Si rinnova il successo della «Gioconda» diretta da Molinari Pradelli al Teatro Nuovo

Si rinnova il successo della «Gioconda» diretta da Molinari Pradelli al Teatro Nuovo L'ultimo spettacolo della stagione lirica torinese Si rinnova il successo della «Gioconda» diretta da Molinari Pradelli al Teatro Nuovo « Ponchielli, buon maestro », diceva Verdi - I molti rifacimenti dell'opera e la « Danza delle ore » - Un folto pubblico — i o n . i o o a a a e o Per l'acquisto dei biglietti d'entrata alla rappresentazione della Carmen e della Gioconda s'è vista la coda davanti agli sportelli, poi s'è letto: Esaurito. Buon indizio del piacere che il pubblico torinese rinnova nel teatro di musica, sia pure nel Nuovo. La co?istatazione del desiderio e del godimento non deve pertanto escludere la necessaria distinzione dei valori artistici. Potente nella più alta melodrammaturgia, Carmen è un capolavoro. La Gioconda non è tale, ma non merita disistima, come pur è avvenuto, per l'uso di quegli stessi elementi che da circa novant'anni le procurano fortuna. Nella Gioconda infatti s'osservano da una parte fattori mediocri, dall'altra prove d'una musicalità concretatasi in forme ed espressioni non comuni e al loro tempo nuove. Alla condizione della mediocrità sono da ascrivere la scarsa cultura, (non quella tecnica, anche Verdi stimava «buon maestro» il Ponchielli), e l'urgente, costante, mira a soddisfare pienamente le voglie del « pubblico italiano », in quanto arbitro del successo teatrale. Questo suo scopo, e il tormento che gli cagionava, è dichiarato in molte sue lettere all'editore Ricordi; quasi fan sorridere, e valgono la pena d'un accenno. Gli avvenne ciò che meno conveniva. Del libretto che Arrigo Boito aveva tratto dall'Angelo tiranno di Padova, il dramma di Hugo, non il trucolento soggetto, gli intrighi, i veleni, i « colpi di scena », Zo sconcertavano, bensì il decoro letterario, la forbitezza linguistica, la preziosità di frasi argute o sentenziose, e anche {'estensione di alcuni episodi e dialoghi. Più volte notava, giustamente, lacune, oscurità, e consigliata e sollecitava cangiamenti. Accolta, senza cautela, la sceneggiatura, e iniziata la composizione, era « più di cento volte al giorno tentato di desistere ». Quel libretto era « troppo difficile e forse non confacente » alla sua « maniera di scrivere, per la troppa elevatezza dei concetti e difficoltà di forme », non trovando le idee che avrebbe voluto. Ne era come paralizzato. Un'altra cagione di perplessità era la specie della musi ca in relazione alla vocalità dei cantanti. « Per la Mariani ci vuol canto spianato. La parte di Gioconda è tutta ira, suicidio, veleno, e l'accidente che porta a tutte le esagerazioni introdotte in questi ultimi tempi, per le quali un cantante è costretto alla nota e parola, agli sforzi di gola, do vendo declamare continuamente». Questa deplorazione evidentemente toccava non solo il poco di Wagner che allo ra si conosceva in Italia, ma anche la vigoria declamatoria proposta da Verdi nei recita tivi della Luisa Miller e più tardi accentuata molto. E le accoglienze del pubblicot Rispondeva: «Questo pubblico che trova oscura la musica dei Lituani.' Io credo che per il pubblico italiano occorra» di non badare troppo al dramma, «altrimenti bisogna cadere nei ritmi che non colpiscono l'orecchio, e adoperare l'orchestra». Quanta arrendevolezza! E quanto terrore nell'adoprare le armonie stru- mentali come mezzi espressivi del dramma... Nocque davvero all'invenzione e alla stesura della Gioconda lo stile letterario del poeta e musicista! Non sembra che le repugnanze e le trepidazioni denunciate abbiano avuto una reale consistenza. Ma di ciò non possiamo dare una documentata certezza. Non sono state finora comparate, e\ non ne avremmo l'agio, le molte varia7iti che fra il 1876, anno della prima rappresentazione nella Scala, e il 1880, il Ponchielli e il Boito operarono, e non superficialmente, nei versi, nei dialoghi, nello svolgimento dell'azione. Si ricordi che fra il '68 e il '75 Boito rifece il suo Meflstofele, e Ponchielli certo ne apprese i mutamenti, mentre provvedeva ai rifacimenti della Gioconda. Dico ciò perché accade più di una volta di cogliere nella vocalità specialmente di Barnaba certi recitativi accentati, martellati, incisivi, guizzanti, con un'ironia prettamente boitiana, quali ricorrono nella declamazione di Meflstofele. D'altra parte la mutevole fraseologia boitiana offriva al Ponchielli occasioni o di scatti reboanti', come quello enfatico, grossolano, «L'amo come il fulgor del creato », o di signorili delicatezze, per esempio nel dilettino di Enzo e Laura, mentre la luna tramonta. Insomma, le immagini e, tutt'insieme, il libretto, che tanto sgomentavano il musicista nocquero o no alla riuscita del melodramma t L'ultima versione, dell'80, non sem bra attestare, radicale, il con- trasto. Ma, ripetiamo, l'accertamento deriverà soltanto dal confronto dell'ultima stesura con le precedenti. Si ha notizia per esempio che i reiterati rifacimenti trasformarono tutto il terzo atto, lasciando immutati solamente i ballabili. I quali, deplorevole usanza ottocentesca, espressamente composti dal Ponchielli nel '76 per essere inseriti in quel punto, pur gli dettero fastidio, perché confessava di non « intendersi di gambe ». Il coreografo Luigi Manzotti dove suggerirgli i soggetti e immaginare le movenze del «corpo di ballo » per quella « Danza delle ore », che tanto piacque e piace con i lusinghevoli ritmi e le invitanti melodie. E son esse, le melodie, che, subitamente ricordevoli, promosse dal sentimento di singole frasi verbali, o soltanto accoppiate con esse, e svolte con naturalezza in monologhi o con maestria nelle forme più e più complesse, son esse che, insieme con lo spettacolo, spesso attrattivo, fanno, qual è, la Gioconda. Più d'un pezzo molto si distingue per l'originale stesura, la vaghezza della linea, l'emotività, la progressiva intensità; tale la ro manza die comincia: « Cielo e mar». E così annotando, si loda ciò che veramente è da pregiare. Ne resta escluso ciò che più importa: l'assoluta determinazione di ciascun personaggio, delle sue passioni, della sua entità drammatica, infine il melodramma, nella pienezza etimologica del voca- [bolo e nell'artistica coerenza. Eccettuato Barnaba, quale personaggio ha una sua propria vita artisticamente raggiantet Quale spicca, se non grandeggia, nella moltitudine, e, partecipandovi, ne eccita i drammatici motif Melodie, dunque, e tante, e iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii ben organate in una consona armonia, in una timbrica non monotona, in una composizione infine che vuol effettuarsi sia con schiettezza, sia con espedienti. Bisogna farle prorompere, impennarsi, e accortamente tenerle a freno. Ed è ciò che il maestro Francesco Molinari Pradelli, che sente con fervore il teatro italiano nell'Ottocento, ha fatto, vigilando la non rara tronfiezza, e bene concertando l'orchestra \ pedaplfdbcon le voci. Il gusto, diremmo, dell'epoca era presente senza trasmodare. Una buona e nota compagnia di cantanti, parimenti convinti e pronti assecondava il direttore: dalla soprano Marcella De Osma, protagonista, che certo sarebbe piaciuta all'autore per la vigoria degli impeti e pel canto passionato, irruente, alla mezzosoprano Irene Companez, Laura delicata nelle espressioni d'amore e di tristezza, alla contralto Franca Ceretti, La Cieca, che, presentata esordiente, ha dato prova di sicurezza sonora e di intendimento interpretativo con una voce in ogni nota morbida e timbrata; dal te-1 nore Carlo Bergonzi, Enzo, nell'ardua parte che fu del gentile e commosso Gayarre, al baritono Dino Dondi, efficace e penetrante Barnaba, al basso Bruno Marangoni, austero e tragico Alvise, ai quali si associavano degnamente il Secco, il Salvoldi, il Foiani. Alla leggiadria delle musiche per la danza la coreografa Susanna Egri uniformò le evoluzioni del « corpo di ballo », giovandosi anche della destrezza dei ballerini, Bruno Fusco, solista, Loredana Fumo e Roberto Fascilla primi. Corretta, tradizionale e sufficiente, la regia di Carlo Maestrini, (bozzetti di Enzo Delio). I consueti applausi a scena aperta e molte le chiamate, alle quali il valente maestro del coro Mario Tapini partecipò insieme col direttore e con tutti i cooperatori. a. d. c. ce n , i e bamnsertèMcn Una scena della «Gioconda» di Ponchielli ieri sera al Teatro Nuovo (F. Moisio)

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