Il pirandellismo dell'ultimo Moravia

Il pirandellismo dell'ultimo Moravia «L'Attenzione»: una svolta del romanziere Il pirandellismo dell'ultimo Moravia Sulla breccia dal 1929 — cioè da quando, ventiduenne, pubblicò Gli Indifferenti — Alberto Moravia è arrivato in questi giorni al volume sedicesimo delle sue « Opere complete » con il nuovissimo romando L'Attenzione (ed. Bompiani; pp. 348, L. z.200). E siccome nel piano editoriale delle n Opere complete » il secondo e il terzo volume comprendono rispettivamente cinque e due libri già usciti isolati, la comparsa di questa Attenzione richiederebbe prima di tutto il doveroso omaggio a un'attività intensa come poche altre, arrivata ad assumere più di una ventina di titoli e ancor tanto fresca da non lasciar dubbi sui futuri arricchimenti. Bilanci e celebrazioni, tuttavia, sarebbero adesso un'irragionevolissima impresa. Perche, a dirla in breve, il Moravia che negli ultimi libri poteva sembrare ancorato a una virtuosa ripetizione dei suoi modi più caratteristici, e a un approfondimento di temi e fantasie tanto abilmente riverniciati quanto fedeli a un repertorio non nuovo, proprio con questa Attenzione ci dà la sorpresa di una svolta, di un salto in avanti. E piuttosto per rendercene conto, bisognerà vedere se quegli ultimi libri che sembravano le variazioni di una sperimentatissima partitura non contenessero invece gli abbozzi fra le righe e la segreta preparazione della sconcertante novità che adesso ci fa tanto effetto. D'altra parte, che il passo indietro sia utile a spiegar molte cose, è già evidente se facciamo una semplice questione di date. Cosa troviamo, infatti, scorrendo a ritroso la bibliografia dello scrittore? Troviamo, dell'anno scorso Vuotilo come fine — una raccolta di saggi dal '41 al '62 —; del '63 L'automa, racconti brevi pubblicati sulla terza pagina di un quotidiano; del '62 Un'idea dell'india, cioè la « relazione » — riuscita necessariamente a metà — di un viaggiatore troppo riflessivo per abbandonarsi ai colori immediati dell'esperienza e troppo impressionabile per vincere lo smarrimento dell'umana avventura. E sin qui, nessun romanzo. 11 primo dei quali, sempre in quest'ordine rovesciato, è finalmente La noia: i960. Cinque anni fa. Molti, a ricordare il ritmo di una produzione narrativa ben più fitta nel periodo di subito dopo la guerra, e abbastanza — almeno — da farci scoprire qualcosa di molto simile a una pausa di raccoglimento. Dopo la questione delle date, c'è poi quella del protagonista. Che nella Noia era un pittore inaridito, dopo essere stato ne) Disprezzo del '56 uno sceneggiatore cinematografico, spinto a scoprire il fallimento delle illusioni professionali insieme a quello della sua vita amorosa; né diverso destino era toccato allo scrittore protagonista di L'amore coniugale uscito nel '49. E anche Antonio, che come le precedenti figure racconta in prima persona le vicende di L'Attenzione, anche questo Antonio è uno scrittore. Ma se nell'analogo, e più lontano, caso deil'Aìiiore coniugale avevamo due drammi paralleli e distinti ' — e rescava indeciso se la sventura dell'uomo-scrittore fosse motivo o conseguenza della sventura dell'uomo-marito — qui l'intreccio non ha distanzio ni, né consente incertezze sui probabili rapporti di causa ed effetto. Qui tutto è compatto, ossessivo come un enigma irrisolvibile: e la storia, da oggetto della narrazione, diventa un materiale amorfo e causale, impiegato a guisa di carburante per mandare innanzi un vorticoso motore in folle. Dunque, sorpresa si; ma fino a un certo punto: c, guardando bene, punto d'arrivo di un processo che andava maturando da lungo, lunghissimo tempo. Quanto all'opera in sé, alle passioni che descrive e ai fatti che vi vengono immaginati, prima di darne un fuggevole riassunto bisognerà avvertire che realtà e fantasia, esempi teorici di come la realtà sia sempre un'illusione quando compare nelle pagine di un libro, e di come la fantasia possa ridursi a scorciatoia a più intenso legame con la vita, compaiono ora tanto connessi e volutamente confusi da impedire ogni distinzione fra ciò che è, ciò che potrebbe essere, ciò che non è ma appunto perché non è acquista un più fermo sapore di autenticità. Ma vediamo — e valga anche come consiglio per il lettore — soprattutto le pagine del « Prologo »: che sono un po' la chia ve di tutto il resto. Lo scrittore Antonio non conosce altro ordine nella propria vita che un sistematico rovesciamento della logica in contraddizione. Nel '47. infatuato dagli ideali proletari di quegli anni, lui di famiglia abbiente ha sposato una sartina di poche risorse, madre di una bambina — Gabriella detta Babà — avuta da un soldato tedesco. Ma il ménage che doveva segnare il superamento dell'educazione borghese venne subito male impostato già dall'arredamento del nuovo domicilio: nello stile, allora di moda, della prima metà dell'ottocento, dall'impero al Luigi Filippo. E Cora, la moglie, gli ispirò sì di raccontare in un romanzo la felicità del porto tranquillo raggiunto dopo tante tempeste; fu però un amore di breve durata, e il romanzo -— rivelatosi inautentico — venne distrutto; Antonio ben presto si legò come inviato speciale a un grosso giornale moderato del Nord, per sottrarsi alla propria casa farvi rari ritorni con animo distaccato di pensionante. Ora. dopo anni e anni, egli ripensa a quella lontana vicenda; e il ricordo del romanzo distrutto gli fa nascere il progetto di scriverne uno che finalmente lo appaghi, traendo autenticità da un argomento tanto più vero quanto meno et romanzesco ». E così decide di impostare un diario, durante un ritorno di due mesi nella casa in cui ormai niente avveniva che non era strettamente legato al vivere quotidiano. Esigenza, o intuizione poetica, o brancolante smania che sia di vincere il torpore di una vita che scorre ballonzoiando neghittosa e sfuggente, l'idea del <t Diario » nasce comunque come medicina spirituale del protagonista e come esercizio di moderna rettorica suggerito dal Moravia stes so. Ne sai dove finisca il dominio dell'Antonio che sente e pena, e dove cominci — o gli si sovrapponga — quello del Moravia che pena e sente. Di vero e saldo e determinante, hai la catastrofe. La catastrofe che, nelle primissime pagine del « Diario », dà l'avvio a una reazione a catena di altri drammi, ognuno dei quali si riflette intorno come gioco di specchi. Si tratta di una lettera anonima, che informa il personaggio — deci sosi di passare dalla disattenzione delle passioni all'attenzio ne della cronaca diaristica — come la realtà dell'ambiente « familiare » sia sconvolta da un dramma ben lontano dalla vagheggiata realtà informe, senza capo né coda. Sua moglie, insomma, è tenutaria di una cas: d'appuntamenti; e per un po' di tempo vi avrebbe adibito anche le riottose grazie della figliastra Di qui, la valanga dei fatti Antonio non rinuncia al « Diario »; si lascia inghiottire dal domestico inferno; oscilla su un ingrovigliatissimo filo di erotiche tentazioni che lo spingerebbero verso la figliastra — e si scortica l'anima con meditazioni sull'incesto, che poi sarebbe un incesto per modo di dire —; parla parla e straparla, imponendo a sé e agli altri la raffinatissima tortura di un alluci nato giuoco verbale « dei per che ». Infine la moglie, già fra dicia, amiue di cancro; e la fi gliastra va a nozze, senza pre ventivo incesto, con un tale abbastanza adatto. Ma perché è successo tutto quello che è successo? 11 lettore che cercasse i motivi degli acca dimenti, e pretendesse di afferrare uno dei dieci o trenta o cento bandoli della matassa, è bene che rinunci in partenza, se non vuole perdere la testa sprofondare in chissà che velenose sabbie mobili. Anche la fine della storia, oltretutto, è ad libitum: l'iniziale lettera rivela trice potrebbe essere un avvenimento di altri tempi; Antonio potrebbe essere — avendola ricevuta assai prima — uno dei « clienti » invitati da Cora a banchettare delle grazie di Babà. E allora? Allora, conclude Moravia, qualcuno vorrà sapere (...) che os'è realmente avvenuto. Ma questo io non lo dirò, perché in fondo non è necessario che lo dica. Pirandello? E sia. Qualche lettore avrà pure ragione di tirar fuori il motto « Così è, se vi pare ». Ma le citazioni vanno e vengono. Resta il brivido di una lettura che sbriciola ogni intellettualistico calcolo nel tintinnio che — come ci insegnarono a scuola — fa il serpente a sonagli quando incanta le sue vittime. E Moravia non è che abbia molto in comune coi serpenti, anche se forse gli piacerebbe; ma il piacere, la curiosità a riluttante simpatia che ispirano queste pagine, si tiran dietro un'impaurita soggezione. Ferdinando Giannessi