Giulio Libonutti: leggendo e realtà

Giulio Libonutti: leggendo e realtà Dall'Argentina l'ex calciatore della Nazionale saluta gli sportivi italiani Giulio Libonutti: leggendo e realtà L'anziano giocatore del Torino e del Genoa vive a Rosario S. Fé, in Argentina, dove ha un impiego statale - Molti sostengono che è in miseria, ma lo confondono con il fratello Umberto, il quale è addetto alla manutenzione dei campi del Newell's Old Boys Giulio, a Torino, formò nel '27 il famoso trio con Baloncieri e Rossetti - La truffa combinata ai suoi danni da un sosia (Nostro servizio particolare) Rosario di Santa Fé, luglio. Alcuni mesi or sono Juìio Libonatti, il primo degli «oriundi», rimettenti piede su un campo di foot-bo.ll dopo 15 anni di assenza. I meno giovani fra gli sportivi italiani non hanno certo dimenticato le prodezze di questo grande giocatore nel Torino e nella Nazionale. Nato il 5 luglio 1901 a Rosario di Santa Fé, Libonatti ha ora 61f anni, ma i suoi ricordi delle prove in maglia azzurra sono ancora straordinariamente vivi e precisi nella sua mente. Di ogni partita sa esattamente la data, e a ragione fa notare di essere tuttora l'oriundo che ha segnato più reti — ben 15 — in N'azionale. Il suo esordio in maglia azzurra ebbe luogo il 28 ottobre 1926, a Praga, contro la Cecoslovacchia. La nostra prima linea era così schierata: Conti (Inter), Cevenini III (Inter), Libonatti (Torino), Magnozzi (Livorno) e Levratto (Genoa). Un fratello di Julio, Umberto, fu pure giocatore di foot-ball, e insieme con « Libo * difese i colori del Newell's Old Boys di Rosario, giocando come mezz'ala destra e come centravanti. Umberto non ha avuto fortuna, e come altri anziani giocatori caduti in strettezze se la cava alla meno peggio lavorando alle dipendenze del club come addetto alla pulizia, e badando che il campo sia sempre in buono stato. Da questa circostanza, e da un'altra di cui discorreremo più innanzi, è nata una specie di leggenda, diffusa non solo in Italia, ma anche in Argentina, secondo la quale il «grande» Libonatti sarebbe in miseria. Chiunque va a Rosario a vedere una partita sul campo di Newell's, scorge un Libonatti intento a umili mansioni: la confusione è quindi spiegabile. Per fortuna sua, invece, Julio se la cava benissimo: è ispettore del ministero del Lavoro e Previdenza sociale, cioè ha un po- sto di responsabilità e ben remunerato. Egli è nei quadri del ministero da oltre vent'anni: la sua posizione è molto soddisfacente non solo dal punto di vista finanziario, ma anche da quello sociale. Quando era alle sue prime armi in Newell's, lo chiamavano «eZ potriHo» («il puledro»), per la sua invidiabile robustezza e resistenza fisica. Anche oggi sta molto bene e il suo aspetto è assai giovanile. La signora Aurora, sua moglie, conserva un grato, ricordo di Torino e parla ancora bene l'italiano. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: un maschio e due femmine. Elena Beatrice vide la luce a Rosario prima che il padre venisse « scoperto » dal conte Marone e portato a Torino; Giulio Alberto e Luisa Maria sono nati in Italia. I primi due si sono sposati e hanno reso Julio nonno cinaue volte. Il maggiore dei nipotini è un maschio ed ha sette anni. Libonatti firmò il contratto col Torino nel 1925: il suo stipendio veniva fissato in duemila lire mensili, più i premi di partita, che oscillavano tra le cinquanta e le cento lire. A fine anno, poi, venivano assegnati ai giocatori premi varianti tra le dieci e le quindicimila lire. Il conte Marone faceva frequenti viaggi in Argentina, e aveva visto giocare Libonatti in seguito a segnalazione d'un incaricato della « Cinzano », certo Bosco. « Libo » era già allora un giocatore assai noto, avendo partecipato a tre campionati sudamericani: nel 1920 (in Cile), 1921 (in Argentina) e 1922 (in Brasile). I/Argentina aveva vinto in casa, nel 1921, e Libonatti aveva segnato tre goals, fra cui quello della vittoria nella partita decisiva contro l'Uruguay. Nel Torino rimase dal 1925 al 193S, ossia otto anni. Poi restò due anni al Genoa; infine si recò a Rimini come allenatore della locale squadra di Serie C. Nel 1938 fece ritorno in Argentina. Libonatti ricorda con orgoglio che contribuì validamente a far vincere al Torino i campionati del 1927 e 1928, e soprattutto ricorda i virtuosismi del trio centrale d'attacco allora così giustamente famoso: Baloncieri-Libonatti-Rossetti. «Era qualche cosa di stupendo il modo in cui andavamo d'accordo: sembrava che un filo invisibile ci tenesse legati l'uno all'altro. Baloncieri era il coordinatore: retrocedeva spesso a prendere la palla e ce la portava. Io giocavo in posizione più avanzata, e il compito di sfondare spettava in genere a Rossetti». Particolare curioso: a Rosario risiede un fratello di Baloncieri, e con lui Libonatti si trova spesso. «Non sono più direttamente in rapporto con i miei ex compagni di squadra in Italia, e neppure con dirigenti e tifosi, ma Baloncieri mi tiene al corrente di tutto, perché il fratello, la mezz'ala destra del nostro trio, gli scrive spesso ». In tal modo, pur essendo fuori dell'ambiente calcistico (non segue neppure come spettatore il foot-ball locale). Libonatti sa quel che succede in Italia nel mondo del calcio. La ragione di questo allontanamento non fa torto a Libonatti, anzi. Quindici anni fa egli assistette a una partita nello stadio del Newell's, fra la squadra locale e il San Lorenzo di Almagro di Buenos Aires. Arbitrava Cossio. La folla rimase così indignata per l'operato del direttore di gara che voleva linciarlo per vendicare la sconfitta della squadra preferita: riuscì a impadronirsi dell'infelice Cossio ed a legarlo a una delle porte. Gli assurdi propositi degli inferociti tifosi erano realmente sanguinari: stavano per impiccarlo, quando la polizia riuscì, sia pure a durissima pena, a metterlo in salvo. I feriti furono numerosi nel parapiglia che seguì, e gli impianti dello stadio risultarono danneggiatissimi. Il fatto ebbe una vasta eco anche in Europa. In Italia un settimanale illustrato di grande diffusione dedicò la copertina al clamoroso scandalo. Libonatti rimase cosi indignato che disse a se stesso: «D'ora in poi non voglio più saper nulla del calcio ». Gli appassionati però non dimenticarono l'ex giocatore e di questa popolarità cercò di trarre profitto un avventuriero. Sfruttando una vaga somiglianza con Julio il truffatore, raccolse una quantità di ritagli di giornali e riviste, con fotografie illustranti la carriera di «Libo», e si fece passare per lui nelle due occasioni in cui, caduto ammalato, fu ricoverato all'ospedale. La prima volta da una corsia dell'Ospedale Zubizarreta, la seconda da una dell'Ospedale Pirovano, richiamò l'attenzione su di sé, invitando i tifosi dal cuore generoso a riunire denaro per darlo a lui. La stampa non mancò di occuparsene, e la Federazione argentina di calcio fece realmente una colletta. Perfino alcuni amici dell'ex-granata si recarono a visitare il finto Libonatti senza rendersi conto dell'inganno. In Italia anche la F.I.G.C. venne invitata ad intervenire a favore di chi si era reso a suo tempo così benemerito del calcio italiano. Finalmente il vero Libonatti si fece vivo e l'equivoco fu chiarito, non mai interamente però, tanto che alla fine, per tagliar corto alle dicerie, l'A.c.i.a. (Associazione del Calcio italiano in Argentina) decise di offrire a « Libo » non denaro, di cui non ha affatto bisogno, ma una targa d'onore, finanziandone l'acquisto appunto con i soldi raccolti allorché il falso Libonatti si trovava ricoverato all'ospedale Pirovano. Una squadra dell'A.c.i.a. andò a .Rosario a giocare una partita amichevole contro il Newell's, e i dirigenti offrirono a Libonatti la targa, che egli gradi moltissimo. Le fotografie mostrano appunto Libonatti in quell'occasione. Julio, che dopo quindici anni tornava su un campo di football, diede volentieri la stura ai suoi ricordi. Sul campo dello « Sparta », di Praga, nella sua prima partita in maglia azzurra, vide il famoso portiere Planicka, eseguire delle parate fantastiche, meritandosi il soprannome di « gatto volante ». « Mi parò almeno due reti che mi sembravano già fatte», commenta con ammirazione Libonatti. Di Levratto, che quel giorno segnò il goal dell'onore, dice che « aveva la forza di un mulo nello shoot: qualche volta il pallone, dopo i suoi calci formidabili, rimaneva addirittura deformato... ». Ma il ricordo che Libonatti considera il più bello della sua carriera si riferisce a un'altra partita giocata a Praga, il 23 ottobre 1927: egli cita correttamente, a memoria, come abbiamo detto, non solo Z'a?mo, ma anche il giorno e il mese. Questa volta l'Italia pareggiò: 2 a 2. Tutt'e due le reti dei nostri furono segnate da lui (per i cechi segnò i due golas Svoboda). « Libo» portò l'Italia in vantaggio per uno a zero, e poi la riportò in pareggio quando la Cecoslovacchia conduceva per due a uno. Dalla sua Rosario, ove risiede in Calle Montevideo 1953 F, «Libo» manda a mezzo de «La Stampa» un affettuoso ricordo ai suoi vecchi «tifosi» torinesi, e se qualcuno di questi gli invierà un saluto, farà cosa assai gradita al glorioso cannoniere del « Torino » e della squadra azzurra. Dario Ascoli Julio Libonatti (a destra) premiato sul campo del «Newell's Old Boys» di Rosario di Santa Fé dai dirigenti dell'Associazione calcistica italiana d'Argentina