Di che si lamentano gli italiani di Enzo Biagi

Di che si lamentano gli italianiLA PSICOLOGIA E LE RAGIONI DEL CITTADINO CHE PROTESTA Di che si lamentano gli italiani Le indicazioni sono contraddittorie, come gli aspetti del nostro paese: la disoccupazione si accompagna alla scarsità di manodopera e gli enormi incassi degli incontri di calcio al diminuito consumo di carne - Negli ultimi anni il tenore di vita è migliorato, eppure cresce il malcontento; è naturale, non ci si rassegna più ai vecchi malanni - Le proteste sono rivolte soprattutto ai pubblici poteri, per denunciarne le iniziative 0 per invocarne i favori Anche nelle lettere ai ministri, gli italiani dimostrano debole coscienza dell'utile comune; pensano soprattutto all'interesse di famiglia o di gruppo (Dal nostro inviato speciale) Roma, maggio Sono andato alla ricerca dell'italiano che protesta. Forse vi sembrerà un impegno da poco: invece il personaggio è complicato, e gli itinerari piuttosto confusi. Intanto, cinquantadue cittadini su cento, riferisce la « Doxa », si dichiarano abba¬ stanza soddisfatti. Negli ultimi dieci anni il loro tenore di vita c migliorato. Nove intervistati affermano, al contrario, che per loro e andata peggio; ma anche fra i malcontenti la situazione non è chiara. Ci sono, ad esempio, cinquantamila aspiranti a settecento posti di custode nei musei, e contem- poraneamente si debbono interrompere i lavori su una autostrada perché mancano i carpentieri. Diminuisce il consumo della carne e la vendita dei periodici, e si incassano quasi duecento milioni per un incontro di calcio. A Bari, indignati con l'arbitro, gli spettatori buttano in campo le loro scarpe, e nella vicina campagna i contadini vanno al lavoro scalzi. «C'è la congiuntura», è la giustificazione che si usa per spiegare la crisi del turismo di lusso, o del commercio dei motoscafi, e un collega americano mi racconta che, a un convegno di industriali di tutto il mondo, le mogli dei nostri « bosses » avevano le più belle pellicce. No, non è facile questo viaggio nel lamento. «/ francesi — mi ha detto Jean d'Hospital, corrispondente di Le Monde — si lagnano assai di più.». Anche gli stranieri non ci aiutano a capirci. Un anno fa, negli ambienti del Mercato Comune, venivamo definiti «un popolo di cinquanta milioni di automobilisti sottosviluppati>; De Gaulle pensava che, come la IV Repubblica, saremmo caduti in una crisi senza uscita; in Germania ritenevano pericoloso farci credito. Adesso tutti riconoscono che le nostre faccende vanno meglio; negli Stati Uniti ci considerano fra gli alleati < più sicuri». Ci sono diverse Italie e diversi e spesso contrastanti motivi per ritenersi insoddisfatti. L'onorevole Almirante (msi), mi dice che i suoi camerati «soffrono per ragioni d'ordine morale, per il clima d'incertezza, di disordine e di corruzione nel quale viviamo da molto tempo a questa parte ». L'onorevole Pietro lngrao (pei) mi dice che, tra i suoi compagni, «c'è uno stato d'animo di collera per i salari, per il peso del lavoro nelle fabbriche, per il ritmo imposto dall'organizzazione. E' diffuso, negli operai, il senso di una morsa che si stringe». Sono andato a trovare in Vaticano un monsignore; il colloquio era amichevole, volevo sapere cosa chiedono i miei compatrioti al Santo Padre, così abbiamo parlato anche di Papa Giovanni, e di alcuni recenti risultati elettorali. Non mi sembrava preoccupato. Mi ha ripetuto la frase di un vescovo tedesco: «Noi non siamo riusciti in venti secoli a farli cristiani; è possibile che in vent'anni diventino comunisti? ». La mancama di una co- scienza collettiva si avverte anche nella, protesta che, come scrive Jean Francois Revel, non è mai « contro gli abusi, la mancanza di rispetto per il pubblico», ma è sempre suggerita da ragioni personali. Si capisce che deve esserci qualche differenza nel giudicare la vita fra t trentamila accattoni della provincia di Napoli, e i metalmeccanici in utilitaria della Lombardia; ma i soli gesti che rivelano una indignazione collettiva sono quelli manovrati dal partito comunista, che ogni tanto, per la. condanna dei Rosenberg o per il pericolo atomico, lancia un manifesto e raccoglie migliaia di firme. Per cercare di definire il protagonista della mia indagine ho pensato di ricorrere a qualche fonte ufficiale. L'italiano, quando ha una ingiustizia da denunciare, o un beneficio da chiedere, si rivolge ai pubblici poteri. Ha soggezione del vigile urbano e del poliziotto, ha timore del giudice, considera 10 Stato un secolare nemico, ma dallo Stato si aspetta tutto. E indirizzandosi ai potenti, non mira a conquistare il rispetto, ma gli basta di essere esaudito. Cerca, in fondo, un protettore. L'onorevole Giovanni Leone mi ha raccontato che, quando era presidente del Consiglio, riceveva molta posta dalla Campania, che è 11 suo collegio elettorale. Si trattava, quasi sempre, di richieste di aiuto: urgenza di un sussidio, speranza di una raccomandazione. Finivano quasi tutte, con tre parole rassegnate e ammonitrici: «Se volete voi». «La gente — spiega l'onorevole Leone — crede che nella macchina burocratica sia tutto corrotto, e che senza un patrono non si arrivi a nulla. E guai se non riuscite a ottenere l'auspicato trasferimento, o se non avete risposto al biglietto di auguri: diventate un nemico». « Se volete voi ». E' costume affidarsi, più che al rispetto della legge, alla benevolenza di chi comanda. Ho potuto consultare alcune lettere indirizzate all'onorevole Fanfani nel momento in cui fu chiamato a comporre il primo governo di centro-sinistra. La fase iniziale è quella del tripudio: « Sono commosso e le sono vicino. Permetta che l'abbracci nel nome dello scudo crociato », scriveva un benestante di Barrafranca (Enna); «Quando abbiamo sentito le belle notizie tue, per la gioia ci siamo messi a baciare la radio », esplodeva, anche a nome dei suoi congiunti, una casalinga di Ripalimosani; né mancava il composto incoraggiamento di un sacerdote di Pizzighettone: «Non abbia paura di continuare per la sua strada. Anche gli eminentissimi cardinali, un tempo un po' contrari, perché temevano per la religione, oggi sono convinti che questa è la via giusta ». Segue, immediatamente, il secondo momento, quello delle suppliche, che, stante l'urgenza dei problemi esposti, vengono inoltrate anche per telegramma. Piccolo campionario. Telegrafano il sindaco e la giunta di Soveria Simeri: « Saggezza dimostrata come presidente provinciale splngonci rivolgere vivi voti perché onorevole Bisantis venga incluso sottosegretari ». Telegrafa una professoressa di Sanremo: «Manterremo fiducia de se programma politico proporrà difesa diritti scuola parificata ». .Meno impegnativa la petizione di un estimatore di Empoli: « Il mio amico Berneschi Alfredo ha un ristorante, ma non gli viene concessa la licenza per la vendita di vino a bicchieri, e così non riesce a farcela perché gii avventori non possono bere chianti in gran quantità ». Aldo Moro riceve in media quindici lettere ogni giorno. E' alla guida del paese da diciotto mesi, e in questo periodo è dimagrito di dieci chili. Quello che più lo rattrista è la perentorietà delle richieste, l'egoismo di categoria. I medici dentisti si indignano contro il provvedimento che allarga le competenze degli odontotecnici, gli avvocati non sopportano l'aumento della carta bollata, i commercianti vorrebbero la lotta contro i « supermarkets », un controllo che restringa le nuove ! iniziative, e contemporaneai mente il blocco degli affitti. Poi ci sono le ondate di risentimento provocate dalle nuove leggi: i piccoli risparmiatori che si ritengono danneggiati dalla nazionalizzazione dell'industria elettrica, il piccolo proprietario terriero che si sente minacciato dagli enti di sviluppo in agricoltura, perché vede allungarsi l'ombra dell'esproprio: «Eccellenza, avverte, voi mi mangiate la dote di mia riglia ». Cè infine l'esplosione di di¬ sgusto collettivo per lo «spettacolo indecoroso» delle elezioni presidenziali. Gli scritti, i reclami, hanno una nota comune: l'impazienza, e dimostrano come ognuno voglia per sé tutto, senza che si tengano in considerazione le legittime esigenze degli altri. Ma c'è anche chi offre la sua spontanea e disinteressata opera per cercare di porre rimedio a molti inconvenienti che ci affliggono. Forti del fatto che sanno «come si fa per mandare avanti una famiglia. », sono disposti a insegnare al presidente del Consiglio le buone regole per far quadrare i conti. La ricetta è più o meno questa: ridurre gli stipendi agli statali, mandarne a casa una buona parte, ritenuta superflua, e tassare, tassare molto di più i ricchi che tradiscono sempre le aspettative del fisco. Infatti, una indagine ha rivelato che gli imprenditori e i dirigenti conquistano appena l'otto per cento della simpatia nazionale. Si protesta, dunque, per il lavoro che scarseggia o è mal retribuito, per gli eccessi della burocrazia, per il disordine della scuola, per la crisi della giustizia. Sono vecchi motivi di un'antica polemica. Ho chiesto all'avvocato Adolfo Gatti (difensore di Ippolito): «Se lei fosse imputato di un crimine, da quale tribunale vorrebbe essere giudicato* ». Mi ha risposto: « Da una corte inglese, perché sarei processato rapidamente, senza formalità, e con la certezza che davanti al magistrato, la cui autorità è altissima, io e la regina siamo sullo stesso piano ». Ho rivolto la stessa domanda all'avvocato Giuliano Vassalli (difensore di Bebawi). Mi ha risposto: « Fui condannato a morte dai nazisti, e per loro alcuni miei parenti hanno perduto la vita. Eppure vorrei essere giudicato da un tribunale tedesco. Trovo che l'attuale Germania è un paese civile. E anche là non esiste, come da noi, la pena di morte ». Se faccio un primo bilancio, mi accorgo che in que- sti ultimi tempi gli italiani si lamentano di più. Mi ha detto Leo Wollenborg, corrispondente della Washington Post: «Una volta la gente si accontentava. Non aveva termini di confronto, o la possibilità di ribellarsi. Adesso anche il cafone del Sud non è più rassegnato alla sua sorte. Prima il contatto con le truppe alleate, poi i turisti stranieri, poi la televisione, gli hanno insegnato che esistono altri modi di vivere. Le condizioni materiali della grande maggioranza sono migliorate, il benessere è più diffuso e, come diceva Anatole France, " pensare è un lusso dei borghesi "». In questo viaggio nella protesta dovremmo tener conto anche delle donne. Ho avuto per le mani la corrispondenza die riceve un diffuso settimanale femminile. Trovo, in un recente saggio di uno scrittore francese, Dominique Fernandez, una frase che dipinge una situazione: « Non ci sono coppie in Italia, non ci sono mai state, l'uomo e la donna non hanno mai cercato di affrontarsi, di unirsi, di arricchirsi, l'uno con l'altro. Le opere, letterarie lo dimostrano. Le grandi coppie sono Dante e Beatrice, un devoto e una morta, i fidanzati di Manzoni, separati e vergini, Bube e Mara di Cassola, condannati ad aspettare quattordici anni il permesso di vivere insieme ». Il problema di essere soli, o di essere uniti, se dà luogo a una monotona letteratura, provoca invece umane e coloritissime lettere. Perché, come diceva Lee Master, « questo è il dolore della vita: che per essere felici bisogna essere in due ». Enzo Biagi