«Nozze di sangue» di Lorca nei Giardini di Palazzo Reale

«Nozze di sangue» di Lorca nei Giardini di Palazzo Reale L'ultimo spettacolo della stagione organizzata dall'Ente Manifestazioni Torinesi «Nozze di sangue» di Lorca nei Giardini di Palazzo Reale Il dramma interpretato dalla compagnia del Teatro Stabile di Firenze, con la danzatrice Carla Fracci In questa « tragedia », ci sono contadini, boscaioli, terre bruciate, vigneti, coltellate e vendette, istinti arcaici, tradizioni antichissime e usanze popolari, danze e canzoncine per le nozze o per la morte, frottole, proverbi, superstizioni; ma sarebbe grave errore credere che si tratti di una tragedia verlstlco-paesana alla maniera di Cavalleria rusticana o della Lupa; ossa tende piuttosto alla fiaba, alla trasfigurazione idillica e al vagheggiamento della Figlia di Jorio. Il titolo, Nozze di sangue, con la crudeltà ostentata, impressionante, da romanzo d'appendice, denuncia propositi vagamente truci e romantici. Ma la «tragedia» di Federico Garcia Lorca è frutto succulento e fragile di una civiltà letteraria estremamente raffinata, scaltramente sensibile; i personaggi dovrebbero rappresentare la ruvida naturalità di una gente rimasta ai margini della storia, e grondante di istinti elementari e di leggendarie passioni; e invece non tanto appaiono semplici, schietti, impetuosi quanto incantati, ipnotizzati. I personaggi troppo spesso (atteggiamenti, cadenze sentimentali) diventano una specie di fantasmi simbolici e puerili, evocati, sul filo dell'ineffabile « memoria poetica », dall'estasi, dal sogni dell'autore. Come parlano questi villici, questi «primitivi»? Molto bene, con eleganza e finezza, con grazia sconcertante. «1 miei morti pieni d'erta dice la vecchia madre —, senza po ter parlare, fatti polvere: due uomini che erano due gerani... ». E l'innamorata esclama: «Se io potessi ammazzarti, - ti metterei in un sudario - tutto ornato di violette... ». E già aveva cercato di esorcizzare la voce dell'uomo amato, cosi: <Non ti posso sentire... E' come se be vessi una bottiglia d'anice e mi addormentassi su un materasso di rose». C'è la descrizione di un matrimonio campestre con il rituale prezioso, le fanciulle festose, le strofette propiziatorie, e un che di attonito, un presentimento che, nel civettuolo e nell'aggraziato, ci riporta alla vecchia casa di Lazaro di Roio, « nella terra d'Abruzzi », per le nozze di Vienda; e c'è il canto alterno di Leonardo e della Sposa, amanti fatali, raggianti, e già avvolti dalla morte, che ricorda non solo l'inebriato Cantico dei Cantici, ma il duetto di desiderio e maleficio di Aligi e di Mila. Le parolette deliziose abbondano: le ninne nanne, i vezzi puerili ci vengono dal drammi sussurrati di Maeterlinck e quando i due morti del feroce duello rusticano sono portati a spalle verso la grigia terra, «le ragazze abbassano il capo e vanno uscendo ritmicamente». E così questa tragedia del campì, dell'istinto e del sangue, trova la Bua vera dimensione, il suo adempimento nel terzo atto; quando la Luna, « rotondo cigno nel fiume, - occhio delle cattedrali - alba finta fra le fo stcr o glie », penetra crudelmente, danzando, nel giuoco. La scena acquista un vivo splendore azzurro, e la Luna che ha il volto pallido di un giovane boscaiolo canta: « I raggi miei devono entrare dovunque, e il mio chiarore risuoni - sul bruno dorso dei tronchi, - perché stanotte si godano - le mie guance un dolce sangue, e i giunchi che son raccolti - agli ampi piedi dell'aria». A questo punto tutta la natura sì rivela vivente dì una seconda vita, è antropomorflzzata e complice, in un intreccio di immagini, allusioni,, connivenze, analogie, metafore, che è insieme sognante percezione del mistero e bravura letteraria. La natura e i sìmboli, la realtà e la fiaba sì allacciano in fantasie senza margini, che vorrebbero rivelare l'arcano doppio fondo dell'esistenza: specchio dell'invisibile. Il destino, l'amore, il sangue sparso, la smagliante angoscia della notte, e la Morte che si aggira come una mendicante a chiedere l'obolo fatale ad ogni creatura, in questa Immaginazione si avvera ancora una volta lo stato onirico, la fervida languidezza, sole spagnuolo e interminata nostalgìa, del poeta Garcia Lorca. La sposa fuggita il giorno delle nozze, li suo amante Leonardo sono accerchiati, nel bosco, dagli inseguitori: e si direbbe che il bosco diventi una giungla partecipe e vendicatrice, e i rami, gli sterpi, le grandi foglie si avvitino intorno ai' corpi del fuggiaschi per farli per sempre prigionieri. La Morte e la Luna moltipllcano le loro stregonerie: « La brezza, - raccogliendo- nel grembo i loro gemiti, - fugga con essi per le nere coppe, - o li sprofondi sotto il molle fango». Non è un linguaggio facile, ma è il contorno svaporato, ammiccante, di una «poeticità» lievemente ermetica. Gli amanti riescono tuttavia tra mortali terrori a ricavarsi un ultimo spazio per l'amore: e prima che lo sposo tradito li raggiunga con 1 suoi compari armati e feroci, avranno forse « già mescolato il loro sangue, e saranno come due anfore vuote, come due torrenti secchi». Siamo al culmine della « tragedia» di Lorca, o meglio al culmine del suo compiaciutissimo senso tragico, sempre così sfuggente dalla concretezza dell'azione nella belluria aggraziata e irritante della letteratura. I rivali, lo sposo e l'amante, si uccideranno con grandi colpi, ma tutt'intorno bianche collane di perle si sgranano dal cielo, l'alcova è come sospesa, nido di erbe tra terra e cielo, l'uomo che si vendica è « una stella inferocita», fra le dita il sangue scorre con un sibilo sottile, e 1 colori risuonano, i roveti sin ghiozzano, i boscaioli chiedono pietà alla gelida, vitrea Luna: <Ahil Luna che sorgi!... Empi di gelsomini il sangue!... Lascia agli amanti oscuri rami! ». E tuttavia si deve pur rico noscere che tra le belle frasi, e l'astuzia verbale, e il compiacimento preziosistico, ricer cato e cesellato, un dramma c'è, o meglio l'aspettazione drammatica, 11 senso di una oscurità che drammaticamente sale alla luce. Non è dramma immediato, naturale, concreto, di uomini, di sentimenti, di azione, di gente che nella azione si riversa intera, è dramma di parole: vogliamo dire dramma tutto affidato all'incanto, più o meno limpido, delle parole. Ci senti l'ansietà estatica e calcolatìsslma di una espressione letteraria che cerca se stessa: immagini, cadenze, ritmi. Il brivido è nell'attesa di ritmi, cadenze, immagini sempre più artificiose, sempre più sensuali ed effuse, e pur aderenti a segrete ispirazioni che diventano figure. Anche questo, come tanti altri moderni, è dramma di un letterato alla conquista dello stile: fastoso, rettorico,- e crepuscolare. L'azione è tutta trasferita sul piano della nostalgia poetica, è già una «memoria», come dicemmo, è già un ricordo. Ma le parole scintillano, tremano sulla nota, come fiori sullo stelo, e 1 dialoghi artefatti accennano tuttavia a un intimo dolore: la curiosità degli spettatori deve volgersi (o così ci sembra) non ai personaggi in se stessi e al casi loro, ma a quel modo di raffigurarli per allusione verbale e Illusione Urica, che è il cerchio affascinante, romantico, decadente della poesia di Lorca. Il regista Beppe Menegatti ha sospinto lo spettacolo, presentato dal Teatro Stabile di Firenze, sui toni alti, violen ti, ricavando quel tanto che 1 personaggi possono avere dì rilievo corposo, rettorico e teatrale. Ha anche accentuato la vena comico-popolaresca che è una componente, caratteristica e spesso felice, della drammaturgia di Lorca. Sulla scenografia di Silvano Falleni ampiamente costruita nei Giardini Reali, la serie degli epi¬ sspptvcl(bnrtdftumlsdmpurtmdgenSasAvBCgdrvfrsfAcclpdftlspb sodi e dei quadri si svolse cosi con vario colore, in qualche passaggio stringendo forse un poco sull'intensità dell'attesa tragica. La tonalità sostenuta, vibrata, ebbe particolare spicco nel fraseggio ritmato, sillabato, ribattuto sulle sillabe (anche troppo) di Paola Borboni che interpretò il personaggio della Madre con vigoria e una specie di sprezzante superbia paesana, piena di dolore. La sposa era Lydia Alfonsi, che audacemente tratteggiò l'infelice giovane con una singolarità di atteggiamenti, che sfiorarono qua e là l'isteria e il grottesco. Ma nel suo volto ci furono i segni della fatale devastazione d'amore. Accanto a loro non si può dimenticare il nome di un'eccellente attrice, che vorremmo più spesso alla ribalta, Gina Sammarco, che ha messo la finezza, la proprietà della sua arte nel personaggio della Suocera. Gagliardo e spigliato Leonardo, il giovane. Osvaldo Ruggieri e Gino Susini sottolineò lo Sposo con alcune sfumature comiche, misurate; e ancora altri nomi: Andrea Matteuzzì, Bianca Galvan, Delizia Pezzlnga, Elena Borgo, Renata Negri, e infine Carla Fracci. Tutti sanno la grazia nitida, pulita, candida di questa ormai celebre balle rina, che partecipa qualche volta a spettacoli drammatici, facendosi anche attrice: ierse ra impersonava la Luna, questa stramba Luna, colma di fascino, d'attrazione, di male Azio che Lorca ha messo al culmine della tragedia a rac coglierne il senso, il terrore e la fantasia. Tutti furono ap plauditi molto cordialmente dal bellissimo pubblico che af follava il teatro per quest'ul timo spettacolo all'aperto del le Manifestazioni torinesi. Lo spettacolo si ripete per un paio di sere. Francesco Beruardelli

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