Entro la vasta cornice quale via sceglieremo ? di Ferdinando Di Fenizio

Entro la vasta cornice quale via sceglieremo ? Contrasti sulla programmazione Entro la vasta cornice quale via sceglieremo ? Sono trascorsi ormai quattro mesi, dal momento in cui — per la prima volta — il Progetto di programma Pieraccini fu pubblicato compiutamente. Autorevoli gruppi politici ed economici l'hanno discusso, interpretato, criticato. Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ha espresso, a suo riguardo, un dotto parere. Ora, il documento dovrebbe esser presentato al Parlamento. Sembra tuttavia che verrà, ancora una volta, riesaminato dal Consiglio dei ministri. Su perfluo? Non diremmo. I punti di contrasto emersi, in queste settimane, sono non soltanto numerosi, ma di gran peso. A seconda che gli stessi siano risolti in un senso o nell'altro, la programmazione italiana assumerà un volto od un altro. Proviamoci a dimostrarlo. * * Primo. Per una robusta corrente d'opinioni democristiana, il programma è soprattutto un ragionamento documentato (fin troppo ricco di cifre!) sulla politica economica da realizzare in Italia, in ossequio ai desideri collettivi. Ma l'intero programma è retto da ipotesi. Se le stesse saranno realizzate, dipenderà dalla nostra saggezza. Sarà per l'appunto codesta « saggezza » a decidere se il programma possa domani descriversi come « libro di sogni », oppure « descrizione di fatti reali ». Questa un' interpretazione. L'altra, opposta, suona cosi : la programmazione traduce precisi impegni. Se esso non si realizzerà, segno che manca la « volontà politica » per realizzarlo. In qual modo, poi, la volontà politica possa colmare concreti vuoti nelle entrate statali, oppure precise deficienze nel risparmio disponibile, non si dice. Secondo punto controverso, l'assetto imminente degli enti di programmazione. Che ogni programmazione debba avere una sorta di « centrale », nessuno lo pone in dubbio. Ma il centro potrà forse essere « tecnico » : un commissariato, ad esempio, operante in seno ad un ministero (come in Francia) e sottoposto alla responsabilità politica del ministro? Taluni affermano di sì. E' la tesi espressa, per esempio, dall'on. Fanfani, in occasione del Consiglio nazionale della democrazia cristiana. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di sottrarre la programmazione alle fluttuazioni po litiche, dovute al succedersi dei ministeri. Ma recentemente, la Commissione economica del partito socialista ha respinto energicamente codesta so luzione. Per quanto abbia aspetti tecnico-economici, la programmazione deve restare politica. Se altro non si può, meglio affidarla al neocreato Comitato interministeriale per la programmasione economica (Cipe). La risposta è debole. Nessun organo collegiale, che si riunisce ad intervalli, può sostituire la direzione burocratica continua, unitaria: d'un solo esperto. Ma il contrasto di opinione è così, limpidamente, posto in luce Più innanzi, esso si ripete, quando si tratta degli enti socio-politici, per sorvegliare la programmazio ne. Come costituirli? Come distinguere la loro attività, da quella del Cnel? Come instaurare poi nuovi rap porti istituzionali, tra que sti nuovi organi e quelli tecnici, destinati ad assolvere indagini particolari : sui consumi, sul fabbisogno dei capitali per rami d'industria, eccetera? Altre que stioni aperte. * * Terso punto. Prima o poi, comunque, il programma verrà presentato al Parlamento. Lo approverà in blocco o lo modificherà? E se lo approverà, potrà ciò aversi, mediante norme di legge? I socialisti sostengono di sì: non certo convinti che basti una legge a ricondurre il tasso di sviluppo del sistema al 5 per cento, se le condizioni eco¬ nctursmcccpmspsssglsnstiaFamseiocnstre nomiche generali non lo consentono. Ma perché intendono quella legge come un impegno preciso a varare le grandi riforme di struttura, che il programma accoglie; anzi, in un certo senso, soprattutto ricollega. Altri obbietta: ma codeste riforme sono, nel programma, tanto succintamente descritte da non sostenere alcun giudizio, né positivo né negativo. E che senso poi avrebbe una decisione parlamentare, se fosse formulata così: ci impegniamo ad approvare tutte le riforme che ci verranno sottoposte dal governo, poniamo nei prossimi sei mesi? Nessun Parlamento sottopone ad ipoteca, nella sua inviolabile sovranità, la sua attività futura. Anche in Francia, quando si ebbe la approvazione del program ma mediante leggi, essa re sto pressoché inoperante. Quarto. Il Cnel, nel suo elaborato Parere, ebbe ad insistere non soltanto sulla opportunità, ma sulla ne cessità che si mantenga economicamente efficiente il sistema economico: altrimenti sarebbe vano sperare in robusti rapporti fra l'Italia e la Comunità europea. Altri, all'efficienza economica preferisce e contrappone la « efficienza sociale ». Che significa? Per esempio, che si vuol dar torto all'on. Pastore quando asserisce doversi contrastare « ogni impostazione del piano nazionale » che « non punti all'accrescimento degli investimenti produttivi » ? Oppure che si vuol dar ragione a G. M. Baldi quando, in un suo recente valido volume, insiste sui vantaggi economici delle « spese per la salute » ? Altra questione aperta: soprattutto per le sue ripercussioni nel campo del bilancio economico nazionale. E, del resto, rimangono altresì insoluti due altri collegati problemi. Se, in caso di doverosa scelta, si debba dar la preferenza ad unità produttive, pur modeste, ma che occupino un'elevata quota di mano d'opera, con scarso impiego di capitale, oppure ad impianti modernissimi, i quali, come a Taranto, esigono investimenti di cento milioni di lire per operaio. Da un lato si asserisce: senza codesti grandi impianti, si mortifica la produttività del sistema. Ci si pone fuori gioco. D'altro lato, si ribatte: « Isole di progresso, in ambiente socialmente depres¬ so, sarebbero presto sommerse». Ammettiamolo pure: non sarà tanto facile sommergere le grandi acciaierie di Taranto, le più robuste del Mediterraneo. Ma la disputa continua. * * E continuerà per un buon pezzo, in futuro. Anche' perché della principale controversia, dettata dal programma Pieraccini, non ab-biamo ancora scritto una parola. Per taluni, il programma già esiste, robusto, vagliato, fra poco approvato. Non resta che strumentarlo, realizzarlo, controllarlo. Altri risponde: questo programma è soltanto il « migliore », che sia dato di stendere, « con le forze po¬ litiche in gioco ». Ma di cer-to non è un « programma socialista ». Contiene soltanto « una grande forza riformatrice ». Si tratta di sfruttarla. Chi vincerà? Insomma, quale tipo di programmazione avremo in Italia? E' dalla fine del '60, che andiamo ripetendo a noi stessi questo interrogativo. Ed ancora oggi non sapremmo che rispondervi. Ferdinando di Fenizio A Ir.

Persone citate: Baldi, Fanfani, Pastore, Pieraccini

Luoghi citati: Francia, Ir, Italia, Taranto