Il Giappone non ha paura della bomba cinese e pensa alla conquista economica dell'Oriente di Francesco Rosso

Il Giappone non ha paura della bomba cinese e pensa alla conquista economica dell'Oriente Il Giappone non ha paura della bomba cinese e pensa alla conquista economica dell'Oriente Politici, giornalisti, uomini d'affari non credono nella minaccia della Cina: povera, arretrata, senza mezzi moderni per lanciare l'atomica - I giapponesi, volendo, potrebbero costruire in breve tempo la bomba al plutonio e missili da far concorrenza ai russi ed agli americani - Per ora, protetti dagli Stati Uniti, preferiscono restare quasi disarmati ed accrescere la già formidabile potenza economica - Può darsi che un giorno americani ed inglesi debbano lasciare il Vietnam e la Malesia: sarà un successo per l'industria nipponica, che ha bisogno di sempre nuovi mercati - Per il futuro più lontano, si vedrà (Dal nostro inviato speciale) Tokio, giugno Un corteo di protesta contro il patto di amicizia fra Giappone e Sud-Corea: spettacolo affascinante, un balletto interpretato da trentamila giovani che in file di sei, stretti l'uno all'altro, fanno la danza del serpente, e quasi altrettanti poliziotti in elmetto azzurro e visierina in plexiglass che fanno la controdanza per contenerli, servendosi talvolta dei più convincenti manganelli. Domando perché protestano. Sono i socialisti, che non vogliono la firma del patto perché ciò significherebbe la spartizione definitiva della Corea in due tronconi, come il Vietnam, come la Germania. Ma se la Corea del Sud non sì difende, obietto, ì soldati di Mao Tse-tung arrivano a Setti in quattro giorni. « E' affare loro, risponde il mio interlocutore: eppoi che male ci sarebbe? ». Incomincio a comprendere i giapponesi, i loro atteggiamenti contrastanti dinanzi a certi problemi, soprattutto dinanzi alla guerra del Vietnam. Per noi la Corea è problema ormai vecchio e superato, sono lontani i giorni in cui pareva che da Seul dovesse partire la scintilla di una conflagrazione mondiale. Oggi c'è il Vietnam a proporre gli stessi, angoscianti interrogativi; ma i giapponesi sembrano preoccupati soprattutto dalla Corea meridionale, che è a due passi da casa loro e dove, durante la guerra, hanno fatto cose che vorrebbero cancellare col mezzo miliardo di dollari ohe le daranno, parte in riparazioni, parte in prestito. La guerra del Vietnam non li turba eccessivamente, gli serve come pretesto per una intensa polemica anti-americana, apertamente in contra¬ sto col l. fuso sentimento di simpatia che essi hanno per gli americani. Un « rebus » che non si può sciogliere con ragionamenti logici: bisogna affrontarlo con mentalità orientale, che è l'antilogica. Vorrei sapere, ad esempio, con chi è schierato il Giappone, se con l'Occidente o con l'Oriente, se è amico degli americani o dei russi, se preferisce U Cina di Ciang Kai-scek o quella di Mao Tse-tung. « Amico, non ignori che il Giappone ha dichiarato pace al mondo ». Siamo in un ufficio dell'Asaìù Shinbun, otto milioni di copie al giorno nelle due edizioni, un giornale che davvero influisce sull'opinione pubblica giapponese, e converso con un collega. « D'accordo, rispondo, avete dichiarato pace al mondo, però mi sembra che non vogliate rinunciare a certe posizioni. Da quanto leggo nei vostri gior- nali e vedo alle vostre televisioni, direi che non perdete occasione per accusare gli americani che bombardano il Vietnam del Nord e combattono contro vietcong comunisti ». Il collega giapponese mi squadra con un nero filo di sguardo ironico e dice: « Se. poniamo, ci fosse la guerra civile in Jugoslavia e i cinesi venissero a bombardare i nazionalisti, voi italiani per chi prendereste posizione? ». Capisco, si fa strada la solidarietà continentale. Mai parlare di razzismo in Giappone, anche se il differente colore di pelle ha qui più valore che altrove. Vorrebbero che gli americani applicassero a tutto il mondo la dottrina di Monroe: « L'America agli americani, va bene, ma anche l'Asia agli asiatici ». « Non vi spaventa la prospettiva che la Cina possa, col suo aggressivo espansionismo, dominare tutto il SudEst asiatico? ». Ho rivolto questa domanda a molta gente qualificata in politica, la risposta è stata quasi sempre identica: « Che cosa può dare la Cina? Nulla. Invece, noi possiamo dare tutto ». Ripetono, in sostanza, quanto ha dichiarato il Ministro degli Esteri Shiina l'indomani della seconda esplosione atomica cinese: « Naturalmente, disse, dovremo seriamente prendere in considerazione la minaccia che gli esperimenti atomici creeranno in Asia, ma non potremo eliminare le preoccupazioni ed i disagi dei paesi asiatici con un'affermazione dì potenza militare: riteniamo, invece, che il Giappone possa reagire con un'affermazione di potenza economica ». Il ministro degli Esteri, però, non ha detto ciò che, invece, tutti i giapponesi pensano: Sono irrazionalmente convinti, ad esempio, che la Cina non userà mai l'atomica contro di loro, sempre per quella solidarietà continentale di cui parlavo innanzi. Inoltre, hanno argomenti più solidi per sentirsi tranquilli. «La Cina — mi dice un giovane industriale — avrà l'atomica fra un paio di anni, ma non possiede i mezzi per mandarla a destinazione. Noi, invece, possediamo un'industria e un'attrezzatura missilistica che ha poco da invidiare a quelle russa e americana. Non fabbricheremo mai l'atomica perché la nostra Costituzione lo vieta, ma le Costituzioni non sono eterne, e in questo caso non ci occorrerebbe molto tempo per arrivare alla bomba al plutonio ». Non capisco molto di queste cose, però mi hanno spiegato che nelle ricerche atomiche, i giapponesi sono già molto avanti per trasformare l'uranio usato nei reattori termonucleari in plutonio. Il mio interlocutore conclude: « Noi non abbiamo paura della Cina». Però, c'è l'altra prospettiva: se riformasse la propria Costituzione che gli vieto di fare la guerra, il Giappone tornerebbe a far paura. Per il momento questo pericolo non esiste: anche se tra i liberal-democratici al governo molti vorrebbero proporre alcune modifiche sostanziali alla Costituzione, nessuno pensa a toccare l'articolo 9, che appunto vieta al Giappone di ricorrere alla guerra. « Prima di tutto ci ripugna sentimentalmente — mi dice un deputato, che ha appetta concluso un comizio per le elezioni del li luglio, quando sarà rinnovata in parte la Camera dei senatori, — poi non ci interessa Abbiamo un patto di assistenza con gli Stati Uniti, che in caso di necessità ci proteggeranno con il loro ombrello atomico: noi possiamo fare molto di più in Asia nel campo economico ». Viene alla luce l'altra faccia del Giappone, quella mercantilistica: il primo giorno trascorso in albergo, almeno dieci sconosciuti mi hanno telefonato per domandarmi di quali settori di < import-export » mi interessavo, e di ciò devo ringraziare la Compagnia aerea che mi ha portato qui per aver segnalato il mio arrivo, coinè la per tutti gli stranieri, turisti o no, alla Camera di commercio nipponica. Questo aspetto del Giap pone impressiona fin dal prii mo contatto, dalle prime cu¬ riosità come la lettura di alcune cifre: la produzione annua di apparecchi elettronici, ad esempio, di apparecchi radio di televisori; sono cifre da capogiro, e si ha la sensazione di vivere tra gli ingranaggi di mostruosi congegni spietati che stritolano questa umanità per produrre sempre di più. Ma arriverà il giorno della saturazione; arriverà, soprattutto, il giorno in cui per l'azione delle masse operaie i salari saliranno a livelli europei, ed il prodotto giapponese dovrà affrontare la concorrenza sui mercati mondiali a parità di prezzi. Oggi no, tutto fila col favore del vento che dirada le nuvole sospingendole lontano dal Sole Levante. La Corea vuole mezzo miliardo di dollari? Eccoli. Le Filippine reclamano i risarcimenti di guerra? Ecco ottocento milioni di dollari. La Cina comunista chiede un colossale impianto di fibre sintetiche? Benissimo, disposti a fornirglielo. La Cina di Ciang Kaiscek protesta? Diamole centocinquanta milioni di dollari per tenerla buona. Sembra proprio che il Giappone trasudi dollari e voglia ripetere in Asia l'esperimento del Piano Marshall in Europa. Qualcuno ha definito ì giapponesi i teutoni dell'Asia, altri sostengono che sono gli americani d'Oriente: certo sono i soli, nell'immenso, desolato cortile dell'Asia in cui si addensa la miseria e la sofferenza di tutta l'umanità, a ostentare una ricchezza persino offensivo Tanta ricchezza -. potenziale economico devono smaltirlo da qualche parte. Mirano a penetrare nel Sud-Est asiatico approfittando del vuoto che lascerebbero inglesi e americani se, com'è probabile;abbandoneranno la Malesia e il Vietnam. Così sperano; però sanno che fatalmente si scontreranno con la Cina, la quale non susci¬ ta le guerriglie comuniste una zona che va dalla Thailandia alle Filippine, per poi lasciare tutto ai mercanti giapponesi: la solidarietà continentale si frantumerebbe dinanzi alla realtà degli interessi economici. I giapponesi — dicono — hanno dichiarato pace aZ mondo, hanno rinunciato alla guerra, non nutrono più ambizioni imperialistiche. In realtà le hanno solo accantonate: il giorno in cui dovranno allargare i mercati per piazzare la loro produzione industriale in continua espansione, tante belle dichiarazioni si possono anche dimenticare. E non occorrerà gran tempo per la trasformazione, perché il popolo giapponese è il più docile del mondo. Gli hanno detto che devono essere pacifisti, e tutti sfoderano esplosioni di denti in sorrisi amichevoli al mondo intero, non importa la colorazione politica e della, pelle. Gli hanno detto che erano troppi per l'economia del paese, e di colpo hanno smesso di fare bambini, sì che il loro tasso di natalità è oggi tra i più bassi del mondo; ma riprenderebbero a riprodursi, se tornassero a dirgli che il numero è potenza. Spendono poco per le forze di autodifesa, l'8 per cento del bilancio, ma i generali dispongono oggi di un volume di fuoco che il generale Tojo, fucilato come criminale di guerra, nemmeno si sognava. In Asia la Cina può far paura per l'inflazione umana e per l'atomica, ma è sovrastata dalla potenza economica e industriale del Giappone, un colosso che già spinge lo sguardo lontano. Dai sintomi che già si avvertono in questo inquieto Estremo Oriente, penso non sia allarmistico dire: attenti al Giappone. Francesco Rosso TOKIO GUARDA AL VIETNAM CON SCARSO ALLARME E SEGRETE SPERANZE

Persone citate: Ciang, Mao, Monroe, Tojo