A 83 anni l'uccisore di Maria Goretti rievoca, lucido, il tragico lontano episodio

A 83 anni l'uccisore di Maria Goretti rievoca, lucido, il tragico lontano episodio Incontro con l'ex ergastolano che ha visto fare Santa la sua vittima A 83 anni l'uccisore di Maria Goretti rievoca, lucido, il tragico lontano episodio In un afoso pomeriggio d'estate di 63 anni fa, nella campagna romana, crivellò con un punteruolo la bimba dodicenne che difendeva la sua purezza - « Fu l'ignoranza a trasformarmi in un dissennato » confida - « Da quel momento non mi sono più sentito di avvicinare le donne » - E' ospite dei frati a Macerata - Offre a chi lo va a trovare immagini della piccola e in fondo appone la sua firma (Dal nostrr inviato speciale) macerata, 3 luglio. Sono andato a trovare nel suo estremo rifugio Alessandro Serenelli, che uccise Maria Goretti e ne fece una santa. Mi è venuto incontro con un po' di indifferenza poi ha parlato per un'ora del lontano passato e della sua vita attuale; mi ha offerto un'immaginetta in cui si vede la fanciulla in mezzo ad un campo di gigli ; vi ha apposto con mano ferma la propria firma, cognome e nome, come fanno gli artisti del cinema e i cantautori. E' stato un incontro difficile. Serenelli ha compiuto ottantatré anni il 2 giugno ; dopodomani saranno sessantatré anni che « Sandrino », come allora lo chiamavano, assassinò a colpi di punteruolo Maria, perché difese la propria innocenza contro il contadinotto ventenne. Adesso che è così avanti nell'età, Serenelli parla malvolentieri del delitto, del quarto di secolo passato nei reclusori, della segregazione cellulare cui fu sottoposto, della liberazione ottenuta quattro anni e sei mesi prima del termine della pena. Dopo aver considerato recentemente la condizione umana degli ergastolani di Porto Azzurro, mi sono convinto che quest'uomo, gra ziato a quarantasette anni non è stato recuperabile per la società. Nel periodo successivo alla liberazione, ha saputo essere soltanto l'ortolano del convento dei Cappuccini di San Serafino in Ascoli Piceno. Quando la ruggine della vecchiaia non gli ha più permesso di coltivare pomodori e ravanelli, la misericordia dei frati ha consentito che passasse il resto della vita nell'inferme, ria del convento dell'Ordine a Macerata dove, unico laico della comunità, prepara ogni giorno il refettorio per sei vecchi religiosi — il più anziano ha novantadue anni — che si sono ritirati qui Eccolo, il « signor Alessandro », venirmi incontro con la faccia cotta dal sole il collo taurino, il corpo tozzo. Si appoggia ad un bastone; le gambe reumatizzate cominciano a tradirlo. Porta un berretto di velluto marrone, una giacca sportiva di tela azzurra con martingala, gli occhiali spessi per via delle cateratte, scarpe con suole di gomma. Se sorride, mostra gli ultimi due denti che gli sono rimasti. « Come ha fatto a trovar mi? — chiede. — Non mi piace di essere intervistato. Si figuri che molti mi credono morto. Quello che feci il 5 luglio 1902 riguarda solo la mia coscienza. Vuole che gli racconti come andò? Lo sa tutto il mondo. Ceravamo trasferiti dalla Marca di Ancona a Ferriere di Conca, sul margine della palude pontina. Anche i Goretti eran venuti da Corinaldo, un paese delle Marche, abitavamo nella " Cascina Antica ". Quel giorno d'estate faceva un caldo ecce zionale: i miasmi avvelenavano l'aria. Vidi passare la piccola Maria. Sentii una vampata arroventarmi il sangue. Maria aveva dodici anni, ma si batté da disperata per difendere la sua purezza. La crivellai di colpi con un punteruolo» La fanciulla morì il giorno dopo all'ospedale. Perdonò l'assassino. Il 27 aprile 1947 venne beatificata; il 25 giugno 1950 proclamata santa. « Fu l'ignoranza — sot tolinea Serenelli — a tra sformarmi in un dissenna to. Tremavo per tutto il corpo come se avessi la feb bre. Quando il sangue di Maria m'imbrattò le mani ebbi orrore di quello che avevo fatto. Così non avvicinai mai una donna in vita mia. Adesso sono vecchio e debole. Se non fosse la carità dei frati, starei in un ospizio. Maria, invece, è rimasta com'era quando la vedevo andare al mercato per vendere polli. Il tempo si è fermato per lei. Sta nel santuario di Nettuno dentro la bara di vetro con capelli biondi e lunghi, il volto giovane, il corpo leggero. Sono andato a veder la una volta, confuso tra la frupdufct«mmsmpalplsrm folla, senza che alcuno mi riconoscesse ». Il « signor Alessandro » è un po' duro d'orecchio, ma parla con proprietà, in un discreto italiano. Si sente un personaggio. Qui, nell'infermeria dei frati, ha una camera tutta per sé col termosifone e la targhetta, « A. Serenelli », sull'uscio marrone. S'alza alle sei del mattino. Fuori della finestra ci sono le Marche, come le vide Giacomo Leopardi. Il mare di seta verde a destra, la galoppata delle colline, il grano maturo, le vigne, i gelsi. E in fondo i monti azzurri, il Vettore, la Sibilla, l'Ascensione, a perdita d'occhio. « Quando Maria fu santificata — lamenta Serenelli — andai a vedere "Cielo sulla palude ". Restai amareggiato perché il regista del film, Augusto Genina, mi aveva raffigurato come un bruto. Le cose non andarono proprio così. Restai sopraffatto dai miei impulsi per mancanza di volontà. Ma ormai si tratta di cose lontane. Lo sa che sono l'unico peccatore che abbia veduto diventare santa la propria vittima? Sì, esco ogni giorno. Qui vicino c'è un boschetto; vado dal barbiere; compero il giornale; passeggiare mi fa bene. Prima d'uscire rassetto la camera, scendo un po' in cappella, chiudo a chiave la mia porta. Quando torno, bado al refettorio. Se ho risparmi? Qualche cosa. In tanti anni di lavoro da orto lano, versai i contributi per la pensione. Mi danno dodicimila lire al mese. Aiuto il prossimo come posso, faccio qualche elemosina, sonò abbonato ad un settimanale illustrato. Il resto lo metto da parte. Lascerò tutto ai Cappuccini pìie non hanno mai avuto ittisoldo da me » L'infermeria è disadorna, con zoccoli verniciati di giallo nei corridoi, le lampadine elettriche sotto piatti smaltati, la sala di lettura con le stecche dei giornali,; una oleografia della « Cena » di Leonardo nel refettorio, l'ascensore, il montacarichi. « Guardi questo quadro — dice Serenelli — ci sono i nomi di centouno frati, morti nell'infermeria. L'ultimo fu fra Lorenzo da Corinaldo, che se .ne andò il 29 maggio scorso. C'è posto ancora per un solo nome. Toccherà a me? Sono preparato alle malattie, alla cecità, ai disinganni, alla morte. Mi sento pacifica- to e distaccato dal inondo». Passa padre Giuliano da Recanati, superiore del convento, occhi celesti, grande barba castana, quarantacinque anni, aperto ai più inquietanti aspetti della nostra civiltà di massa. Serenelli si toglie il berretto. Il frate gli chiede: «Come va, signor Alessandro?». Fuori c'è un gran sole; l'aria delle valli del Chienti e del Potenza agita gli alberi del giardino del convento dove, oltre ai vecchi, vivono venti frati. Uno, molto giovane, parte per la città con un furgoncino a triciclo, lasciandosi dietro una nube di fumo azzurro. Serenelli tira fuori dalla tasca interna del giaccone l'immaginetta di Santa Maria Goretti. In fondo, con una penna a sfera, vi scrive la firma. Nell'offrirmi il « santino » dice : « Lo conservi, fra qualche tempo diventerà una rarità ». Arnaldo Geraldini Alessandro Serenelli, a' sinistra, nel convento delle Marche dove fa l'ortolano, con il nostro intervistatore L'immagine di Santa Maria Goretti, firmata da Alessandro Serenelli, l'uomo che l'uccise nel luglio 1902