Il suicidio eroico di A. Galante Garrone

Il suicidio eroico La Rivoluzione nella provincia francese Il suicidio eroico Kiom, giugno. Può sembrare strano che in questa piccola vecchia città nel cuore dell'Alvernia, a Rioni, si siano dati convegno, accanto agli eruditi locali e agli storici francesi della grande rivoluzione, studiosi convenuti da altri paesi (Inghilterra, Stati Uniti, Australia, Italia), per onorare la memoria di Gilbert Rommc, qui nato nel 1750, in un grigio pa lazzotto di me de l'Horlogc. E' una modesta figura di rivoluzio nario, quella di Romme, e ignota ai più; ma che bene rispec chia il lento maturare di tutta una generazione settecentesca e conferma la verità di un detto famoso di Carnot: che « ri voluzionario non si nasce, ma si diventa ». Dal chiuso ambiente della provincia francese alla Parigi dei lumi e delle scienze, e poi dal la Russia di Caterina II (ove si era recato per educare alla Rousseau il giovane aristocratico Pa vel Stroganov, il futuro amico e consigliere di Alessandro I) all'esordio della rivoluzione, dai primi club alla Legislativa, alla Convenzione e alla campagna di scristianizzazione, dal Terrore alla reazione termidoriana, tutta l'esistenza di Romme — scienziato, pedagogo, collaboratore di Condorcct al Comité d'in struction, rappresentante in missione, creatore del Calendario rivoluzionario — sembra una preparazione alla sua tragica stoica fine. Egli è uno dei sei « martiri di Pratile », immolatisi all'indomani dell'ultima giornata rivolu zionaria, che vide Romme schie rarsi per primo a difesa del popolo insorto al grido: « // pane e la costituzione del 1793». La bella commemorazione che ne ha fatta Albert Soboul in un teatro cittadino, e i numerosi contributi dei congressisti hanno gettato nuova luce sulle origini sociali, la formazione culturale e l'azione rivoluzionaria dell'inflessibile montagnardo. Certe volte, l'aspetto stesso di una città, l'aria che vi si respira, le tradizioni che sembrano conservarsi intatte da un secolo all'altro aiutano a penetrare il segreto di un personaggio. Così a Riom è più facile rendersi conto del perché fosse così forte e duratura, in Romme, l'impronta giansenista. Quando egli nacque, erano ancora vivissimi i fermenti religiosi di Pascal, degli Arnauld, del vescovo Soanen. Tutta la terra alverniate ne era intrisa; e la madre stessa di Romme, di una pietà ardente, trasmise al figlio il suo fermissimo rigore morale. Il collegio degli Oratoriani, ove Gilbert studiò, era un focolaio di giansenismo. Esso accoglieva i giovani in un edificio dalle linee severe, rimaste intatte fino a oggi. Quell'atmosfera giansenista, insomma, non è scomparsa. E la si ritrova, ad esempio, in qualche rivistina locale. Lo stesso Romme, lo scristianizzatore, l'idea tore dell'anticlericale Calendario rivoluzionario, ne serbò in sé, nel suo austero abito morale, qualche traccia: fino all'ultimo dei suoi giorni. Anche qui, in questo angolo sperduto della provincia francese, è dato ritrovare qualche segno dell'entusiasmo rivoluzionario di allora, di quel primo accendersi agli ideali dell'89, che così agevolmente si sovrapponeva al preesistente fervore religioso. Ho trovato il più caratteristico di questi segni a Gimeaux, un villaggio non lontano da Riom. Qui Romme si era recato nel 1790. in compagnia del giovane Stroganov; e qui era morto, d'improvviso, lo svizzero Clément di 36 anni, al seguito dell'aristocratico russo; anch'esso, come il suo padrone, infervorato della rivoluzione. Essendosi il parroco di Gimeaux rifiutato di dargli sepoltura nel camposanto, perché protestante, Romme lo fece seppellire nel suo giardino, dopo avere racchiuso nella bara la Bibbia e la Dichiarazione dei diritti. E sui tre lati di un tronco di piramide in pietra fece incidere: « J.-F. Clément del paese di Vaud in Svizzera - è stato qui sepolto il 30 settembre 1790. — Nessuno può essere inquietato per le sue opinioni religiose, se rispetta l'ordine pubblico. — Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei loro diritti ». Erano le parole stesse della Déclaration des droits. E le si leggono ancora oggi, a 175 anni di distanza, sulla pietra del piccolo monumento in mezzo a un prato, fra orti e frutteti: umile, agreste testimonianza di una nuova fede che allora si affacciò al mondo. Neppure le esecrazioni e gli sbigottimenti di allora sono del tutto sopiti. E' ancora dato rilevarne qualche traccia, nella provincia più che a Parigi. Avversioni e sospetti si sono a volte tramandati di padre in figlio, pur diluendosi sempre più in sentimenti e frasi convenzionali. Può capitare, a Riom, d'imbattersi ancora in qualcuno che parla sottovoce degli alverniati Romme e Couthon come di « mostri infami », di t bevitori di sangue », di « nuovi Catilina »: le parole stesse che furono dette, qui e altrove, in buo na o in mala fede, all'indomani della loro morte. Ma si tratta di curiosi, anacro nistici residui; di modi di dire, supinamente ereditati entro cerchie ristrettissime. Proprio la provincia ci fa meglio sentire che la rivoluzione ha messo per sem pre le radici, è diventata carne e sangue del paese, ed è (come diceva lo storico Jacques Droz ai congressisti e alle autorità di Riom) l'i essenza stessa » della Francia: qualcosa di acquisito per sempre, di connaturato alla nazione, di non più contestato e contestabile, e che nessun accecamento di passioni o parente si autoritaria ha potuto o potrà mai porre in forse. Uno dei temi più lungamente dibattuti al convegno è stato quello del c suicidio eroico » di Romme e dei suoi cinque compagni. Il fatto, che impressionò i contemporanei e restò memo rando, fu questo: i sei deputa ti, condannati a morte da un tribunale militare istituito per l'occasione dalla Convenzione si diedero intrepidi la morte, pugnalandosi subito dopo la lettura della sentenza. Da secoli, pesava sul suicidio un grave anatema. Ed erano passati non molti decenni da quando Montesquieu aveva intrapreso una giustificazione del suicidio a cui l'uomo disperato può in certe circostanze lasciarsi indurre. Il suicidio disperato apriva così .la via al suicidio eroico o « virtuoso », che era però tutt'altra cosa: non un rifiuto pessimistico della vita, ma un atto di stoica coerenza mo rale, c una protesta politica, una sfida, di cui si sperava che contemporanei o almeno i posteri avrebbero inteso il significato ammonitore. Il suicidio diventava così una veemente accusa dell'iniquità del tribunale straordinario e delle sue condanne, un atto di fede nelle leggi della repubblica. Forse Gilbert Romme, preparandosi a morire, si ricordò dell'iscrizione delle Termopili, che aveva letta un giorno al fanciullo Stroganov: « Passante, annuncia a Lacedemone che noi siamo viorti per obbedire alle sue leggi ». Mentre sostavo (alla piccola mostra di cimeli egregiamente allestita in questi giorni a Riom) davanti ai coltelli con cui Romme e gli altri si trafissero, mi si e avvicinata un'anziana signora, e mi ha parlato di un capo della Resistenza che, a lungo torturato, e minacciato a un certo punto, se si fosse ostinato a non parlare, di assistere alle torture del figlio quindicenne, si era suicidato in carcere a Riom, per risparmiare al figlio le torture da lui stoicamente sopportate. Sulle indicazioni di quella signora, sono stato a vedere il piccolo monumento eretto a P. Virlogeux, nei giardini della stazione. L'aria pensosa, gli spessi occhiali, le guance emaciate di questo intellettuale fattosi partigiano, facevano stranamente pensare a Romme, il timido pedagogo diventato rivoluzionario. (Il monumento ricorda anche la moglie di Virlogeux, finita tragicamente a Ravensbruck). Dal giansenismo alla Rivoluzione, da questa alla Resistenza: tutto qui sembra fondersi in un'unica, ininterrotta, compatta realtà. E' la Francia più vera. A. Galante Garrone