Quanto c'è di marcio nel regno del cinema?

Quanto c'è di marcio nel regno del cinema? A proposito della Lollobrigida e delle "Bambole,, Quanto c'è di marcio nel regno del cinema? C'è molto di marcio nel regno del cinema? A giudicare da recenti, clamorosi fatti — la vicenda giudiziaria per Le bambole, cui si contesta il reato di oscenità, e quella parlamentare in merito all'art. 5 della nuova legge — si direbbe di sì. In questi giorni, con insistenza forse insolita, si riparla di immoralità, di <t confini del pudore »; e, di fronte a tante operette sexy, da più parti si mette in rilievo che lo Stato a non può aiutare con il pubblico denaro » la produzione di simili indegnità. Non già l'ozio sarebbe il padre di tutti i vizi, come usa dire; ma per l'appunto il cinema. Ancora una volta si cade in una generalizzazione, e in un equivoco. L'equivoco consiste nel credere che lo Stato aiuti con il pubblico denaro la produzione dei film: in realtà restituisce — e in piccola parte — al cinema, sotto forma dei cosiddetti ristorni, quel denaro che esso gli procura con le tasse erariali. La generalizzazione. Tutto il resto non è affatto silenzio, non tutto è marcio. Gina Lollobrigida, una delle incriminate per Le bambole, ha negativamente risposto alla domanda sè fosse disposta ad avviare la figlia nel mestiere di attrice. Così si torna ad alimentare il pregiudizio, già tanto diffuso e radicato, che questo mestiere — e la parola va intesa nel senso migliore — non si addice alle persone dabbene. Torna alla memoria quanto Flaubert annotava nel Dizionario delle idee correnti: « Attrici. Rovina dei figli di famiglia Sono d'una lascivia spaventosa, si danno all'orgia, inghìottono milioni (finiscono tutte all'ospizio) ». E lo stesso Flaubert, sem. pre ironicamente, aggiungeva: « Pardon! Alcune sono ottime madri di famiglian. E' inedito il fatto che degli attori vengano incriminati per un film cui si contesta di aver violato la legge ed offeso la morale. Gina Lollobrigida, Virna Lisi e Nino Manfredi, presi forse alla sprovvista, hanno affermato cose sconcertanti. « A me piace girare un film vestita », dice la Lollobrigida; « e che colpa ho di quanto si vede ne Le bambole? ». Un'attrice, spiega, deve obbedire senza discutere al regista, soprattutto se è un regista stimato come Mauro Bolognini: noi non possiamo renderci conto di nulla, quando viene girata una scena. « Io mi sono vista dopo, a film pronto per la pubblicazione ». Un'attrice, ribadisce Virna Lisi, non sa mai, mentre lavora, come apparirà in seguito sullo schermo. Le attrici non sono gli autori di un film. Se una responsabilità esiste — questa la conclusione — essa è dunque tutta del regista Nino Manfredi insiste invece sulle responsabilità del produttore. Gli piacerebbe, confessa, di dar vita a un personaggio qua le Oblomov, e dirigere, oltre che interpretare, un film desun to da Melville: la storia di un uomo che si lascia morire perché la vita non lo interessa più. Ma i produttori respingono gli Oblomov e i Melville: sono per un cinema, come dice Ponti, che arrivi allo spettatore attraverso lo stomaco, che all'intelligenza sostituisca la pruderie. Proprio in questi giorni capita di leggere alcune edificanti dichiarazioni di uno dei maggiori responsabi li di tanti film sexy. Questo nipotino di Ponti, peraltro del tutto sviato, si lamenta che vengano denunciati nel suo Le notti nude ventiquattro spogliarelli. Si tratta di un errore, protesta si è contato male: gli spogliarelli, specifica con malcelato orgoglio, sono venticinque. Non meno sconcertanti le te si difensive dei registi. Dino Risi si domanda cosa possa e debba fare. Adeguarsi, risponde, « senza contare la ragione, importantissima, che anche noi dobbiamo mangiare tutti i giorni ». Meno « alimentare » sembra l'atteggiamento assunto da Bolognini: afferma di aver ricavato l'idea dell'episodio da lui diretto, Mon signor Cupido, da una novella del Boccaccio, e ricorda che il Boccaccio è un classico, non un pornografo. Ed egli respinge per l'appunto la paternità dello slo gan « film alimentari » coniato per giustificare quei molti cineasti i quali, in un momento d crisi, accettano qualunque im posizione dai produttori, pur di lavorare. In verità quello slogan è di Babel', che non si riferiva del resto alle operette sexy ma se lavori ben più impegnativi: la collaborazione offerta dal grande scrittore sovietico al cinema fu infatti, anche se poco conosciuta, considerevole per onestà e qualità. Comunque, per tornare a Bolognini, è forse utile ricordare che altre sono, possono essere le intenzioni, e altri i risultati: che ispirarsi al Boccaccio non preserva da un possibile errore, dal cadere da un testo letterariamente eccelso nella pornografia. E può anche sorgere il sospetto, dinanzi ai risultati, che il Boccaccio, qui e in molti altri casi, non sia che il semplice pretesto per giustificare le banalità che intenzionalmente si producono. Solo in parte siamo d'accordo con Cesare Zavattini quando, a proposito dell'attuale crisi, afferma che più libertà significa più verità e quindi più poesia; e meno libertà, meno verità e poesia. La storia dell'arte ha dimostrato e dimostra quanto questo sillogismo sia mal puntellato e dubbio. La libertà non è condizione sufficiente per raggiungere verità e poesia, e neppure sempre necessaria di per se stessa. Con questo non si intende mettere in discussione il diritto inalienabile della libertà, che per noi va addirittura estesa anche all'artigiano, a ogni campo dell'attività umana, e non solo all'artista. E' indubbio peraltro, come aggiungeva lo stesso Zavattini, che coloro i quali mirano a ridurre la libertà (e non soltanto di espressione), inalberando la bandiera della morale, spesso lavorano obiettivamente per il contrario; che il cosiddetto film sexy è una delle tante manifestazioni del disimpegno dalle idee, dalla ricerca, dalla critica. Su queste colonne Vittorio Gorresio ricordava che il lamento per la dilagante oscenità di larga parte dell'attuale produzione non tiene conto, in genere, che le offese al pudore sono spesso conseguenza della paura di produttori e registi di incorrere negli anche più incomodi reati dì vilipendio, elencati dal codice penale in una troppo larga casistica. « Quando è proibito dibattere sullo schermo il problema dell'obbiezione di coscienza o della limitazione delle nascite, a esempio, l'evasione verso lo spogliarello può costituire un'alternativa tentatrice, perché probabilmente meno pericolosa». Anche Gorresio conclude che occorre ridare dignità al cinema, e che questo è possibile a patto che a esso si lasci quella libertà che per diritto gli tocca, come ad ogni altra manifestazione del pensiero, dell'arte e della scienza. Tuttavia, e ci sembra condizione nodale, la libertà e la dignità vanno conquistate, difese a costo di sacrifici personali. E' noto che il cinema italiano (e non solo italiano) è storia, soprattutto, di film non realizzati, di progetti rimasti nel cassetto. La colpa non va ricercata esclusivamente in fattori esterni, nelle gravi limitazioni imposte dalle varie, multiformi censure, ma anche nell'autocensura. Vale a dire nella resa, sempre più allarmante, di registi attori attrici e divi. Rinunciando costoro a una parte di non esigui guadagni — per mangiare ogni giorno basta meno di quanto il Risi supponga — forse alcuni di quei prò getti rimasti nei cassetti si sarebbero potuti realizzare, e potrebbero ancor oggi concretarsi. Gli esempi proposti dal Visconti con La terra trema prima e con Senso poi ribadiscono la giustezza, se non altro in simili circostanze, dell'affermazione rooseveltiana: l'unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa. In pieno fascismo usciva Ossessione, che irrideva alla retorica mussoliniana. Gina Lollobrigida e Virna Lisi, nel denunciare un dato di fatto, non offrono una pur piccola prova della loro dignità di attrici: nulla oppongono cioè, al di là di una semplice e in fondo acritica constatazione, a essere considerate puri oggetti nelle mani del regista e del produttore. Dichiarano di non conoscere le sceneggiature dei film che interpretano, e candidamente si meravigliano di vedersi sullo schermo in un modo e non in un altro a film terminato. E' vero quanto scrive Simone de Beauvoir: per l'immensa maggioranza delle donne l'arte, il mestiere non - sono ' che un mezzo-, non vi impegnano dei veri progetti. « // cinema in particolare, che sottomette l'attrice al regista, non le permette l'invenzione, il progresso di un'attività creatrice ». La de Beauvoir invita però l'attrice-oggetto a evadere dalla sfera ad essa assegnata, a superare le difficoltà che le stanno davanti. Guido Aristarco

Luoghi citati: Ponti