Dopo l'orrore di Hiroshima

Dopo l'orrore di Hiroshima Parlano i piloti americani che sganciarono l'atomica Dopo l'orrore di Hiroshima Al ritorno dalla missione, il comandante dell'« Enoia Gay » riceve sulla tuta sporca di grasso un'altissima decorazione - L'equipaggio è assalito dalle domande : « Insomma, cosa siete andati a fare?» - «Noi? Semplicemente oggi abbiamo vinto la guerra» - Ma i capi giapponesi discutono ancora se capitolare o no - Il 9 agosto (tre giorni dopo Hiroshima) cade su Nagasaki la seconda atomica: 115 mila vittime - L'imperatore Hiro Hito impone ai suoi ministri la resa: «Combattere in queste condizioni — dice — significherebbe distruggere tutto il paese » - Secondo gli Stati Uniti, uno sbarco in Giappone (indispensabile se non si fosse ricorso all'atomica) sarebbe costato 11 milioni di morti, tra cui un milione di americani Quando l'« Enoia Gay», (il «B29» che il 6 agosto 1945 ha sganciato la bomba atomica su Hiroshima) tocca terra, a Tinian, alle 14 e 58' ora locale, cioè dodici ore e tredici minuti dopo il decollo, l'apparecchio pesa venti tonnellate di meno che alla partenza. Ha percorso 4500 chilometri. Duecento ufficiali e uomini di truppa si raccolgono sotto le ali dell'aereo. Tra di essi vi sono più generali ed ammiragli di quanti la maggioranza degli aviatori abbiano mai visto riuniti insieme. Gli occhi arrossati dal volo e dall'insonnia, Paul Tibbets, il comandante di bordo, scende per primo. «Tooey» Spatz, il nuovo capo dell'aviazione strategica, si precipita, appunta sulla tuta sporca di grasso la croce del « Distinguished Service». Poi i presenti rompono le file, attorniano gli altri membri dell'equipaggio. A ciascuno sono poste domande, numerose ed appassionate. E' così che il tenente di vascello Jack Scoot, violinista di talento, ritrova Jeppson, un compagno di scuola di Carson City. « Insomma cosa siete andati à fare? » chiede Scoot. «Noi? Abbiamo semplicemente vinto la guerra, oggi ». Le notizie non circolano più facilmente, in Giappone, in questo mese di ago sto 1945. E' soltanto al l'indomani della catastrofe che lo Stato Maggiore ge nerale dell'esercito del Sol Levante si rende conto del l'importanza, del potere di distruzione della nuova arma degli Stati Uniti. Anami, il ministro della Guer ra, ammette che il Giappone è ridotto alla sconfitta. Togo, il ministrò^- degli Esteri, conferisce immedia tamente con Suzuki, il prì mo ministro. Poi con l'imperatore. Dal momento in cui Togo lascia la biblioteca di Hiro-Hito, il processo della capitolazione è in marcia. Tuttavia, un giorno intero passerà prima che sia possibile riunire ì sei membri del Consiglio superiore del la guerra. Un nuovo avve nimento verrà a dare un po tente colpo di sperone alla tesi della capitolazione. Infatti l'otto agosto,-cioè due giorni dopo Hiroshima, la Russia dichiara guerra al Giappone. Ed all'alba del 9 agosto, invade la Manciù ria, per prendere la sua parte dei frutti della vit toria. I dirigenti giapponesi si riuniscono quindi alle dieci del mattino, il 9 agosto. E, per la prima volta, conven gono che il Giappone deve capitolare. Ma una vivace discussione inizia sui termi ni della resa. I sei membri sono d'accordo per esigere che venga conservato l'imperatore sul trono. Tutta' via, tre di questi membri, Anami, il generale Umezu e l'ammiraglio Toyada, vo gliono che non ci siano occupazione straniera né prò cessi intentati in Giappone contro i criminali di guer ra. Due ore di controversia. Senza risultato. Ci si separa alle tredici per pranza re, decidendo di riprendere il dibattito nel corso di una riunione straordinaria plenaria del Consiglio dei ministri. Quando questo si riunì sce, alle quattordici e tren ta, un nuovo disastro ha colpito il Giappone... Chuck Sweeney, l'amico di Paul Tibbets, ha sganciato una seconda bomba atomica. Su Nagasaki. Una bomba al plutonio, la stessa, rigorosamente, di quella di Alamogordo. Essa fa più vittime che a Hiro shima. 115.000 civili. I dirigenti giapponesi sono sconvolti. E tuttavia, il Consiglio dei ministri non prende ancora nessuna deci' sione quel pomeriggio e lascia l'incarico al Consiglio supremo, i cui sei membri si riuniranno nella tarda serata, alla presenza di Hiro Hito. Una notte superba. Tran quilla, senza allarme. La luna brilla con un vivo splendore. Al punto che un collaboratore di Togo, aspettando la fine della riunione, può contare gli aghi di pino, per terra. Il Consiglio si riunisce nel rifugio dell'imperatore, una stanza di sei metri per dodici, in cemento, nascosta sotto una collina vicina al palazzo. E' là, dietro massicce porte blindate, che i padroni del Giappone arrivano al termine,: del viaggio. ; Per .più d[i. &ue 9re scutono delle condizióni della capitolazione. Finalmente, alle due del mattino, il primo ministro Suzuki si alza e chiede a Hiro-Hito di voler « sostituire alle decisioni di questa conferenza la sua imperiale autorità». Mossa sbalorditiva. L'imperatore non prende mai la parola nel Consiglio Supremo, se non per- ratificare delle decisioni prese senza che sia stato consultato. Ma, stavolta, è evidentemente avvertito e pronto ad agire di conseguenza. Egli si alza, si dichiara d'accordo con Suzuki, Togo e Yonai. Nota che i giudizi dei capi militari si sono spesso rivelati nefasti. « Continuare la guerra — dice — può significare soltanto la distruzione della nazione intera. Il Giappone deve quindi accettare Z'ultimatum degli Alleati. E sopportare ciò che è sicuramente molto duro ». Suzuki fa immediatamente ratificare la decisione imperiale dal Consiglio dei ministri e invia un messaggio agli Alleati, con la mediazione della Svizzera. Il Giappone accetta i termini dell'ultimatum di Potsdam, essendo « inteso » che l'imperatore conserverà il trono. La capitolazione sarà firmata a bordo della corazzata americana « Missouri » davanti a Mac Arthur e, per la Francia, Ledere. Una delle questioni che successivamente hanno preoccupato molto gli americani — ed il resto del mondo — ha avuto per oggetto non Hiroshima, ma Nagasaki. Il 9 agosto 1945 questa città, benché importante, tanto per il suo grande porto che per i suoi quattro grossi stabilimenti di aerei Mitsubishi, non costituiva un obbiettivo ideale per la bomba atomica. Infatti le sue numerose vallate e colline avrebbero certamente limitato gli effetti della deflagrazione. D'altra parte, essa aveva già subito cinque massicce incursioni di bombardieri americani. Ecco perché era stata scelta, come principale obbiettivo dopo Hiroshima, la città di Kokura, dotata di un gran de arsenale, che non aveva subito fino ad allora nes sun danno. Tra coloro che ammetto no la giustificazione milita re del primo attacco atomico ve ne sono che si chie dono quale può essere la scusa invocata per una ripetizione del massacro tre giorni più tardi... mentre i dirigenti giapponesi si preparavano a capitolare e cercavano febbrilmente il mezzo migliore per farlo! Coloro che pongono questa domanda faticheranno' molto per ottenére una' risposta'7: ne.tta, .basata sui fatti che erano conosciuti in quel momento. L'ordine iniziale dei bombardamenti atomici stipulava semplicemente che « altre bombe saranno fornite via via che saranno pronte ». Se Truman e Churchill contemplarono la possibilità di concertarsi una seconda volta, per decidere se lanciare o no una seconda bomba, non ne dettero mai la prova, né in quel momento né più tardi, 'i I Ora, i capi militari responsabili di Tinian non avevano il potere di rinviare a più tardi l'impiego della seconda bomba, anche se avessero desiderato farlo. Inoltre, se si giudica dalla loro decisione di accele- rare ancora il completamen-1 to della bomba al plutonio e di anticipare di due gior- ni la data del suo lancio su Nagasaki, sembra chiaro che non provavano affatto questo desiderio. Infatti, né i capi di Tinian, né i loro stessi superiori a Washington, sapevano cosa succedeva in Giappone. Nessuno possedeva la minima prova che il dramma di Hiroshima aveva veramente suscitato la decisione tanto attesa di capitolare. Per l'Alto Comando, per gli equipaggi incaricati di eseguire queste missioni atomiche, le due nuove armi furono soltanto un mezzo per mettere fine in fretta alla guerra. « Una bomba o migliaia di bombe, quai è Za differenza?», ha detto Dutch Van Kirk, il navigatore dell'« Enoia Gay ». Robert Lewis, il co-pilota di Tibbets a bordo della « Enoia Gay », cominciò a riflettere sulla questione il giorno stesso del bombardamento, mentre l'aereo tornava a Tinian. Egli si disse che forse il sacrificio di Hiroshima non sarebbe stato vano. Perché esso metteva in evidenza una minaccia così terribile che il mondo non avrebbe più potuto rischiare di fare la guerra. Anni più tardi, Lewis partecipò ad alcune trasmissioni televisive. I fondi che raccolse, li consacrò alle cure mediche.delle donde sfigurate dalla bomba di Hiroshima. Il maggiore Charles Sweeney, che bombardò Nagasaki, ebbe a lungo una certa difficoltà a stabilire una differenza tra il napalm che uccise 78.000 persone, in una notte a Tokio, e l'uranio, che ne uccise più o meno altrettante a Hiroshima. E, tuttavia, Sweeney dove va, successivamente, intra prendere un giro di confe renze sui bombardamenti atomici. Ed inviò tutti i benefici ad un orfanotrofio di Hiroshima. Ad un giornalista del Neio Forfc Times che gli chiede va se, vent'anni dopo, col laborerebbe di nuovo alla messa a punto della prima bomba atomica, Robert Oppenheimer, senza esitare, ha risposto, questa settimana, sì. Anche dopo quello che è successo ad Hiroshima. Anche dopo l'orrore. Ma la grande questione che assilla la coscienza dei padri della bomba, come quella degli uomini che presero la decisione di bombardare Hiroshima, resta: era necessario sganciare la bomba su una città giapponese mentre la fine della guerra era in vista, e senza avvertimento preventivo? I pareri sono discordi, oggi, come vent'anni fa. Oppenheimer : « Forse il Giappone avrebbe capitolato senza Hiroshima. Ma non,\ ne sono sicuro. E l'esistenza della bomba ha ridotto il rischio di una terza guer-i ra mondiale». Edward Teller, collega di Oppenheimer e padre della bomba all'idrogeno : « Abbiamo avuto ragione di costruire la bomba. Abbiamo avuto torto di servircene. Avremmo potuto farla espio dere a seimila metri, invece che a seicetito. Il terrificante rumore e la luce dell'esplosione avrebbero indotto il Giappone a capito lare. Altrimenti, l'avremmo utilizzata ulteriormente a bassa altitudine » II generale Leslie R. Groves, capo del progetto Ma nhattan: «iVeZ luglio 19^5, noi perdevamo duecentocinquanta uomini al giorno. Le perdite americane conse guenti ad uno sbarco nel Giappone erano valutate in una cifra oscillante tra 250 mila e un milione di vite umane. Le perdite giapponesi, almeno a dieci milioni. E' vero che non avevamo bisogno della bomba per vincere. Ma bisognava utilizzarla per salvare delle vi te umane ». Il più discreto di tutti coloro che parteciparono a questi avvenimenti è stato il colonnello Paul Tibbets. Oggi generale dell'U. S. Air Force, egli dirige una missione militare americana in India. Al momento del suo arrivo a Nuova Delhi, nello scorso mese di maggio, una violenta campagna di stampa chiese invano la partenza immediata del «più grande assassino della storia». Davanti a questi attacchi, il/generale Tibbets ha di¬ chiarato: «Mi sono abituato a questo genere di cose. Mi è successo spesso da vent'anni. Non mi vento di essere stato il pilota di Hiroshima e molti giovani soldati, qui, ignoravano, fino ad ora, il ruolo che ho svolto durante la guerra. Per me andava bene così. Preferirei dimenticare tutto, ma non bisogna desiderare l'impossibile. Dovunque vada, ciò mi seguirà sempre ». Copyright de l'«Express» • per l'Italia de «La Stampa» Hiroshima nel ventesimo anniversario dell'esplosione della prima bomba atomica. Più di 80.000 persone hanno partecipato alla cerimonia nel Parco della Pace (Tel.) Il luogo dove cadde la prima bomba atomica è ricordato agli uomini da un tronco d'albero carbonizzato, davanti ai resti di una grande fabbrica. « Albero della pace. Mai più guerre », dice il cartello (Tel.)