picnic, e ripartono la sera. Gli stranieri restano due o tre gior¬ ni. Gli lini e gli altri visi-' tano il musco, dove si conservano franunenti di abiti e foto di uomini carbonizzati e di bambini senza volto. Fanno suonare la campana della pace, lasciano denaro nei 562 bar, nelle 363 case da tè e nei 13.385 negozi al minuto che due gangs bene organizzate si disputano, c ripartono. Alcuni vedono i malati ancora ricoverati all'ospedale della bomba atomica- Pochi capiscono il dramma che Hiroshima conosce ancora oggi: il fossato che separa quelli di dopo e quelli di prima, quelli che credono alla vita e quelli che pensano soltanto alla morte, quelli che sono venuti da fuori e quelli che sono chiamati hibakusha. La parola hibakusha significa sia «sopravvissuto » sia « sofferente ». Lo stato civile di Hiroshima riconosce ufficialmente l'esistenza degli hibakusha, i superstiti del bombardamen¬ to atomico o quelli che so no nati nelle settimane che sono seguite: hanno distribuito loro una specie di carta d'identità-certificato medico che dà diritto a cure gratuite. Sono 93.391; 880 di costoro erano ancora nel seno della madre il 6 ago sto 19Jf5. Agliocchi degli altri ed ai loro stessi occhi, nella loro testa e nei loro corpi, gli hibakusha sono una casta. Per quanto non siano tutti poveri, i loro redditi sono in media inferiori a quelli degli altri abitanti della città. A Hiroshima, la potenza economica appartiene ai nuovi venuti. E, soprattutto, gli hibakusha sono marcati. Essi hanno l'impressione di essere degli ostaggi, dei morti in permesso. Sono convinti di essere fisicamente più deboli degli altri, dì non poter lavorare altrettanto, di affaticarsi più facilmente, di non potersi concentrare nello stesso modo. Che siano deboli, sventurati, condannati, o, sem plicemente, che credano di esserlo, non cambia niente alla loro sorte. Poiché ritrovano la loro osses>\one negli sguardi degli it'tri. Sebbene nessuna statistica abbia provato la esist .nza di un'eredità atom'ua, gli hibakusha sortì vittime di una sorta di pi ^giudizio razzista. Appena è questione di matrimonio con un hibakusha, sorge l'immagine di un figlio tarato. Una commissione medica, finanziata dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti, studia statisticamente le conseguenza dell'irradiazione. Essa ha constatato, in particolare tra il 19Jt8 e il 1952, un tasso di leucemia nettamente più elevato negli hibakusha che nei nonirradiati. Oggi, le sue conclusioni sono che non vi è una « malattia atomica ». Statisticamente- parlando. Ma, individualmente parlando, nessuno può affermare che un hibakusha non avrà qualche cosa. Vent'anni dopo, gli hibakusha non ììossoiio ancora non sentirsi differenti. Essi vivranno con questa differenza e con la loro paura, fino alla morte. (Dal <New York Times») i La nuova Hiroshima, ricostruita dalla tenacia dei giapponesi. Vent'anni fa qui c'erano solo ceneri e rovine

Persone citate: Shinzo Hamai