Torino «storica» e vita moderna di Marziano Bernardi

Torino «storica» e vita moderna Due valori che si possono conciliare Torino «storica» e vita moderna Esiste ncll' opinione pubblica italiana una viva coscienza della gravità di certi problemi urbanistici, dalla cui pronta soluzione dipende la possibilità, o meno, di un'autentica convivenza civile in un immediato futuro? La risposta, purtroppo, è negativa. La gran massa del pubblico li ignora, o ne è indifferente, o — nei casi migliori — è ancor ferma su alcuni concetti che, sacrosanti nella loro essenza, vanno tuttavia riveduti alla luce di quei nuovi fattori culturali, psicologici, socioeconomici che hanno trasformato, o stanno trasformando, il costume e il giudizio degli uomini. Così, se indiscutibile resta la intransigente difesa dei valori monumentali, va combattuta la mentalità feticistica che confonde il documento di reale importanza storico-artistica con la semplice, inqualifioata testimonianza di un passato più o meno remoto. Al principio di intangibilità indiscriminata dei centri cittadini in omaggio al carattere ami bientale, cioè a una posizione di recisi divieti, va sostituito il moderno criterio, così saggiamente contemplato dalla legislazione francese del 1962, del risanamento conservativo dei centri storici. La tutela di una non ben determinata « bellezza » pae sistica, suggerita da una vaga sensibilità estetica di radice ro mantica, non può non tener con to di una diversa visione, non più mitica ma umana, della tuia tura», conscguente all'ineluttabi le mutare, col progredir del tem po, delle esigenze pratiche e spi rituali della vita. Tornando alla risposta data sopra, il suo pessimismo va forse temperato da quanto scrive Giovanni Astengo sull'ultimo numero della rivista Urbanistica, che il complesso di norme attuate, o in corso di attuazione, per la tutela, la conservazione, il restauro, il risanamento di sette od otto centri storici italiani « rappresentano altrettante lotte estenuanti, ma anche altrettante vittorie della cultura e della serietà amministrativa ». O da quanto ha detto in una recente conferenza il soprintendente ai Monumenti del Piemonte, Umberto Chierici, che se i riflessi urbanistici della nuova realtà economica e sociale hanno negli ultimi decenni sorpreso e scavalcato il legislatore, l'indagine critica del tema ha raggiunto « un eccellente livello, di pari passo con un sempre più affinato progredire e diffondersi della coscienza pubblica ». Duole tuttavia dover riconoscere che, mentre da noi il legislatore continua a sonnecchiare contrariamente a quanto avviene nei più progrediti paesi di Europa e negli Stati Uniti d'America, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani si preoccupa della sorte delle proprie città soprattutto in relazione con il drammatico aumento della circolazione e del traffico; ma della conservazione del loro patrimonio storico e artistico, come deila difesa delle bellezze naturali nell'intera penisola, se ne infischia. Poiché ci viviamo, esaminiamo il caso di Torino, che per la sua nitida, quasi elementare struttura e organizzazione urbana, t frutto -— ha notato il Chierici — di una proliferazione estremamente logica delle sue aree di sviluppo nel corso dei secoli », meglio d'ogni altra metropoli italiana sembra prestarsi a una rigorosa programmazione urbanistica: che sarebbe poi semplicemente la continuazione della stupenda opera in essa coni piuta dagli architetti fra il Seicento e l'Ottocento. Nessuna accusa specifica a chicchessia. Ma che cosa si è saputo fare a Torino, dalla fine della guerra in poi, che sia accettabile da un urbanista avveduto, e non da abbandonare fra i disastri delle decisioni avventate, della funesta imprevidenza, della rapace spe dilazione edilizia? C'è il piano regolatore, è vero; ma i piani particolareggiati cui s'affida la sopravvivenza del centro storico che di giorno in giorno va deperendo in modo spaventoso? Sorvoliamo su episodi isolati, come quello del restauro del palazzo D'Ormea in piazza Carlina da due anni sospeso; o quello d'una commissione d'architetti, soprintendenti alle Belle Arti, personalità della cultura, riunitasi alcune volte ad iniziativa municipale per discutere del centro storico, e poi dileguatasi come nebbia al ven¬ tolizCdidestsul'dil nopipridmetargtbfifrilaccilcsldR—ddcrcesttdgcrgpccg i e n to; o quello dell'assurda demolizione d'un intero isolato di via Carlo Alberto (un altro pezzo di « ambiente » torinese sconsideratamente sacrificato) per costruire un inutile doppione di supermercato, proprio là dove l'abbiccì urbanistico consigliava di contenere e non aumentare il traffico; e si dice che non se ne faccia più nulla, ma intanto o squarcio ha interrotto una tipica, dignitosa continuità ediizia. Ben più complesso problema presenta la conservazione ed il risanamento del nucleo antico di Torino. Esso appare ignobilmente degradato ad antigieniche ed antisociali condizioni di vi; ta; e tuttavia è suscettibile di ricuperare la sua primitiva dignità stilistica e ambientale, la tranquilla piacevolezza di abitabilità, con un organico e « pianificato » lavoro di radicale bonifica e di minuto restauro che lo renda adatto, anche contenendo il tumulto della circolazione, ad accogliere un particolare ceto di cittadini, media borghesia, piccolo artigianato, professionismo intellettuale, commercio particolarmente prezioso, ristoranti e caffè caratteristici. Si pensi cos'è a Parigi Vile Saint-Louis con la Citò, a Stoccolma il quartiere della Cattedrale e del Palazzo Reale. Ma i centri antichi si salvano — lo sanno anche gli studenti d'urbanistica — operando non dentro, ma fuori dei centri stessi; creando cioè nuovi « centri direzionali » proporzionati alle necessità nuove, amministrative, economiche, sociali, delle città smisuratamente cresciute, e situati in località propizie per attrezzature e servizi. La più ardita iniziativa torinese del dopoguerra è stata, nel '62, il concorso per il nuovo « Centro direzionale » in base al piano regolatore del '59, vinto dal gruppo capeggiato da Nello Renacco. In pieno « miracolo economico » se ne parlò allora, com'era giusto, plaudendo e sperando. Venuto il tempo delle vacche magre, è adesso giusto che non se ne parli più? che la gente scrolli le spalle, come se si trattasse di un'utopia irrealizzabile? Eppure in quella realizzazione, nel trasferimento ai margini di Borgo San Paolo dei maggiori uffici pubblici e privati, delle banche, dei grandi magazzini, dei gangli nervosi della vita cittadina, è l'unica salvezza del centro storico torinese. La qual salvezza non è un'altra utopia; 1 per conto nostro abbiamo volo to confermarcelo prendendo 1 campione una delle vie più deperite del nucleo medioevale-barocco di Torino, la tortuosa via Franco Bonelli, già « contrada dei Fornelletti », dove al nume ro 2 — ha riferito Dina Rebau dengo in Vecchia Torino era la « casa del boia ». Si stenta a credere alla possibilità di abitare fra quei muri grom mosi, in quelle stanze cui si giun ge da anditi bui, su per scale trcgbsgmctnmpt tenebrose dove la luce filtra avara e fioca. Nei corrili lo spettacolo è indescrivibile per gli aggregati deturpanti, magazzini, laboratori, o addirittura misere casupole in aggiunta ai locali degli stabili. Ma a ben guardare, molte strutture mostrano le tracce di un'antica nobiltà costruttiva; stemmi marmorei sovrastano le porte, per esempio al numero iti; graziosi balconcini si profilano sulle facciate sostenuti da mensole barocche; al numero 16 un palazzo sei-settecentcsco, stretto ed alto, sembra chiedere spazio per la'sua dignità. La strettezza della strada è compensata dalla straordinaria ampiezza dei cortili, che in passato dovevano essere occupati da orti e giardini per dar respiro e gaiezza agli abitanti. Il tempo, l'incuria e l'avidità degli uomini hanno trasformato case, che avevano una loro alta rispettabilità e persino notevole eleganza, in tuguri non compatibili con un'età civile. Ma chiunque può convincersi che con un saggio restauro risanatore questo triste decadimento è suscettibile d'una rinascita, che ci conservi perfetto l'ambiente storico senza una sola demolizione. 1 poveri arbusti fioriti che le donne coltivano al fondo degli avviliti cortili e sui lunghi ballatoi dei loro alloggi paiono il simbolo del desiderio di tanti torinesi di veder restituita al decoro la vecchia immagine della loro città. Marziano Bernardi McNamara poco prima della partenza da Saigon passa in rassegna le truppe australiane nel Sud Vietnam. Il ministro americano della Difesa è tornato ieri a Washington dopo un'ispezione durata 5 giorni (Tel. A. P.)

Persone citate: Dina Rebau, Giovanni Astengo, Renacco, Umberto Chierici, Vile Saint