Padroni e schiavi di Remo Cantoni

Padroni e schiavi Un popolo nuovo nel Brasile coloniale Padroni e schiavi E' il momento delle « scienze umane ». Sociologia, etnologia, antropologia, psicologia sociale, demografia, geografia umana, il complesso delle scienze sociali, così a lungo screditate nel loro prestigio umanistico e nella dignità del loro statuto culturale, tornano oggi in primo piano nel campo degli studi e sulla scena degli interessi più vasti di un pubblico non specialistico. Il nuovo umanismo, che tutti auspicano, si è riconciliato con la scienza, dopo l'infelice divorzio che la cultura idealistica italiana aveva proclamato e sancito tra umanismo e scienza. E ci si convince, ogni giorno più e meglio, che il grande ponte che congiunge le scienze naturali con le scienze umanistiche tra dizionali è costituito proprio da quelle scienze che i francesi han no definito Sciences de l'hontme. Non è un caso che le collane più fortunate dei nostri edito ri facciano cosi larga parte alle rinnovate scienze dell'uomo. Nella « Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi », dove già era apparso il bel libro di Marcel Mauss sulla magìa, è apparso in questi giorni il suggestivo e ampio sag gio di Gilberto Freyre intitolato Padroni e schiavi. Il libro, che è un testo classico della sociologia sudamericana, ha per tema la formazione della famiglia brasiliana durante l'epoca coloniale e schiavistica, quando, in regime di economia patriarcale, gli eu ropci vennero a contatto con la natura, le popolazioni e le cui ture tropicali. Da quel contatto nacque un « terzo uomo » né eu ropeo né tropicale. In Brasile, ci spiega Freyre, i signori non dominarono del tutto gli schiavi, furono, anzi, sotto vari aspetti, da essi dominati. « Gli europei non europeizzarono in modo assoluto il tropico brasiliano: sotto vari riguardi furono ricreati dal tropico. Tropicalizzati ed anche indianizzati e africanizzati da genti per fisico e cultura intimamente alleate alla natura tropicale. Questa interpretazione di influenze diverse spiega come il Brasile, sin dai suoi primi secoli coloniali, caratterizzati principalmente da un sistema di relazioni sociali fondato sulla coltivazione della canna e la produzione dello zucchero, in cui l'aristocrazia del regime patriarcale era corretta dalla democrazia della promiscuità razziale, si sia sviluppato in una forma di civiltà che, pur essendo europea in vari dei suoi tratti più espressivi — in verità decisivi — divenne, proprio in quei giorni, extra-europea in alcuni dei suoi sviluppi più significativi ». Tra tutti i popoli moderni quello brasiliano sarebbe, nelle conclusioni un po' apologetiche del sociologo brasiliano Freyre, quello più capace di esercitare l'indispensabile funzione di mediatore tra l'elemento europeo e l'elemento non europeo della civiltà umana. La civiltà brasiliana, nata dal laborioso matri monio della razza bianca euro pea con la razza « rossa » india na e con la razza nera africana, costituirebbe una sintesi o, quan to meno, un riaggiustamento felice di elementi etnici e soprattutto culturali diversi. Quando Padroni e schiavi apparve in prima edizione nel 1933 fece scandalo nello stesso Brasile. I brasiliani di quegli anni volevano collocarsi dalla parte dei padroni e dei bianchi e non si riconoscevano volentieri in quel « terzo uomo », in quel san gue misto che era il punto d'ar rivo di una ininterrotta e gene rale promiscuità sessuale e culturale. A poco a poco, sbolliti i primi malumori, i brasiliani compresero la lezione contenuta nei libri di Freyre e finirono per riconoscersi, e forse anche compiacersi, nel ritratto umanissimo che di loro tracciava lo studioso brasiliano. Percorrere i libri di Gilberto Freyre — ha detto felicemente l'illustre storico francese Fernand Braudel, presentando ai lettori italiani Padroni e schiavi — dà un piacere concreto, fisico, come viaggiare in sogno nei pae saggi tropicali e lussureggianti del Doganiere Rousseau. E' detto bene ed è vero. Poche letture riescono così stimolanti e istruttive. Il libro di Freyre è de) tutto estraneo ad ogni conven zione accademica, è scritto con una vivacità, un gusto e un co. lore che gli uomini di studio ra ramente possiedono, inclini co. me sono a scrivere solo o so¬ pcsclrvrdsggdcstlm prattutto per i loro colleghi di cui temono il giudizio severo e spesso pedante. Freyre è uno scienziato e ha, come antropologo e come sociologo, le sue carte in regola, ma rimane sempre scrittore di buona vena e il suo libro è mosso e ravvivato da una partecipazione diretta e vissuta a quella che è stata definita l'epopea antropologica del Brasile. Lo scrittore ripercorre con vigile amore, ma anche senza indulgenze, la vicenda umana e culturale, ora splendida ora miserevole, delle genti da, cui è nato, in pittoresca promiscuità, l'odierno Brasile. Traccia con mano sicura la storia degli immigrati portoghesi, che eran pochi e con pochissime donne bianche, in un paese spopolato e bisognoso di braccia per l'agri coltura. Duttili, mobili, spregiudicati, i portoghesi ripopolarono il paese facendo ricorso alla unione con la donna di colore, india o negra che fosse, concedendo a se stessi una libertà sessuale assoluta, usando e abusando, con estrema disinvoltura, del concubinato. La storia dei colonizzatori si intreccia a quella, spesso tragica, delle popolazioni indie primitive, ridotte in schiavitù, mal nutrite, impreparate al durissimo lavoro imposto dai padroni. E si intreccia anche alla storia della robusta e fantasiosa gente africana, tradotta in schiavitù dal continente nero su orrende e fetide navi. Grande protagonista di questa storia brasiliana, la gens promiscua di un Brasile ricco di contraddizioni, patriarcale e schiavista, tenero e spietato, pagano e cristiano, sensuale e mistico, in un sincretismo di razze e tradizioni, in un crogiuolo etnico e socioculturale che han dato vita a quel « terzo uomo » che Freyre ama e ammira. Di questo felice compimento nel sistema di civiltà brasiliano, Gilberto Freyre si rallegra. « Esso permette al brasiliano più colto di preferire la rete amerindia, e l'amaca, al letto europeo per dormire, le ricette culinarie di origine africana a quelle di provenienza europea per la propria alimentazione e soddisfazione del palato, la blusa india all'indumento europeo come abito di lavoro, senza che tutto ciò implichi da parte sua atteggiamenti anti-europeistici, bensì una nuova forma di ecologismo. I valori europei da lui adottati nella sua vita quotidiana e segtdti nella traiettoria essenziale della sua cultura sono numerosi. Insomma, la sua civiltà è un sistema caratterizzato dalla plasticità o flessibilità democratiche che condizionano una specie di comportamento diverso da quella inclinazione a rigidi modelli e stili nazionali di vita, abusivamente chiamati pure democratici, i qua li comportano la subordinazione delle masse a tipi di economia e di convivenza arbitrariamente imposti da alcuni ». E' probabile che Freyre si abbandoni a un eccessivo ottimi smo giudicando con occhio troppo compiaciuto e benevolo il punto d'arrivo della civiltà brasiliana. Ma che l'uomo moderno, uscendo dalle sciagure del razzismo e del nazionalismo, abbia bisogno di modelli e stili di vita estremamente plastici e flessibili, mi pare diffìcilmente contestabile. Remo Cantoni '.

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